Nell’ambito delle sue sperimentazioni, l’autore distingue tre stadi progressivi che indicano l’evoluzione
della nozione di tempo nelle varie fasce d’età. Le fasce analizzate vanno dai 4 ai 9 anni, ma non esiste una
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divisione netta tra i diversi stadi poiché il passaggio da uno stadio all’altro non avviene a un’età definita ma
varia da soggetto a soggetto. Le considerazioni fatte sopra riguardano bambini appartenenti al primo stadio,
in cui il concetto di “prima” e di “dopo” temporali non è dissociato dall’ordine spaziale e perciò la
velocità è strettamente legata al concetto di sorpasso, tutti i bambini più piccoli infatti vedendo due oggetti
che si spostano l’uno accanto all’altro e che vanno alla stessa velocità ma si fermano successivamente
affermano che quello che è andato più lontano va più in fretta. All’origine di questa indifferenziazione tra
successioni temporali e spaziali c’è il concetto di irreversibilità di cui abbiamo parlato in precedenza, il
quale, come afferma lo stesso Piaget, “[…] conduce a vivere solo il presente e a non conoscere il passato che
attraverso i suoi risultati […], di qui la doppia incapacità di ricostruire un ordine di successione esatto e di
includere le durate le une nelle altre secondo un sistema di valutazioni coerenti”, in pratica per il bambino il
passato non è né lontano né ordinato in epoche distinte, l’umanità resta sempre uguale a se stessa e
l’universo è centrato sul paese e sulla città alla quale egli appartiene. Un altro fattore di cui tenere conto è il
sincretismo, cioè una visione d’insieme senza obiettività e senza giustificazione: esso è il risultato
dell’incapacità di comprendere le cose diversamente da come sono date nell’osservazione immediata, perciò
il bambino si limita a considerare il primo ordine che gli viene in mente e lo considera come il solo possibile
(Maria Cristina Vallon - sito web).
Passando allo stadio successivo l’intuizione del bambino invece di restare centrata sul risultato dell’atto
inizia a prendere in considerazione il tempo che scorre durante l’azione stessa e anziché concentrarsi sui
punti di arrivo dei movimenti li ricostruisce secondo il loro svolgimento dissociando l’ordine temporale da
quello spaziale. Si assiste dunque a un’evoluzione che però è accompagnata da reazioni incoerenti; alcuni
soggetti, infatti, cominciano a dissociare la successione temporale dall’ordine spaziale senza correggere le
loro valutazioni della durata (più lontano = più tempo) mentre altri correggono queste ultime ma non
rivedono la successione temporale (non distinguono correttamente quale oggetto si è fermato prima
dell’altro). Si può quindi affermare che a questo stadio i bambini, pur dimostrando dei progressi, non
sospettano ancora che l’inclusione delle durate e l’ordine di successione degli eventi possano avere alcuni
rapporti tra di loro (Jean Piaget:1979, p. 94). La dissociazione dell’ordine temporale da quello spaziale resta
intuitiva finché i soggetti non scoprono la necessità di fondare i rapporti di successione su quelli di durata e
viceversa, è a questo punto che si passa dall’intuizione all’operazione e dal secondo al terzo stadio. In
quest’ultimo caso, infatti, i bambini deducono indifferentemente la durata dalla successione e l’inverso, con
il risultato che la successione è definitivamente astratta dall’ordine spaziale e la durata viene intesa in
funzione inversa della velocità (più veloce = meno tempo).
Se anziché due eventi successivi si prendono in considerazione due eventi simultanei l’autore rileva gli
stessi problemi di percezione esposti in precedenza: vedendo due oggetti che si allontanano nello stesso
senso e si fermano simultaneamente a 3-4 cm di distanza perché vanno a velocità diverse, il bambino, negli
stadi inferiori del suo sviluppo, non riconosce la simultaneità dei punti di arrivo e a volte contesta anche la
simultaneità delle partenze se i due oggetti partono da punti opposti. Questo comportamento deriva dal fatto
che egli non riesce a capire che gli oggetti che si fermano in due luoghi diversi in seguito a movimenti di
diversa velocità possono essere collegati l’uno all’altro per mezzo di un tempo unico ed omogeneo che
sarebbe loro comune e di conseguenza si assiste alla stessa confusione tra ordine spaziale e temporale vista
in precedenza per la successione: i soggetti ritengono che un oggetto sia andato più lontano dell’altro e la
durata è identificata con il cammino percorso.
La percezione delle successioni e delle simultaneità dà luogo dunque, secondo l’autore, ad errori
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sistematici tanto più frequenti quanto più il bambino è piccolo; egli non coordina i movimenti del suo
sguardo con gli eventi esterni e questo comporta il crearsi di illusioni di anteriorità con un possibile
rovesciamento dell’ordine degli eventi.
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3. Il tempo metrico e il tempo vissuto nel bambino per Jean Piaget
Piaget, nella sua opera, non si limita ad analizzare il tempo fisico qualitativo ma si occupa anche di
studiare il tempo metrico, cioè come il bambino misura lo scorrere del tempo.
In questo caso ai diversi soggetti viene presentata una clessidra di grandi dimensioni in cui i livelli raggiunti
dalla sabbia nel corso del suo scorrimento sono facilmente percepibili grazie a tre gradazioni di diverso
colore; i bambini devono travasare alcune biglie da una scatola all’altra e confrontare le tappe del loro
lavoro con lo scendere della sabbia, viene poi chiesto loro se effettuando il travaso più velocemente la
sabbia scende più in fretta oppure no. In seguito a questa sperimentazione l’autore rileva che per i bambini al
primo stadio la sabbia sembra scendere più o meno rapidamente, e segnare di conseguenza tempi diversi, a
seconda della velocità con cui essi travasano le biglie. Lo stesso risultato si ottiene se invece di utilizzare
una clessidra si utilizza un cronoscopio a mano da laboratorio con pulsante: il bambino ritiene che il tempo
sia scorso più in fretta quando lui agiva in fretta. Questo tipo di errore è il frutto di un’illusione percettiva
che induce il bambino a credere che i movimenti della sabbia o della lancetta dell’orologio dipendano da
quelli a cui sono riferiti. Tuttavia, secondo Piaget, una simile impressione la possono avere anche gli adulti;
la differenza consiste nel fatto che mentre l’adulto è consapevole che si tratta di un’illusione e la trascura
non dando importanza all’aspetto percettivo di tali letture, il bambino non considera la sua impressione
come un’illusione percettiva ma la prende immediatamente per valida. L’errore fondamentale, dunque, non
consiste tanto nel percepire in modo illusorio, cosa che può avvenire a tutti gli stadi, ma nel credere alla
percezione anziché correggerla mediante il ragionamento. Da questo fatto Piaget trae la conclusione che il
pensiero intuitivo è necessariamente egocentrico, poiché i giudizi di realtà sono subordinati alla valutazione
soggettiva (Jean Piaget:1979, p. 190).
A differenza di quanto osservato in precedenza per la successione e la simultaneità, i soggetti sottoposti a
questo tipo di sperimentazione rispondono correttamente alle domande che gli vengono poste già al secondo
stadio. Il bambino di 7-9 anni, infatti, riconosce immediatamente che la sabbia è scesa alla stessa velocità
indipendentemente dai suoi movimenti e afferma che lo stesso vale per le lancette dell’orologio. A questo
punto, però, si pone un altro tipo di problema; il bambino, pur avendo acquistato la nozione dell’uniformità
del movimento di un orologio, non è in grado di cogliere l’uguaglianza dei tempi di due orologi diversi:
vedendo una clessidra e un orologio a pulsante che misura il movimento di quest’ultima in trenta secondi, il
soggetto continuerà a dichiarare tempi diversi nonostante gli sia stato spiegato che i due strumenti partono e
si arrestano nello stesso istante. Questo dimostra che sincronismo e isocronismo non possono essere
considerati separatamente poiché se il primo viene negato il secondo non è sufficiente per misurare un
tempo diverso da quello del misuratore a cui si riferisce. I soggetti al secondo stadio, pertanto, non
pervengono a un tempo omogeneo unico, comune a tutti i movimenti, ma solo a un tempo regolare per ogni
oggetto capace di movimento uniforme.
L’ultima parte dello studio di Piaget si riferisce al tempo vissuto, e in particolar modo alla nozione di età e
al tempo psicologico. Per quanto riguarda la nozione di età, l’autore si chiede se il bambino comprende che
un figlio ultimogenito resta sempre tale e se riconosce la corrispondenza tra le età e l’ordine delle nascite. Il
fatto interessante in questo contesto è che il bambino anziché partire da una nozione soggettiva dell’età
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inizia con la nozione più esteriore e più materiale, cioè quella di statura o di grandezza (non solo una
persona più alta è più vecchia di una più bassa ma anche un albero più grande è più vecchio di uno più
piccolo); inoltre dal suo punto di vista il tempo vissuto non è un flusso perpetuo e continuo ma è un
cambiamento che tende verso certi stati e cessa di svolgersi quando questi vengono raggiunti. Da qui l’idea
che le età sono indipendenti dall’ordine delle nascite e che le differenze di età possono modificarsi col
tempo, dato che quest’ultimo non è omogeneo.
Tra i 6 e gli 8 anni i bambini reagiscono in modo incoerente, come constatato anche nel caso del tempo
fisico: o le età dipendono dall’ordine delle nascite, ma la differenze di età non si conservano nel corso
dell’esistenza, oppure le differenze si conservano ma esse non dipendono dall’ordine delle nascite. Solo a
partire dai 9 anni si ha una completa dissociazione della nozione di età da quella di statura e, vedendo due
alberi, i soggetti o si rifiutano di indovinare le loro età rispettive o formulano ipotesi diverse, sostenendo
comunque che soltanto la conoscenza d
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