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Di seguito sono riportati i vari tipi di replicazione del virus in sede: Nel caso ad
esempio del
virus influenzale
possiamo avere
una diffusione
dall’ambiente
così come da
altri tipi di cellule,
si parla quindi di
diffusione
sistemica, per
cui avremo una
viremia primaria
ed una viremia
secondaria, con
raggiungimento
poi dell’organo
bersaglio. In
realtà sono
eventi
patogenetici
legati
essenzialmente alla specie di virus che si va ad analizzare. Per cui i virus possono essere liberati,
rilascianti mediante secrezioni delle mucose, e degli organi bersaglio.
Un altro sistema legato a disseminazione ma non a viremia (che può essere poi accompagnata o
meno da una viremia come nel caso di fenomeni eclatanti come la meningite, è la diffusione del
virus dell’herpes, che è localizzata, attraverso i nervi periferici, per poi raggiungere l’organo
bersaglio che può
essere il SNC.
Questo poi dipende
dalla specie di virus
, se è a livello del
SNC, o se come
l’herpes si localizza
soltanto ai gangli
circostanziali,
quindi al sito di
infezione.
Modalità di
eliminazione
È chiaro che le
modalità di
eliminazione sono
sempre legate al
processo di moltiplicazione e di diffusione del virus stesso.
Evoluzione della malattia
Infezione: il virus comincia a replicarsi nell’ospite. L’evoluzione della malattia è caratterizzata poi
da:
Questi sono i vari periodi di incubazioni legati alla replicazione dei vari tipi di virus presenti:
Ad esempio il virus dell’epatite B può avere un periodo di incubazione lunghissimo di 50-180 gg,
anche perché sappiamo che il virus dell’epatite B è un virus a dna e il suo genoma per poteri
replicare ha bisogno di integrarsi nel genoma cellulare, quindi è chiaro che in base al ciclo di
moltiplicazione, quindi a fattori intriseci genetici del virus stesso, in base alla carica che è legata al
virus cosi come a fattori relativi all’ospite, tutto ciò potrà determinare un’amplificazione o meno del
periodo di incubazione.
Nell’AIDS si può avere sintomatologia dopo 10 anni dall’infezione.
Quindi in realtà l’infezione è dovuta sostanzialmente ad un equilibrio tra la risposta innata(veloce,
immediata ma non specifica) e quella adattativa (richiede più tempo per esplicarsi ma è più
specifica, o comunque attivata affinché si possa indurre quella che è una risposta secondaria di
memoria a quell’antigene).
Nella risposta innata possiamo far rientrare anche quelle che possono essere le barriere naturali
anatomiche, come per le infezioni batteriche l’uomo presenta barriere anatomiche come
l’epidermide, le mucose, che sono la prima interfaccia all’interazione con i virus o comunque con il
patogeno. Abbiamo poi delle difese aspecifiche umorali, dove non si deve intendere la produzione
di anticorpi, ma sono una serie di molecole proinfiammatorie, infiammatorie e non che permettono
di interagire con la risposta immune adattative (quindi le citochine, le interleuchine ecc). esistono
poi altri tipi di difese aspecifiche, quindi sempre nell’ambito della risposta immune innata, dove
tramite le difese aspecifiche umorali si può avere l’attivazione di cellule che in maniera aspecifica
riconoscono il non self, e sono appunto le cellule natural killer ed i macrofagi stessi. Nel processo
adattativo ovviamente poi entrano in funzione quelle che sono le difese specifiche umorali, quindi
gli anticorpi, e le difese specifiche cellulari, quindi i citotossici e i macrofagi attivati dai linfociti che
hanno riconosciuto antigeni specifici. Naturalmente la variabilità recettoriale virale può determinare
una capacità di rispondere ai vari antigeni virali, e quindi intervenire in maniera più o meno attiva
nei confronti del virus.
(DC = cellule dendritiche)
Il sistema immune può interagire con componenti virali quali gli acidi nucleici, in particolare con rna
a doppio filamento che sono particolarmente stimolanti, perché l’rna a doppio filamento nelle
cellule eucarioti non esiste, e di conseguenza è particolarmente reattivo, oltre a questo però anche
DNA, glicoproteine virali che vengono riconosciuti da particolari recettori i toll-like receptor., che
possono essere presenti su cellule dendritiche (quindi cellule a funzione immunitaria ma
ubiquitarie) ma anche sui macrofagi (cellule essenzialmente a funzione immunitaria che possono
accorrere nel sito di infezione). Tutto ciò può indurre la produzione di una serie di citochine ed
interferoni di prima e di seconda classe, che possono così determinare uno stato antivirale nelle
cellule stimolate.
Le cellule dendritiche ed i macrofagi presentano gli antigeni ai linfociti, e le cellule NK intervenendo
possono determinare il riconoscimento a prescindere dalla presentazione delle cellule infette e
quindi determinare la lisi cellulare tramite l’immissione delle secrezioni, quindi azione litica
citotossica.
Il primo evento che possiamo avere quando si ha infezione virale è l’aumento della temperatura
che è mediato soprattutto da citochine proinfimmatorie come il TNFα, ma anche dagli interferoni
che hanno la capacità di indurre uno stato di resistenza indiretta nelle cellule contigue non infette,
e questo è molto importante perché permette di allertare le cellule contigue e di renderle non
accessibili o comunque difendibili; e poi vi è il complemento. Seguono poi i meccanismi di difesa
specifici.
Nella prima fase di riconoscimento di molecole estranee all’organismo di natura virale, si ha
l’attivazione delle cellule dendritiche che presentano al loro interno o sulla superficie un pattern di
riconoscimento recettoriale (PRR) in grado di riconoscere diversi tipi di costituenti virali e attivarsi
nel presentare gli antigeni e quindi nello stimolare le citochine. A loro volta PRR riconoscono sono
prontamente attivati in maniera pleiotropica, cioè da tutto ciò che è estraneo, vi è quindi una
specificità strutturale, però sono non specie-specifica, e questo fa si che la risposta innata sia
immediata.
Questi sono i vari tipi di PAMP e TLR, con effetto, che permettono di avere un primo blocco delle
prime fasi dell’infezioni virali.
Nella risposta innata importante è anche il complemento:
II Fase
Nella seconda fase di risposta dell’immunità innata gli attori (effettori) principali del contenimento
dell’infezione sono le cellule dendritiche (DC), i macrofagi presentanti l’antigene(APC), ma anche
dai linfociti T che a loro volta sono attivati dalle APC (APC dipendenti). L’evento principale è
l’induzione dello stato anti-virale nelle cellule sensibili possibili bersagli del infettante, in maniere
che l’infezione possa non diffondersi alle cellule contigue.
Questo è quello che succede in sintesi:
- il virus interagisce con i recettori cellulari delle DC (si considera la DC essendo essa
ubiquitaria; è quindi quella maggiormente interessata nelle prime fasi, ed è fondamentale
che venga attivata proprio per avere su più fronti il contenimento dell’infezione stessa)
- questo determina la secrezione di citochine sia della prima classe, quindi pro infiammatorie,
come interferoni, che andranno a indurre lo stato antivirale
- intanto questo permette anche la stimolazione di altri tipi di cellule quali NK, macrofagi,
APC
Lo stato antivirale è sostanzialmente mediato dalla famiglia degli interferoni. Esistono diversi tipi di
IFN:
Come si vede nello schema sopra, la cellula infettata è indotta a produrre interferoni, i quali
determinano l’allerta delle cellule contigue.
Quindi sono fondamentali nel processo di evoluzione della risposta immune, se non vengono
prodotte citochine non si ha l’interazione tra le cellule immunocompetenti e non si ha la
progressione nei confronti dei virus.
La classificazione principale è tra le “citochine infiammatorie” e le “citochine immunitarie”, proprio
in relazione alla loro efficacia, e la loro funzione, anche se in realtà è fondamentale il
pleiotropismo. Dalla parte di
replicazione massiva
del virus stesso
Questo può preservarci dalla diffusione alle cellule contigue, e dall’eventuale manifestazione
clinica dell’infezione stessa.
Quindi la sua produzione non dipende dal virus ma è dipendente dalla cellula che lo produce, e
questo è fondamentale perché ci permette di avere un’immediata attivazione antivirale nelle cellule
a prescindere dalla replicazione (se fosse stata virus-specifica, la risposta non sarebbe stata cosi
immediata, perché si sarebbero dovuto avere dei tempi adattativi, ovvero di selezione della
risposta direzionata verso un particolare tipo di virus).
Quindi impedisce proprio l produzione di altre cellule. In passato la capacità dell’IFN a determinare
protezione era già conosciuta negli anni ’70, ma l’utilità terapeutica è venuta solo più tardi quando
si è potuto produrre in quantità più elevate, mediante tecniche di biologia molecolare, l’interferone.
Oggi l’IFN è utilizzato proprio per indurre lo stato antivirale, di allerta, soprattutto alle infezioni da
epatite C, quindi a trattamenti con IFN-gamma. Chiaramente il trattamento può perdurare fino a un
certo punto dell’infezione e quindi dello stato cronico della malattia stessa.
Questo è molto importante perché in prima battuta si impedisce assolutamente al virus di
replicarsi, e quindi di infettare altre cellule.
(ovviamente questo è il meccanismo innescato dall’RNA a doppia elica, ma un meccanismo simile
avviene poi in generale quando ci sono anche altri tipi di molecole, e si hanno PRP, PRR ecc che
vanno a riconoscere antigeni specifici)
L’IFN poi passa dalla cellula dove è stato l’RNA virale a indurre la sua produzione, alla cellula
contigua, impedendo una sintesi degli effettori implicati nel meccanismo d’azione, più o meno
precocemente, permettendo così alla cellula di essere già pronta a bloccare la penetrazione di altri
virus, e quindi la diffusione del virus con replicazione.
Queste sono tutte le cascate di inibizione che possono bloccare la sintesi delle proteine, e la
replicazione virale:
L’interferone può determinare:
Nell’immunità adattativa, e quindi nell’immunità specifica, rientra di conseguenza l’immunità
umorale, che dipende sostanzialmente dagli anticorpi prodotti. Gli anticorpi possono essere
prodotti