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[DISTINZIONE TRA NOMINALISMO E REALISMO:

queste due antichissime correnti filosofiche si contrapposero per secoli riguardo la

natura della realtà, dei nomi e dei concetti (i cosiddetti universali).

Secondo il NOMINALISMO l’essenza delle cose, della realtà non ha un’esistenza, ma

soltanto un significato. Esistono solo significati, elementi astratti, dai quali partono le

creazioni dei concetti. Questa concezione collassa sull’individualismo, poiché non può

esserci una corrispondenza di verità tra le dinamiche individuali e il riconoscimento

collettivo.]

Gli oggetti che conformano la realtà non possono raggiungere direttamente e in

maniera univoca le menti, ma è richiesto uno strumento comune e condiviso che per

Locke è la common acceptation.

Secondo il REALISMO, le essenze che compongono la realtà esistono veramente e

possono essere riconosciute.

I livelli di esistenza degli universali possono essere Ante-Rem (nella mente di Dio) /In-

Re/Post-Rem.

I realisti moderati, che risalgono al pensiero di Duns Scoto (la sua teoria afferma

l’esistenza di alcuni universali mentali che esistono in ogni individuo), sostengono che

post-rem in re

la realtà vera ha esistenza (nella mente dell’individuo) e (nella cosa

esperita/provata attraverso i sensi) e che l’uomo riesce a conoscerla e manipolarla

solo nella fase post-rem. Ciò sancisce il primato della ragione sull’intuizione e

subordina la conoscenza delle cose alle elaborazioni creatrici della ragione

È possibile realizzare astrazioni servendosi solo delle “cose” esperite?

Secondo il realismo sì, in quanto prevede l’esistenza degli universali e dunque

permette di intendere il processo di astrazione come originato dalla realtà oggettiva,

la quale non si aggiunge alla conoscenza dell’uomo così com’è, ma si esplicita

“relazione”;

attraverso il concetto di la relazione è dotata di un particolare status

ontologico che ricava la ragion d’essere della sua esistenza e non dall’essenza.

Dunque dagli elementi primi, esterni ed esistenti, trae spunto la conoscenza; ma tali

elementi non entrano nella mente degli interpreti né così come sono, né sotto forma di

idee o concetti, ma come relazioni. Esse daranno l’input ad originare il processo

semiotico che porterà l’uomo a cogliere le “cose”.

Ripreso successivamente da Peirce, si passa da una relazione tout court a una

relazione di somiglianza, che ci permette di riflettere sulla triade composta da

qualità/possibilità/relazione di somiglianza. Egli assegna per analogia l’aspetto

dell’icona all’astrazione; l’icona costituisce così il segno cardine tramite il quale la

realtà può raggiungere la consapevolezza prima soggettiva e poi collettiva; si tratta di

un segno che vale di per sé e non come conseguenza del vedere. La “relazione di

somiglianza” esiste come tale anche se non è un oggetto numerabile, poiché la sua

unità non è numerica. È dunque l’icona/possibilità/relazione di somiglianza che

congiunge le cose alla mente.

OSTENSIONE ED INDICE:

ci sono due concetti filosofici che potrebbero rafforzare quanto appena affermato: si

logos forma logica,

tratta della nozione di e di sviluppati dagli stoici e da Wittgenstein.

Il logos è considerato il principio attivo del mondo, una specie di identità inafferrabile,

in grado di modellare e contenere tutto il conoscibile. Secondo Plotino il Logos è una

potenza capace di modificare la materia. La forma logica oltrepassa anch’essa il

dicibile e l’esperibile e perciò non può essere mostrato oggettivamente. Questi due

concetti fondativi vanno al di là della realtà oggettiva, poiché concorrono a formarla

identificandosi con essa.

Wittgenstein successivamente criticò questa sua impostazione adottata nel Tractatus,

precisando che con la forma logica non si riesce a spiegare il legame che accomuna la

proposizione elementare con la realtà extra-linguistica (stato di cose). Da questa

critica scaturì la sua seconda teoria del linguaggio che intese il significato di una

parola come il suo uso nel linguaggio. Ai fini della nostra riflessione, questa teoria è

molto importante in quanto subordina alla prassi linguistica sia l’ostensione che

il contenuto indicale. (es. in un paese straniero indichiamo o mimiamo qualcosa-

metodo ostensivo). L’ostensione e la comunicazione indicale rappresentano una

propensione istintiva che induce a richiamare a sé stessi e ad evocare agli altri

contenuti simbolici che sono emanati da oggetti o comportamenti. [in termini fregiani

esibiamo una Bedeutung per dedurre il Sinn].

Ostensione e indicalità costituiscono un’utile possibilità conoscitiva e comunicativa, la

quale priva il linguaggio della sua esecuzione verbale e permette di evocare un

significato dalla conformazione fisica di un oggetto o di un comportamento. Ciò induce

ad identificare la realtà oggettiva con l’elemento indicato. Tuttavia è la comprensione

del gesto deittico sottoforma di icona a far sì che l’oggetto esibito appaia separato dal

contesto esterno e posto in relazione con qualcos’altro. L’indicato, al quale il segno

indice rimanda, interviene a seguito della necessità di esibire fisicamente qualcosa

che somigli ad un referente. L’indice è strettamente legato all’attenzione verso

qualcosa e aspira a rilevare una contiguità, una più forte relazione con

l’indicato/referente. Tale contiguità è naturale in quanto per rivelarsi non richiede

alcuna legge o convenzione, ma solo l’attenzione dell’interprete. Dunque la deissi fa

appello all’attenzione e, come afferma il ricercatore PRONI, diventa un contatto diretto

più un termine.

A questo riguardo torna molto utile ciò che sostiene Peirce riguardo quel tipo di segno

denominato INDICE, che è naturalmente connesso all’oggetto reale.

Viceversa, l’ICONA presuppone l’esistenza di una relazione di somiglianza e rimanda

ad una continuità con qualcos’altro poiché le sole immagini non potranno mai

veicolare la minima informazione. Ciò perché le icone vengono considerate da P come

possibilità e perciò dotate di bassa densità ontologica.

Nel momento in cui il processo conoscitivo (quello che avviene per via semiotica)

abbandona la sfera della possibilità per attualizzarsi in segni regolari, allora

subentrano gli indici.

Dunque la conoscenza ostensiva agevola l’acquisizione di un significato nel senso del

Sinn di Frege a partire da un referente oggettivo recepito coi sensi.

Tale conclusione sembra sentire la tesi di Wittgenstein secondo cui la corretta lettura

di una pratica ostensiva è subordinata all’uso del linguaggio ed all’osservazione di una

prassi.

Tuttavia si tratta di una smentita apparente poiché l’ostensione di un

riferimento(Bedeutung) indurrà il soggetto a localizzare l’indicato come

significato(Sinn) che, come ci ricorda ancora Frege, non sarà mai unico e univoco, ma

sarà il frutto delle circostanze e di tutti quegli elementi contestuali ai quali si sarà

assegnata una particolare importanza. La Bedeutung è solo una mentre ci possono

essere più Sinn, ciò dimostra dunque l’importanza dell’interpretazione e l’impossibilità

di cogliere nell’ostensione la continuità tra realtà, pensiero e linguaggio.

Dunque (nonostante il senso comune induce a considerare l’indice ed l’ostensione

rispettivamente il segno e la modalità conoscitiva che delineano l’immediata

continuità fisico-simbolica del rapporto uomo-realtà) dall’analisi delle dinamiche

conoscitive messe in atto dall’indice e dall’ostensione emerge la fallacia

dell’ipotesi/supposizione secondo cui l’ostensione sarebbe un procedimento che

trascura il linguaggio, sganciato da qualsiasi interpretazione simbolica; mentre rimane

in piedi l’ipotesi secondo cui ciò che dà valore conoscitivo all’ostensione e all’indicato

è la loro implicita costituzione semiotica la quale, sotto forma di

icona/possibilità/relazione di somiglianza, rappresenta lo strato più profondo dal quale

ha sempre origine ogni ipotesi di comprensione possibile. È l’icona, intesa come

relazione di somiglianza e non come il prodotto del vedere, che rende plausibile la

traduzione della realtà in pensiero linguisticizzato.

Dunque la realtà extra-linguistica si connette ai significati linguistici seguendo un

percorso articolato; questa connessione si realizza mediante il segno con il quale

entriamo a contatto, il SEGNO ICONICO.

Ciò affida alla relazione di somiglianza il ruolo fondativo di qualsiasi processo

conoscitivo. Da ciò indice ed ostensione possono essere intesi solo come indicatori di

una correlazione semiotica, inoltre presuppongono un’interpretazione in presentia,

poiché l’oggetto della conoscenza deve essere immediatamente riconoscibile; con

l’ostensione si adotta il criterio cardine di ogni comunicazione non verbale: la rigida

dipendenza dal contesto enunciativo; ciò implica che mittente e destinatario siano

inglobati nel medesimo gioco linguistico.

Dunque con l’icona P di fatto individua e spiega il legame “sotto qualche rispetto o

capacità” che connette mente e realtà, poiché egli ammette l’esistenza sia della realtà

extralinguistica, sia dei segni, intesi come strumenti in grado di porgere la realtà

all’attenzione e alla conoscenza degli individui.

Secondo P tutta la conoscenza è in segni e il segno è mediazione/connessione tra

soggetto e realtà; senza l’apporto della struttura semiotica la realtà cesserebbe di

esistere per la mente di un interprete. La conoscenza si esplicita dunque grazie alla

capacità della mente di comporre e interpretare interferenze. Tale procedimento

chiamato semiosi illimitata rende possibile un continuo avvicinamento cognitivo

all’oggetto dinamico, che precisa P è realmente esistente e quindi anche conoscibile.

Peirce catalogò i segni in triadi in base al contesto oggettuale e quindi in base alle

somiglianze con una ben circoscritta porzione di realtà; egli sostiene che i tre tipi di

segni coesistono quindi non indica mai una gerarchia, anche se adotta una

classificazione di degenerazioni:

il primo momento conoscitivo viene colto dalla mente come mera possibilità, ovvero

come icona

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Publisher
A.A. 2017-2018
5 pagine
1 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/05 Filosofia e teoria dei linguaggi

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher kiara.cz di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia del linguaggio e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università della Calabria o del prof Lo Feudo Giorgio.