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S R R
Str Str Con Str
streptomicina
+ - - +
Thr Thr Thr Thr
+ - - +
Leu Leu Leu Leu
Gli F’
Quando un plasmide Hfr si escinde dal cromosoma può portarsi dietro dei
frammenti cromosomici, anche un intero operone. Il plasmide che si forma è
detto plasmide F’, e quando viene trasferito viene trasferito anche l’operone
incorporato.
Essendo che il gene è integrato in F’ e che F’ è un plasmide intero, in
grado di replicare, il gene è stabile nel ricevente e si può avere una
situazione di parziale diploidia o merodiploidia.
Questo è utile per fare i test di complementazione. Essi inizialmente sono
stati usati sui diploidi, ma possono essere usati anche sui diploidi parziali.
-
Se il procariote ha un fenotipo Trp ed io gli metto un plasmide che ha il gene
che nel procariote è mutato, il plasmide complementa la mancanza del
+
procariote, che da quel momento dimostrerà un fenotipo Trp . Dato che con
un plasmide si può trasferire un operone intero, se nell’operone del donatore
c’è un ulteriore mutazione, si osserva una complementazione di entrambe le
mutazioni se sono in geni differenti. Infatti, dato che le proteine diffondono nel
citoplasma, per attivare la via biosintetica del Trp è sufficiente che vengano
prodotte da qualche parte.
Configurazione trans = quando due mutazioni sono presenti su due diversi
cromosomi oppure la mutazione c’è su un cromosoma solo e sull’altro no. Se
queste mutazioni sono su geni differenti allora c’è complementazione, se
sono sullo stesso gene non c’è.
Configurazione cis = quando le due mutazioni sono sullo stesso
cromosoma. Se queste mutazioni sono recessive ci può essere
complementazione, se invece sono dominanti no.
Il test di complementazione in cis serve come controllo. (?)
N.B.: Nel test di complementazione non deve avvenire
ricombinazione! Infatti per verificare la mutazione è necessario
che le mutazioni siano in trans. Però può accadere che il gene
F’ si integri nel cromosoma del ricevente.
Una cellula può avere molti plasmidi, alcuni coniugativi altri non coniugativi.
Però può avvenire la ricombinazione tra un batterio coniugativo ed uno non
coniugativo, che rende il batterio non coniugativo in grado di coniugare. Può
anche succedere che uno non sappia coniugare ma abbia ORI-T e l’apparato
di coniugazione gli sia fornito da un plasmide coniugativo.
La trasduzione
I virus
I virus sono elementi genetici in grado di replicare autonomamente rispetto ai
cromosomi batterici, ma non rispetto alla cellula stessa, che è detta ospite. Al
contrario dei plasmidi, i virus posseggono una forma extracellulare.
Nella forma extracellulare, detta particella virale o virione, il virus è composto
da: Un acido nucleico.
Un involucro fatto da proteine ed occasionalmente altra
macromolecole.
Il virione è la forma attraverso cui il genoma virale viene trasportato dalla
cellula in cui è stato prodotto ad un’altra in cui può riprodursi, dando così
inizio alla fase intracellulare, in cui avviene la replicazione del virus:
Vengono sintetizzate molte copie del virus.
Vengono sintetizzate e assemblate le proteine del capside.
Il processo di ingresso in cellula e riproduzione è detto infezione e in questo
processo c’è una forte dipendenza del virus dai meccanismi biosintetici
dell’ospite: il virus ne riprogramma le funzioni metaboliche in vista della
produzione di nuovi virioni.
I virioni si possono trovare anche in fase intracellulare nelle fasi tardive
dell’infezione.
I virus si dividono, a seconda della preda, in:
Virus degli animali.
Virus dei vegetali.
Virus batterici o batteriofagi.
Inoltre il sistema di classificazione di Baltimore prevede la classificazione in
base al tipo di acido nucleico presente nel virione:
Virus a DNA:
dsDNA;
o ssDNA.
o
Virus a RNA:
dsRNA;
o ssRNA.
o
Virus che usano entrambi i tipi di acido nucleico in momenti diversi del
ciclo “vitale”:
Retrovirus: sono a RNA, ma usano un intermedio a DNA (ss o
o ds).
Epadnavirus: sono a DNA, ma usano un intermedio a RNA (ss o
o ds).
La struttura del virione
Il virione generalmente ha una dimensione di circa 20-30nm. Il genoma può
essere lineare o circolare e può essere composto da una o più molecole; le
dimensioni sono di circa 1000-5000, i più piccoli contengono solo 5 geni.
Capside = rivestimento proteico formato da delle subunità strutturali
proteiche che assemblandosi formano i capsomeri. I capsomeri
sono strutture ripetute formate da proteine in grado di auto-
assemblarsi, anche se possono essere aiutate da degli chaperon,
che però non fanno parte della struttura finale.
Nucleocapside = acido nucleico + capside.
Alcuni virioni presentano al proprio interno degli enzimi per l’infezione, come
ad esempio il lisozima, che “buca” la parete dei batteri. In realtà alcuni
contengono anche delle polimerasi, per trascrivere l’acido nucleico senza
usare quella della cellula ospite.
Alcuni all’esterno del nucleocapside presentano un involucro
pericapsidico, che consiste di un doppio strato lipidico con delle proteine.
Il nucleocapside può avere una simmetria:
• Elicoidale: sono detti virus bastoncellari e la loro lunghezza dipende
dalla lunghezza del genoma; infatti le proteine sono assemblate a
formare un’elica di proteine attorno all’acido nucleico. Es. virus del
mosaico del tabacco.
• Icosaedrica: la struttura è simile ad una sfera, è un poliedro con 20
facce e per ogni faccia ci sono 3 subunità strutturali.
A volte i virus hanno una testa icosaedrica e una coda elicoidale (es. fago
T4).
Analisi quantitativa dei virus
Placca virale = fenomeno attraverso il quale una cellula, contornata da altre
cellule in maniera confluente e in monostrato, se viene infettata da un virus
permette la produzione della progenie, che viene liberata mediante lisi della
cellula stessa. Quando la coltura cellulare è immobilizzata da agar i virus
prodotti possono infettare solamente le cellule adiacenti e così si forma una
placca di lisi che dopo colorazione delle cellule ancora vive è visibile ad
occhio nudo come una sorta di buco nella coltura cellulare.
I virus sono troppo piccoli per venire contati, così si fa una stima quantitativa
in base ai danni che vengono creati sulle singole cellule. Si definisce unità
infettiva virale la più piccola unità capace di causare un danno rilevabile in
presenza di un ospite suscettibile.
La stima della quantità dei virus è data dalla determinazione del numero
di unità infettive per il volume del fluido.
Un metodo per quantificare i virus presenti in una soluzione è il saggio delle
placche: funziona come la conta batterica vitale, si piastra su agar il la
soluzione batterica con i virus e si contano le placche che si formano,
presupponendo che ogni placca si formi da un singolo virione, formando delle
colonie pure. Dato che l’efficienza di infezione è spesso ben lontana dal
100%, si usa esprimere il risultato come unità formanti placca (Ufp).
Il procedimento è lo stesso per determinare le unità formanti colonia e le unità
formanti placca:
Ufc o Uft n ° colonie o placche × fattore di diluizione
=
mL v olume piastrato
Certo bisogna usare una diluizione adeguata perché non si crei un
sovraffollamento di virus tali che i virioni possano andare in giro e le placche
possano essere il risultato di più di un virione. Tenendo conto del numero di
colonie piastrate e della diluizione del virus ottengo quindi il numero di ufp,
che corrisponde al numero di virioni in grado di infettare.
Un parametro importante è l’efficienza di piastramento:
Ufp
mL
Efficienz a di piastramento= × 100
Virus contati al TEM
La replicazione virale
La replicazione virale prevede 5 fasi in base alle quali si può costruire la
curva di crescita del tal virione:
1. Attacco (adsorbimento) del virione alla cellula ospite suscettibile.
2. Penetrazione (iniezione) del virione o del suo acido nucleico nella
cellula ospite.
3. Sintesi di acido nucleico prima, delle proteine e dell’eventuale involucro
poi.
4. Assemblaggio delle subunità strutturali (e dell’eventuale involucro) e
impacchettamento dell’acido nucleico nelle particelle virali.
5. Rilascio dei virioni maturi dalla cellula.
La curva di crescita della replicazione virale è detta a ciclo unico. Inizialmente
c’è un periodo di adsorbimento, in cui non c’è crescita, poi inizia un
periodo, detto eclissi, che prevede la separazione dell’acido nucleico dal
capside proteico, e intanto avviene la riprogrammazione del metabolismo
cellulare. Questa dura fino alle prime fasi dell’assemblaggio, momento in cui
si assiste ad un periodo di maturazione dei virioni. Il periodo in cui non ci
sono virioni extracellulari è detto periodo latente ed il numero di virioni che
vengono rilasciati è detto dimensione di scoppio.
Virus temperati
Alcuni virus sono solo virulenti, ma altri, detti temperati, possono scegliere
una via diversa alla lisi cellulare: la lisogenia, cioè un’espressione solo
parziale del genoma virale, che viene replicato insieme al cromosoma
batterico ad ogni ciclo cellulare. E’ una sorta di latenza che può essere
risvegliata se viene eliminato il repressore dei geni che controllano il ciclo
litico, che è codificato dal fago. Questo repressore inoltre inibisce
l’espressione di qualunque altro genoma virale simile, conferendo al batterio
una sorta d’immunità. I batteri che li contengono, detti lisogeni, producono
spontaneamente dei virioni dei virus temperati se però questo repressore
viene a mancare.
Il genoma virale viene integrato nel cromosoma batterico e viene tramandato
alla progenie. Questo stato latente del virus è detto pro-virus o profago.
Il batteriofago lambda
Il fago lambda è un fago di E. Coli e il suo genoma è una molecola lineare di
dsDNA che ad ogni 5’ ha una coda a ssDNA di 12 nucleotidi (-> estremità
protruding o coesive), che servono a circolarizzare il genoma quando è in
cellula. Esso possiede sia la via litica sia quella lisogenica: di solito sceglie la
via litica, ma a volte questo non accade.
Quando il DNA di lambda entra in cellula si circolarizza quasi subito e la RNA
polimerasi inizia a trascrivere a partire da due