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Management nelle aziende che operano in Italia. La ricerca ha acconsentito di identificare quale sia
l’approccio al Diversity Management più diffuso in Italia, utilizzando metodi qualitativi e quantitativi.
La survey ha coinvolto un campione molto focalizzato di aziende che operano in Italia, su 113 questionari
inviati, 90 sono stati compilati. Le aziende appartengono a diversi settori produttivi con prevalenza nel
settore manifatturiero, e nella distribuzione commerciale.
o Il 60% di queste aziende ha dichiarato di implementare una strategia di DM da meno di 6 anni.
o Il 79% delle aziende ha dichiarato di implementare queste strategie di tipologia proattiva
focalizzata sull’innovazione. I risultati della ricerca
I risultati di questa ricerca permettono di descrivere i principali elementi alla base delle politiche di DM in
Italia:
1) Le ragioni alla base dell’avvio delle iniziative: adottare tali politiche sono la decisione strategica
della proprietà e le attese di comportamenti responsabili degli stakeholder. Minore è invece il
fattore della diversità dei mercati.
2) Le dimensioni della diversità più valorizzate: Le aziende hanno qui indicato il genere, la genitorialità,
la disabilità. Come la parità uomo donna.
3) Le pratiche implementate: La maggioranza delle aziende implementa lavoro flessibile, come ad
esempio il part-time, esse vogliono creare un buon clima organizzativo, e diffondere benessere tra i
collaboratori. Altre pratiche sono l’uso di network gestiti dai collaboratori. Il 46% delle aziende ha
dichiarato di non impiegare in nessuna area la diversità nei collaboratori.
4) La comunicazione sul tema: se e come la comunicazione può far crescere i programmi di DM sia
all’interno che all’esterno. All’esterno essa è svolta quasi principalmente da aziende con premi
riconoscimenti o partnership con enti. All’interno è fatta da quasi tutte le aziende con dichiarazioni
ufficiali o azioni.
5) Le strutture di presidio presenti: queste strutture sono deboli e spesso non esiste un ruolo o un ente
dedicato ed il vertice aziendale rimane poco coinvolto. Le multinazionali straniere risultano essere
più strutturate su questo tema rispetto alle aziende italiane.
6) I benefici e gli ostacoli riscontrati: Le aziende del campione hanno ottenuto benefici in termini di
miglioramento della motivazione dei collaboratori. Nessun rispondente ha dichiarato di non aver
ottenuto alcun beneficio.
I principali ostacoli riscontrati, possono definirsi in termini di difficoltà di misurazione degli
investimenti. La comunicazione nel Retail
È possibile affermare che esiste una componente di retail in ogni attività produttiva, ovvero quella
componente relazionale con i destinatari dei prodotti e servizi dell’impresa che espone anche il produttore
alla gestione di una rete di relazioni, in grado di portare vantaggi competitivi e legittimazione d’agire di ogni
impresa. Il Corporate Branding nel Retail
Crescita e profittabilità sono determinata dai fattori:
Che più incidono sulla soddisfazione.
Che incidono sulla lealtà del consumatore.
I retailer si sono spinti a puntare con maggiore enfasi sul retail corporate branding.
Retail corporate branding: strategia per gestire e comunicare tutti gli aspetti che contribuiscono a
trasmettere all’esterno e all’interno l’unicità del corporate brand e della customer experience.
Il corporate brand può essere definito come la somma dei valori che rappresentano l’organizzazione.
Esso si basa sulle esperienze di colore che interagiscono con l’azienda, che rinforzano la percezione dei
valori del corporate brand veicolati tramite la comunicazione implicita ed esplicita dell’azienda.
Rispetto ai produttori i retailer:
Agiscono all’interno di un ambiente retail-controlled.
Sono centrati sulla relazione e sul contatto diretto con il consumatore.
Sono costituiti da un network di punti vendita o luoghi di erogazione dei servizi.
I retailer necessitano di comunicare i valori del corporate brand ad un’ampia varietà di stakeholder, con
un’altrettanta ampia varietà di modalità e strumenti. Il punto vendita rappresenta uno spazio per
comunicare e fondamentale.
In-store branding: comunicazione e dimensione esperienziale nel punto vendita
Dimensioni che sviluppano il retail corporate branding:
1. In-store branding: si sviluppa tramite l’ambiente del punto vendita e l’esperienza che in esso vive il
consumatore.
2. Interpersonal branding: si affida alle relazioni con il personale di contatto che influiscono sulla
percezione dell’esperienza e del retail corporate brand da parte dei clienti. Grande rilevanza
assumono quindi le attitudini e i comportamenti del personale di contatto.
3. External branding: la comunicazione esplicita e coordinata dei valori del corporate brand,
attraverso ad esempio la pubblicità sui mass media e in-store e il direct marketing.
In-store branding e l’interpersonal branding: sono le dimensioni della comunicazione che più
caratterizzano il retail rispetto all’industria, la cui comunicazione è invece generalmente centrata sulla
pubblicità e in generale sulla dimensione di external branding.
La customer experience: include ogni punto di contatto tra il consumatore e l’azienda, il prodotto e il
servizio. L’atmosfera e il design del punto vendita svolgono una molteplicità di funzioni:
Packaging, avvolgendo il servizio erogato.
Facilitatore: facilitando l’uso degli spazi all’interno del punto vendita.
Socializzatore: interazioni tra personale di contatto e clienti.
Differenziatore: comunica un certo posizionamento o contribuisce alla costruzione del retail
corporate brand.
I punti vendita: diventano dei palcoscenici dove interpretare il retail corporate brand e i suoi valori e dove
fare partecipare il cliente alla rappresentazione cogliendo così l’informazione necessaria a mantenere viva
l’offerta.
Le due strategia che si focalizzano sul miglioramento dell’esperienza del consumatore nel punto vendita
sono: intrattenimento e multisensorialità.
1. L’intrattenimento nel punto vendita:
La convergenza tra la componente simbolica e d’intrattenimento con quelle tipiche di tipo funzionale e
utilitaristico favorisce lo sviluppo di un mercato definito retailtainment. La concorrenza e le relazioni con il
consumatore si spostano su dimensioni evocative o emozionali in grado di valorizzare l’esperienza fisica
dell’acquisto e di potenziare la funzione comunicativa del punto vendita.
Holbrook e Hirschmann: hanno messo in rilievo la contrapposizione nel comportamento di consumo tra:
la classica information processing view, che si basa sulla razionalità logica del processo decisionale e sulla
ricerca di attributi funzionali e utilitaristici, e l’experiential view, che si fonda invece sulla concezione
dell’esperienza di consumo come attività volta alla ricerca di fantasie, emozioni, creatività, stimolazioni
sensoriali e divertimento.
Marketing esperienziale: in cui l’obiettivo primario è individuare il tipo di esperienza che valorizza al meglio
il prodotto. Shmitt prevede cinque tipi di esperienze:
1. Sensory: esperienze che interessano la percezione sensoriale.
2. Affective: esperienze che coinvolgono i sentimenti e le emozioni.
3. Creative-cognitive: esperienze creative e cognitive.
4. Physical: esperienze che coinvolgono la fisicità.
5. Social-identity: esperienze risultanti dalla relazione con il gruppo.
Esse possono essere create per i clienti attraverso le “experience provider”, ovvero la comunicazione,
identità verbale e visuale, presenza del prodotto, co-branding, media elettronici e personale di contatto.
Negli studi di sociologia è stato messo in luce come le imprese per differenziare l’offerta puntino su forme
di spettacolarizzazione e intrattenimento volte ad attrarre persone e a indurle ad acquistare all’intero dei
nuovi luoghi di consumo, definiti “supermerci” o cattedrali di consumo.
Nell’ambito del retail alcuni autori utilizzano l’espressione “retail spectacles” per indicare la realizzazione di
spazi retail sempre più spettacolari e votati a promuovere un’esperienza presso i consumatori.
2. La multisensorialità nel punto vendita
Il comportamento dei consumatori è contrassegnato dalla multisensorialità, intesa come ricerca di un
coinvolgimento globale di tutti i sensi nell’esperienza del consumo.
La comunicazione sensoriale: si attiva nel punto vendita e può essere associata idealmente alla
“sinestesia”, figura retorica che mette in relazione due o più sistemi sensoriali in un unicum dotato di un
significato proprio. L’obiettivo di queste tecniche è creare ambienti in cui i cinque sensi cooperino
armoniosamente nel creare un’esperienza sensoriale unica per il cliente.
Gli strumenti di stimolazione sensoriale sono:
1. Vista: Il design comprende diversi elementi come pavimentazione, sistemi di illuminazione e
climatizzazione, muri perimetrali, ascensori e scale. Il layout riguarda l’organizzazione spaziale del punto
vendita, ovvero dimensione e posizione degli spazi di vendita, di esposizione delle corsie, criteri di
aggregazione dei prodotti e sequenza dei reparti. Al layout si aggiungono altre tecniche di merchandising
volte a definire le modalità di esposizione dei prodotti nello spazio espositivo, la cartellonistica e la
cartellistica.
Il colore è un fondamentale mezzo di comunicazione non verbale, è in grado di agevolare la comprensione
dell’ambiente circostante e di suscitare emozioni, esercitando un effetto psicologico positivo sul personale
e clienti. La luce svolge un ruolo fondamentale nella valorizzazione dei colori e del loro significato.
2. Udito: riguarda l’utilizzo di musica e suoni nel punto vendita per contribuire a creare un’atmosfera
adeguata al retail corporate brand. Musica: può contribuire a migliorare l’esperienza emozionale del cliente
E modifica la percezione dei tempi d’attesa.
3. Tatto: assume un ruolo centrale nella progettazione di un ambiente che faciliti il contatto tra cliente,
struttura fisica e prodotto o servizio e aumenti la qualità dell’esperienza e del piacere edonistico. Materiali:
contribuiscono a trasmettere messaggi attraverso codici tattili.
4. Olfatto: utilizzare profumi e odori che stimolino la componente emozionale del cliente o che creino
atmosfere peculiari. Nel retail l’uso degli odori è volto a migliorare le capacità relazionali dei prodotti e dei
servizi offerti, ad accrescere il tempo speso dal cliente all’interno del punto vendita e ad aumentare le
associazioni positive con i singoli prodotti o con il re