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I PRIGIONIERI ITALIANI IN MANO AMERICANA
Si tratta delle sorti dei prigionieri italiani dopo la firma dell’armistizio da parte
del governo Badoglio l’8 settembre del 1943. Il 25 luglio Mussolini era stato
sfiduciato dal Gran Consiglio del fascismo, si presenta al Re sperando nella
conferma del suo ruolo di Primo ministro. IL re lo fa imprigionare e portare in
Abruzzo.
La notte tra l 9 e il 10 luglio del 1943, 15 giorni prima di essere sfiduciato, gli
Americani avevano messo in piedi l’operazione Husky dove si decideva
l’invasione della Sicilia, completata in due mesi. Fondamentale furono le
trattative americane con la mafia. Nel corso di queste operazioni gli americani
portarono avanti una campagna propagandistica: lanciavano volantini
chiedendo ai soldati italiani di arrendersi spontaneamente, perché sarebbero
stati immediatamente liberate. Fu in parte uno specchietto per le allodole: su
100/120.000 che si consegnarono, 65.000 furono effettivamente liberati. Gli
altri servivano alle esigenze belliche dei paesi ancora in guerra, cioè Francia e
Gran Bretagna, e portati negli USA con le navi “Liberty”, adatte al trasporto dei
prigionieri.
Altri 50.000 prigionieri venivano dalla campagna d’Africa, combattuta lì per le
mire tedesche di impadronirsi delle colonie franco-inglesi. 123.000 erano quelli
catturati originariamente: 50.000 portati in America, gli altri furono tenuti nelle
colonie per farli lavorare nelle retrovie: servivano le truppe americane (alcuni
dietro retribuzione). In America i campi di prigionia erano ben attrezzati, in
Africa no.
I prigionieri portati negli USA a partire dal 41-42, fino al 1943 vissero una
parentesi dorata: avevano buon vitto e alloggio, avevano campi sportivi. Nel
1943 la situazione cambia, con l’armistizio dell’8 settembre. L’Italia aveva
cambiato fronte, ma in una maniera del tutto ambigua: il proclama di Badoglio
era fallimentare, si trattava di un programma politico che non dava
effettivamente indicazioni alle truppe sul comportamento da adottare.
« Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la
impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di
risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione ha chiesto un
armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze
alleate anglo-americane.
La richiesta è stata accolta.
Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte
delle forze italiane in ogni luogo. [4]
Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza. »
Dunque tutti i soldati italiani che si trovavano al fronte furono colti di sorpresa
dall’esercito tedesco, che aveva sentito anticipatamente del cambio di fronte
dell’Italia. Gli italiani invece non furono spesso neanche informati.
Ma perché una così cattiva gestione di una notizia così importante? Tutto
l’establishment politico e militare italiano voleva gestire delle trattative che
fossero favorevoli all’Italia. Prima dell’8 settembre Badoglio tiene il piede in due
scarpe: conduce trattative sia con gli USA che con la Germania.
I nostri prigionieri italiani andavano incontro a delle conseguenze importanti:
gli Italiani si aspettavano di non uscire completamente sconfitti da quella
guerra, con Badoglio che sperava in un trattamento di favore. Gli alleati se
n’erano accorti e non avrebbero mai trattato gli italiani come degli interlocutori
alla pari, ma come gente che aveva giocato fino all’ultimo la carta
dell’ambiguità. All’Italia non fu mai concesso il titolo di “cooperatore”,
nonostante avesse firmato l’armistizio. Era ufficialmente un paese vinto, un
“banco di prova” che avrebbe introdotto un nuovo banco, cioè la resa
incondizionata della Germania.
A Quebec, il generale Eisenhower promette a Badoglio che l’Italia sarà
ricompensata proporzionalmente al suo futuro apporto alla guerra: in pratica se
l’Italia avesse appoggiato la causa alleata, avrebbero cercato di limitare gli
aspetti negativi dell’armistizio che di fatto era una resa. Gli italiani, per
accettare l’armistizio, non potevano accettare il termine “resa”: ufficialmente
GB e USA avevano scritto quello, ma la resa era di fatto tale.
La speranza di Badoglio era di contrattarne i termini, e a Quebec si apre questo
spiraglio per l’Italia. Non tutti i vertici politici e militari USA e GB concordano:
Eisenhower parlava per sé, e alla resa dei conti la situazione non sarebbe stata
favorevole all’Italia.
Tra il settembre e dicembre del 1943 Badoglio e lo Stato maggiore dell’esercito
organizzano dei nuovi reparti, che sarebbero nati dalle ceneri dei vecchi reparti
che avevano combattuto la guerra al fianco della Germania. Non erano però
sufficienti numericamente, nè avevano equipaggiamento adatto alla guerra:
l’unico equipaggiamento di cui avrebbero potuto disporre era quello che
sarebbe stato dato loro dagli alleati. Anche la qualità dei soldati era scarsa: i
migliori ufficiali erano stati fatti prigionieri dagli alleati in tutti e si trovavano in
tutti i contesti mondiali (USA, Africa, Europa, Russia in mano tedesca, Medio
Oriente). Era un esercito di scarti e fanatici, che senza ufficiali di peso non
avrebbero potuto combattere.
Nonostante questo, Badoglio fece i conti senza l’oste: i progetti erano velleitari.
Si vorrebbe combattere ancora, ma non si hanno i mezzi: si cerca di forzare la
situazione. I vertici politici e militari alleati si rendono conto che l’esercito è
impreparato, e propongono una forma di compromesso intermedia: l’Italia
potrà partecipare a questo nuovo sforzo bellico mettendo a disposizione gli
uomini non come combattenti, ma come soldati prigionieri al servizio delle
truppe alleate (i reparti italiani ancora in libertà potevano fare lavori ausiliari
per le truppe USA e GB, e i prigionieri in mano alleata avrebbero servito
l’esercito straniero assolvendo a lavori manuali).
Questa prospettiva non interessava però a Badoglio: minore l’apporto alla
causa, minore la ricompensa per l’Italia.
Gli alleati comunque riservarono degli inganni all’Italia. Sembrò inizialmente
che i progetti italiani venissero accettati: gli italiani schierarono il primo
raggruppamento motorizzato, un battaglione limitato, ma fece pensare a
Badoglio di poter cavalcare questo disegno. Ma nei mesi fu evidente che le
disponibilità italiane erano limitate (di raggruppamento ce n’era uno), e GB e
USA sembrano propensi a proporre agli Italiani la “cooperazione”. Era rivolta ai
prigionieri italiani in mano alleata su tutti i fronti di guerra, che avrebbero
potuto assolvere a quei lavori di cui si parlava sopra.
24/10
Dopo l’8 settembre Badoglio capisce che i prigionieri all’estero si trovano in
condizione svantaggiose, se non tutelati il più possibile. Nasce l’Alto
Commissariato per i prigionieri di Guerra, un’agenzia di difesa per i prigionieri
in tutto il mondo (n mano alleata e tedesca). Alla Presidenza Badoglio mette un
ufficiale ex prigioniero, Piero Gazzera. Come Badoglio era un soldato, non un
politico. Nel 1929 era stato scelto come ministro della guerra per le sue
competenze.
Quando nel 33 si dimette, torna a combattere. Viene fatto prigioniero e portato
in Arkansas. Quando Badoglio decide di instituire questo commissariato ritiene
che l’unica persona in grado di difendere le prerogative dell’esercito sia lui. Si
era opposto alla completa fascistizzazione dell’esercito, provando ad evitarne
una politicizzazione che l’avrebbe distrutto.
La scelta di Gazzera fu contestata: in un’Italia dove si parlava di epurazione,
riproporre un uomo del genere era contestato (era un pilastro del vecchio
establishment, tuttavia aveva le competenze per il ruolo che rivestiva).
In Arkansas, definito il “Campo per ufficiali”, Gazzera viene avvicinato dalle
autorità statunitensi perché ritenuto l’uomo più vicino a Badoglio, l’uomo che
può diventare il portavoce delle istanze americane a Badoglio: vogliono
costituire coi prigionieri italiani le Italian Service Units. Nelle prospettive di
Badoglio sono dei battaglioni da mandare al combattimento contro la
Germania, ma in quelle Americane non saranno battaglioni, ma truppe al
servizio di quelle Americane. Se Badoglio sperava che queste unità avrebbero
avuto un ruolo all’interno di questo nuovo esercito che sperava nascesse, gli
americani sapevano che sarebbero state unità di manovalanza.
Gazzera, fin dall’inizio, sostiene di stare agli ordini di Badoglio: se accetterà la
nascita delle ISU darà il suo assenso, in caso contrario no. Nel gennaio del 1944
viene rilasciato “on perol” (sulla parola): era destinato ad un ruolo importante
nelle ISU. Nell’aprile del 1944 nasce il comitato e diventa presidente.
Le trattative con gli americani vanno avanti, finchè non si stabilisce una
commissione italo-americana alleata. Le proposte di Badoglio sono di costituire
dei battaglioni di soldati, a capo dei quali ci saranno soldati italiani. La conditio
sine qua non era che tutti i prigionieri italiani più validi sarebbero dovuti essere
stati rimpatriati, per dare peso ai battaglioni.
Lo Stato maggiore dell’esercito stila una lista di 125 uomini(ufficiali più validi) e
si pensa che gli Americani rimpatrieranno questi elementi. Le cose andranno
diversamente.
Si arriva ad uno stallo: nessuna decisione viene presa, mentre le trattative per
il rimpatrio dei 125 continuano. Nel giugno 1944 le autorità statunitensi
scavalcano il comitato: entrano nei campi e chiedono un’adesione individuale
ai prigionieri per le ISU. Significava che chi aderiva ai battaglioni diventava
collaboratore degli americani (con dei vantaggi, come la libertà di movimento
dei campi, l’uso della posta e del telegrafo, il vedere amici e parenti negli USA.
Chi non firmava era considerato fascista: non solo non avrebbe avuto i privilegi,
ma sarebbe stato discriminato. L’unità dei prigionieri viene rotta, e si formerà
in tutto il mondo un fronte di prigionieri collaboratori e uno di prigionieri
fascisti.
Badoglio contesta la mossa: chi aveva aderito alle ISU non aveva firmato per
combattere contro la Germania, ma per essere sottoposti ad altri lavori (senza
chiedere l’assenso del governo Italiano). In secondo luogo, la firma dei
collaboratori significava la condanna dei secondi. L’alto commissariato era
indignato perché questo consenso avrebbe dovuto essere organizzato a livello
statale: sarebbe stato lo Stato, e non i prigionieri a livello individuale, ad
accettare o no