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REDUP REMOTE PST SG M
“Ha lavorato molto bene”
Infine, la reduplicazione automatica è un tipo di reduplicazione obbligatoriamente realizzata in
combinazione con un affisso, che di norma non aggiunge alcun significato all’intera costruzione.
Prendiamo un esempio dall’ilocano (lingua austronesiana, Filippine):
agin (pref.) “far finta di” + singpet “comportarsi bene” >
> agin-si-singpet “fingere di comportarsi bene”
1.1 Funzioni della reduplicazione
I morfemi reduplicativi possono avere diversi significati e funzioni; in alcune lingue lo stesso
morfema denota significati quasi opposti. In ilocano, per esempio, se il prefisso reduplicativo viene
applicato ai nomi, allora avrà funzione distributiva; quando applicato ai numerali, invece, indica
limitazione: sab-sábong (“diversi fiori”), wal-waló (“solo otto”).
Come già accennato, con verbi ed aggettivi la reduplicazione può essere usata per denotare vari
aspetti, come il numero (pluralità, distribuzione, collettività), la distribuzione degli argomenti, del
tempo e dell’aspetto verbale (continuativo, iterativo, completivo, e così via), ma può codificare
anche attenuazione, intensificazione, informazioni sulla transitività e reciprocità. Vediamo alcuni
esempi:
[3] alabama (lingua muscogena, Alabama) – marca di attenuazione tramite geminazione
sull’aggettivo (Hardy and Montler 1988);
asatka “freddo” > kássatka “fresco” 4
lamatki “dritto” > lámmatki “piuttosto dritto”
[4] luiseño (lingua uto-azteca, California) – utilizza due tipi di reduplicazione (copia della radice e
copia della base con cambiamento fonetico) per indicare azioni plurali, distinguendo tra
un’azione compiuta una volta, due volte o più di due volte (Kroeber&Grace 1960);
lawi “scavare una fossa” >
> law-lawi “scavare due fosse/scavare una fossa due volte” >>
>> lawa-láwi “scavare tante fosse” (più di due)
In questa lingua, i morfemi reduplicativi che vanno a marcare i nomi aggiungono informazioni
come numero, caso, distributività, indefinitezza, reciprocità, dimensioni (diminutivo o
accrescitivo) e qualità associative.
[5] ilocano – reciprocità (Rubino 2000: 84)
balem-bales
vendetta
[ - ]
REDUP
“Vendicarsi l’uno dell’altro”
[6] yawelmani (lingua penutiana, California) – associatività (Newman 1944)
k’ɔhis “sedere” > k’ɔk’ɔhis “persona con un gran sedere”
Se applicata ai numeri, la reduplicazione può indicare categorie come collettività, distributività,
moltiplicatività e limitazione (Gowda 1975: 39): gɛ-gɛl “dieci a testa” (santali, India); tal-
talora “solo tre” (pangasinan, Filippine).
Esistono casi in cui la reduplicazione viene impiegata per cambiare o alterare la classe delle
parole di partenza (Evans 1995, Beaumont 1979):
[7] kayardild (Tangkic; Queensland, Australia): sostantivo > aggettivo
kandu “sangue” > kandukandu “rosso”
[8] tigak (lingua austronesiana): verbo > sostantivo
giak “mandare” > gigiak “messaggero”
1.2 Distribuzione del fenomeno
La reduplicazione è un fenomeno molto più pervasivo di quanto possa sembrare agli occhi di un
parlante di una delle lingue dell’Europa occidentale. Infatti, esso sembra essere particolarmente
diffuso tra le lingue austronesiane (isole del Pacifico, Filippine, Indonesia, Madagascar), in
Australia, Sud-Asia, diverse parti dell’Africa, del Caucaso ed in Amazzonia. Nell’emisfero
occidentale è possibile trovare alcune famiglie linguistiche particolarmente propense all’utilizzo
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della reduplicazione, per esempio le lingue salishane, pomoane, uto-azteche, algonchiane, yuman,
sahaptiane, e così via. L’Europa occidentale, al contrario, è un’area in cui la reduplicazione non
trova particolare realizzazione, se non in casi, comunque marginali, in cui acquisisce un valore
contrastivo o enfatizzante: “Ma quella del McDonald’s è insalata insalata o cartone?” oppure
“Questo succo è buono buono.” In ogni caso, non può essere considerato un processo produttivo o
grammaticalizzato, anche se alcune lingue indo-europee dell’est, che si trovano a stretto contatto
con altre famiglie linguistiche, sembrano aver acquisito alcuni morfemi reduplicativi. Per avere
un’idea della distribuzione del fenomeno della reduplicazione riporterò di seguito due mappe: la
prima mostrerà i luoghi in cui è attestata la presenza di reduplicazione produttiva sia totale che
parziale, mentre la seconda riporterà solo i luoghi in cui non è presente alcun tipo di reduplicazione
produttiva.
1.2.1 Reduplicazione produttiva totale e parziale: 312 lingue
1.2.2 Reduplicazione produttiva non attestata: 56 lingue 6
2. La reduplicazione in giapponese
Nella lingua giapponese sembra che vengano utilizzati entrambi i tipi di reduplicazione, parziale e
totale, applicati a cinque categorie diverse: verbi, nomi, aggettivi, avverbi e parole mimetiche o
fonosimbolismi (Yamada 1936; Shibatani 1990). La reduplicazione può essere indicata
graficamente dalla marca iterativa “々”, come in “人々” (hitobito, “persone”). Passiamo ora ad
analizzare il fenomeno in modo più dettagliato considerando separatamente ognuna delle cinque
categorie elencate precedentemente.
2. 1 Reduplicazione verbale
Quella verbale è il tipo di reduplicazione tendenzialmente più usata nella lingua giapponese. E’
possibile individuare almeno sedici tipi di reduplicazione verbale, classificabili in due categorie
principali: avverbiali e adnominali.
*ADV= adverbial function; aux= auxiliary; IR= irrealis ; LF= linking form ; LK= clause-linking function; pt= particle;
SF= sentence-final form; V= verb.
Se guardiamo esclusivamente alla struttura morfosintattica, è possible ricondurre tutti i tipi di
reduplicazione verbale a quattro tipologie principali: formazione tramite ripetizione di un verbo con
sentence-final form, cioè V(SF)+V(SF), come nel caso di siru-siru (“sapendo”); formazione tramite
ripetizione di un verbo con linking form, V(LF)+V(LF), ciò che accade nel caso di nozoki-nozoki
(“sbirciare ripetutamente”); formazione del tipo V(LF)+V(SF), in cui la prima parte è una linking
form e la seconda è una sentence-final form (tati-tatu “andare qua e là”); ed infine, formazione
tramite linking form ed irrealis form, V(LF)+V(IR). Tutte le altre formazioni sono ripetizioni di
questi pattern associati a particelle con funzioni ed ausiliari diversi.
Per comprendere le possibili funzioni che un’espressione risultante dalla reduplicazione verbale
può assumere, è forse utile distinguere tra le nozioni di linking form, linking function e adverbial
function del verbo. La prima può essere usata per combinare frasi tra loro o per completare una
frase aggiungendo l’ausiliare al verbo principale. Quando una linking form viene usata per
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combinare le frasi, allora tende a mostrare una riduzione delle marche di tempo e aspetto; in pratica,
diventa un verbo in forma non finita. Ci riferiremo a quest’ultimo tipo con l’etichetta di linking
function. La funzione avverbiale (adverbial function) indica che la reduplicazione viene usata come
avverbio di modo; di conseguenza, essa non potrà più essere accompagnata dagli argomenti che
avrebbe se rimanesse nella sua funzione di verbo.
Spesso un’espressione risultante dalla reduplicazione tende a differire dal verbo di partenza non
solo nella funzione, ma anche nella semantica, generando significati, seppur correlati, diversi da
quelli originali. Ciò accade specialmente quando si ha uno slittamento verso la funzione avverbiale,
come è possibile riscontrare nel caso di kafesu-gafesu, in cui la base verbale significa “ritornare”,
mentre con la reduplicazione acquista il significato di “ancòra ed ancòra”.
2.1.1 Frequenze diacroniche della reduplicazione verbale
Per avere un’idea dello sviluppo nel tempo di alcune tendenze nella lingua giapponese relative
all’utilizzo dei diversi tipi di reduplicazione verbale visti precedentemente, riporterò una tabella
compilata da Shibasaki (2005). Questa sarà utile anche per comprendere come si è giunti allo stato
attuale del processo di reduplicazione verbale nella lingua.
*I dati sono stati raccolti su un campione di sette testi narrativi che coprono l’intero arco di tempo presentato in tabella.
Per ogni intervallo di tempo, sono stati scelti testi che includono anche espressioni colloquiali. (vd. On the
grammaticalization of verbal reduplication in Japanese, 2005, p. 293)
Come possiamo notare, il periodo più produttivo in termini di reduplicazione sembra essere quello
che va dalla fine dell’ottavo secolo fino al dodicesimo. La differenza tra il numero d’occorrenze
d’uso della reduplicazione con funzione avverbiale di tipo V(SF) + V(SF) ed il resto delle tipologie
è piuttosto lampante: quest’ultima, infatti, compare 54 volte, seguita dalla medesima struttura
accompagnata dalla particella to che compare 11 volte, sempre in funzione avverbiale, ed ancora
una volta dalle 7 occorrenze della stessa, in questo caso con clause-linking function. Se seguiamo
l’evoluzione dell’uso delle reduplicazioni verbali nel tempo, sia in termini quantitativi che
tipologici, possiamo notare che V(SF) + V(SF) è il tipo di reduplicazione che sembra aver resistito
meglio nel tempo ed è anche l’unico tipo che, secondo i dati a nostra disposizione, è sopravvissuto
nel ventesimo secolo, dunque attualmente in uso nella lingua con funzione avverbiale. Infatti in
giapponese moderno troviamo esempi come:
[9] horeru “innamorarsi” > hore-bore “affettuosamente/con affetto”
omou “pensare” > omoi- omoi “in diversi modi”
naku “piangere” > naki-naki “piangente” 8
2.1.2 Reduplicazione renyookei
La reduplicazione renyookei è un sottotipo di reduplicazione verbale caratterizzata dalla necessità di
avere una base verbale che sia almeno bisillabica per poter essere reduplicata. Se dovesse accadere
che la base reduplicante sia monosillabica, si provvederà ad allungare il suono di quest’ultima come
succede in [8], dove la base si composta da una sola sillaba viene allungata tramite l’aggiunta del
suono “i” così da permettere la reduplicazione:
[10] Hanasi-o sii-sii tabe-t