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I PROBLEMI LEGATI ALLO STATUS DELLA PALESTINA
Nel 1988 una risoluzione delle Nazione Unite ha concesso all’Organizzazione per la Liberazione della
Palestina di cambiare la sua denominazione in Palestina. La Palestina ha fatto domanda per diventare
membro dell’UNESCO, nell’estate del 1989, e delle Nazioni Unite, nel 2011. Con la decisione del 29
ottobre 2011 è stata accettata la sua richiesta di adesione all’UNESCO. La domanda per acquisire la
membership alle Nazioni Unite non è stata accettata, ma con la risoluzione 67/19 del 29 novembre
2012 l’Assemblea Generale ha deciso di accordare alla Palestina lo status di Stato non membro
osservatore, facendo salvi i privilegi già acquisiti. Pur non essendo ancora idonea a diventare membro
delle Nazioni Unite, la Palestina viene riconosciuta come Stato. Pertanto oggi la Palestina può stipulare
un trattato internazionale e promuovere un ricorso davanti alla Corte Penale Internazionale – ma non
alla Corte Internazionale di Giustizia.
IL RUOLO DELL’UE DOPO LISBONA
La proposta di creare un vero seggio europeo all’interno del Consiglio di Sicurezza – il cui regime non è
mai stato modificato dal 1965 – parte dal governo italiano, ancor prima del trattato di Lisbona. Nel
1993 Andreatta aveva avanzato la proposta di istituire un seggio unico per l’UE all’interno del
Consiglio di Sicurezza, in aggiunta ai 15 membri o in sostituzione di Gran Bretagna e Francia. Il
Parlamento europeo ha tentato di appoggiare la proposta, ma non è stata ben accolta: il governo
tedesco l’ha vista come una reazione alla rivendicazione della Germania di istituire un proprio seggio
permanente.
Nel 2007/2008, quando era membro del Consiglio di Sicurezza, l’Italia si è espressa nel senso di voler
fondare, come second choice, la possibilità di inserire un delegato dell’Unione tra quelli dello Stato
europeo di volta in volta eletto fra i membri non permanenti. La soluzione finale è stata quella di
utilizzare il seggio italiano in un’ottica europeista.
La proposta di istituire un seggio europeo non era perseguibile in quell’epoca e da allora ad oggi
l’Unione ha cambiato faccia.
Il Trattato di Maastricht, stipulato nel 1992 e poi entrato in vigore il 1° gennaio 1993, ha creato
l’Unione europea – prima di allora si parlava di Comunità Europea – rappresentata visivamente come
un tempio greco a tre pilastri. Al primo pilastro vengono ricondotti i trattati istitutivi della CEE, della
CECA e dell’Euratom. Essi hanno in comune il fatto di creare, oltre a degli obblighi pattizi, anche una
sovrastruttura istituzionale, con organi comuni a cui vengono attribuiti dei poteri che esercitano al
posto degli Stati (cooperazione di tipo sovranazionale). Il secondo e il terzo pilatro, relativi,
rispettivamente, a PESC (Politica Estera e di Sicurezza Comune) e GAI (Giustizia e Affari Interni), si
caratterizzano invece per una cooperazione di tipo intergovernativo: perché la sovrastruttura
istituzionale continui ad operare anche in queste materie, è necessaria l’unanimità dei voleri degli
Stati, mentre nelle materie di cui al primo pilastro si possono prendere delle decisioni contro il volere
di alcuni Paesi attraverso sistema di maggioranze diversificato.
Nel 1997 viene stipulato il trattato di Amsterdam, che entra in vigore nel 1999 e apporta delle
modifiche di portata limitata alla precedente struttura: svuota il terzo pilastro e trasferisce la materia
della cooperazione giudiziaria civile nel primo pilastro (processo di comunitarizzazione).
Nel 2000 viene proclamata la Carta dei diritti fondamentali dell’UE, la c.d. Carta di Nizza. Dal punto di
vista del diritto internazionale si trattava di un atto di soft law. Anzi, per limitarne la portata, si era
detto che sarebbe stato meglio non richiamare i valori di questa carta nelle decisioni della Corte di
giustizia.
Dopo essere stato firmato nel 2007, nel 2009 è entrato in vigore il Trattato di Lisbona. Grazie ad esso,
la Carta dei diritti fondamentali diventa un atto normativo vincolante al pari dei trattati (diritto
primario). Scompare la struttura a pilatri dell’Unione e tutte le materie passano sotto la cooperazione
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sovranazionale, ma restano comunque dei limiti nell’azione dell’UE – per prendere delle decisioni in
materia di PESC viene richiesta l’unanimità. Con il Trattato di Lisbona, l’UE ha aderito alla CEDU,
elaborata dal Consiglio d’Europa . Accanto al catalogo dei diritti fondamentali, la CEDU affianca un
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sistema giurisdizionale con cui si può riconoscere una violazione e sanzionare lo Stato che si è reso
protagonista della violazione. La Corte EDU, a Strasburgo, e la Corte di giustizia dell’UE, con sede a
Lussemburgo, non sono coordinate.
Dal 2009 l’Unione europea è diventata un soggetto internazionale, ma non ancora uno Stato federale.
Il primo ostacolo alla previsione di un seggio all’UE è il fatto che lo stesso art. 4 impedisce l’adesione
alle organizzazioni internazionali. Per ammettere la membership di un’organizzazione internazionale
nelle Nazioni Unite occorre una revisione della Carta.
Un ulteriore ostacolo è costituito dalla rappresentanza multipla, nonostante si sia già verificato in
passato un caso simile per quanto riguarda la Bielorussia e l’Ucraina – ma si parlava comunque di Stati.
Infine si temono le ricadute che un seggio all’UE potrebbe avere in sede di Assemblea Generale, dal
momento che l’Unione non dispone della competenza esclusiva in nessuna delle missioni delle Nazioni
Unite.
Esistono esempi di organizzazioni internazionali (es. OMC) nelle quali la partecipazione dell’UE non è
affatto problematica, dal momento che le materie di cui si occupano quelle organizzazioni sono
competenza esclusiva dell’Unione.
Attualmente l’Unione europea detiene uno status di osservatore del tutto particolare per il rilievo che
riveste sulla scena internazionale. Il problema di fondo rimane il fatto che l’UE non si muove ad unum
nel contesto ONU.
LE MADRI DI SREBRENICA
Negli anni ’90 il Consiglio di Sicurezza, ritenendo che il conflitto in Serbia ponesse una minaccia alla
pace, ha autorizzato una missione di peacekeeping. Srebrenica era considerata una safe aerea ed era
stato inviato un contingente olandese con il compito di tenere la zona al sicuro.
Nel mese di luglio il contingente è stato accerchiato dalle forze serbe e costretto alla ritirata su ordine
sia del comando militare dall’ONU sia dell’Olanda – per gli aspetti disciplinari, i caschi blu dipendevano
ancora dalle autorità nazionali. Il capo delle forze serbe aveva promesso al comandante del Dutch bat
che avrebbe lasciato fuggire solo gli Olandesi e coloro che lavoravano per l’ONU, altrimenti avrebbero
cominciato a sparare. Il battaglione ha lasciato il territorio, mentre a Srebrenica si erano rifugiati dei
musulmani che non rientravano nell’accordo e non sono stati tratti in salvo durante l’attacco del 12
luglio.
I parenti delle vittime hanno sostenuto l’idea che l’ONU e l’Olanda siano responsabili per non aver
impedito il genocidio e debbano risarcire le vittime – oltre al genocidio, che consiste nella volontà di
eliminare una razza, si potrebbe ipotizzare anche il reato di crimini contro l’umanità, che contempla la
violenza sessuale. Per l’ONU, l’accertamento della responsabilità penale avrebbe avuto anche una
valenza morale. Le donne di Srebrenica, dopo aver costituito un’associazione, si sono recate in Olanda
con l’obiettivo di portare avanti delle cause per il risarcimento del danno subito, affermando che lo
Stato olandese fosse responsabile tanto quanto l’ONU.
Durante il procedimento di primo grado sorge una questione pregiudiziale relativa all’immunità
dell’ONU: una corte non può prendere una decisione che riguarda un altro soggetto internazionale e
che andrebbe a influenzarne l’autonomia. Le madri di Srebrenica hanno sostenuto che l’ONU non
avrebbe potuto fatto valere l’immunità perché nel contesto europeo essa avrebbe inciso su un loro
diritto fondamentale, il diritto al giusto processo contenuto nell’art. 6 CEDU, secondo cui gli Stati
devono garantire l’accesso alle corti.
La Corte EDU si è espressa più volte sul rapporto tra immunità delle organizzazioni internazionali e
diritto di accesso alle corti, sostenendo in linea di principio che quest’ultimo non costituisce un diritto
assoluto, e pertanto può essere limitato dagli Stati in alcune circostanze (giurisprudenza Kennedy). In
primo luogo, nel momento in cui si riconosce l’immunità, ci può essere limitazione dell’art. 6 CEDU se
Il Consiglio d’Europa è un’organizzazione internazionale nata nel secondo dopoguerra per promuovere la tutela
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dei diritti umani. Conta 47 membri e non è vincolato ai soli Stati europei. 5
esistono delle alternative giurisdizionali altrove. La limitazione deve comunque servire uno scopo
legittimo, che potrebbe essere quello di non interferire con la funzione di mantenimento della pace da
parte delle Nazioni Unite. Con riferimento all’immunità delle organizzazioni internazionali, la Corte
EDU ha aggiunto che occorre un ulteriore requisito, vale a dire un nexus tra la condotta tenuta
dall’organizzazione e le competenze e gli obiettivi che gli stati le hanno conferito nel trattato istitutivo.
Le madri di Srebrenica hanno invocato questi requisiti davanti alla corte olandese – in particolare
adducono il fatto che l’ONU non dispone di un sistema giudiziario interno, e nel momento in cui non ci
sono alternative giurisdizionali dovrebbe prevalere il diritto di accesso alle corti – ed il procedimento
giudiziario è arrivato fino in Cassazione, che ha riconosciuto l’immunità all’ONU. In precedenza, la
Corte EDU si era espressa in riferimento a cause di lavoro nel senso di sottolineare il ruolo chiave
dell’ONU ed aveva sostenuto che effettivamente, per la sua particolare posizione nel contesto
internazionale, deve essere trattato in modo speciale, perché nel momento in cui si giudica una
controversia che potrebbe andare ad influenzare l’ONU, di riflesso si andrebbe ad incidere sulle azioni
di sicurezza. La Cassazione olandese ha affermato che la Corte EDU aveva già sottolineato la specificità
dell’ONU e gli aveva riconosciuto un’immunità assoluta.
Le madri di Srebrenica si sono rivolte alla Corte EDU, richiamandosi al “test Kennedy” e sostenendo
che la condotta dell’ONU è stata talmente grave che, a prescindere, non si potrebbe riconoscere
l’immunità. La Corte EDU, richiamandosi all’interpretazione del diritto internazionale da