Integratori alimentari ed alimenti bioattivi
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Gli alimenti contengono anche ACE-inibitori (es nel Parmigiano, soia, lupino). Molto spesso sono dei peptidi
di basso PM. L’inibizione dell’enzima ACE blocca la conversione dell’angiotensina I in angiotensina II che
porterebbe al fenomeno dell’ipertensione.
L’ipertensione è una delle concause più frequente delle malattie cardiovascolari. Il 30% della popolazione
dei Paesi sviluppati soffre di ipertensione, tra cui anche in fascia pediatrica. Le proteine che possono
rilasciare peptidi CE-inibitori sono:
- Caseine e proteine del latte
- Proteine dell’uovo
- Proteine estratte da alghe
- Proteine animali
- Proteine vegetali
- Idrolizzati di sardine
- …
Importante è ricordare che questi peptidi possono essere prodotti normalmente durante la digestione del
tratto GI per azione degli enzimi endogeni (sono gli stessi enzimi usati in vitro per studiare la formazione di
questi peptidi); questi peptidi però possono anche prodotti da proteine e matrici a basso costo (come
proteine di piselli), per idrolisi, creando prodotti e ingredienti nuovi. Questi ingredienti possono essere usati
negli alimenti ma anche negli integratori.
I peptidi con azione ACE-inibitoria possono avere diverse modalità d’azione; le tre principali sono:
- Attività inibitoria diretta
- Interazione con il substrato
- Effetto tipo pro-drug, basato sul cambiamento dell’attività ACE-inibitoria dopo idrolisi dei peptidi
stessi dall’ACE
Ci sono anche altre strategie, come usare sistemi che vaso dilatano, senza agire direttamente
sull’angiotensina.
Uno di questi peptidi è stato isolato dalla sardina. Le sardine permettono di isolare questo peptide, che ha
un’attività molto spiccata che viene poi modificato dall’ACE per avere ancora più attività. Il peptide è Leu-
Lys-Pro-Asn-Met e viene idrolizzato in Leu-Lys-Pro dall’enzima ACE e quest’ultimo è il peptide attivo.
Tutti i prodotti fermentati della soia, anche la salsa di soia, contengono questi peptidi: il problema è che
spesso questi prodotti non sono solo idrolizzati, ma anche fermentati e questo porta alla liberazione di AA e
formazione di ammine biogene (tra cui alcune ad azione ipertensiva).
Il fattore chiave affinchè questi peptidi siano attivi è il fatto che siano biodisponibili per essere assimilati a
livello intestinale. Se non vengono rilasciati nell’intestino devono essere gastroprotetti, ad esempio tramite
microincapsulazione. I peptidi possono essere digeriti parzialmente a livello gastrico con perdita di attività.
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Altre vie per ottenere ipotensione:
- Blocco dei canali del calcio
- Effetto vasorilassante dovuto ad altri peptidi, come quelli oppiodi del latte
- Inibizione dell’endotelina 1 e dell’endotelina converting enzyme (ECE)
La soia
All’inizio del’900 sono state evidenziate due prime evidenze forti:
- Gli individui che vivevano nella grandi città occidentali soffrivano con maggiore incidenze di
malattie cardiovascolari e seguivano una dieta moto ricca in carne
- Il colesterolo cristallizzato addizionato nella dieta di un animale accelerava la formazione delle
placche aterosclerotiche
In uno studio si è osservato che con una dieta a basso contenuto di lipidi si riscontra solo una debole
diminuzione di TG, LDL, colesterolo totale; la riduzione di questi risulta più drastica aggiungendo nella dieta
la soia.
In una persona sana l’effetto è minore e difficile da vedere; l’EFSA quando chiede i claims li chiede con studi
in vivo su una popolazione sana, perché non siamo nel campo farmaceutico, oltre a valutazione di marker
specifici.
Le proteine di soia sono considerati un ingrediente fondamentale per prevenire CVC. 25 g di proteine di
soia possono aiutare a ridurre il rischio di malattie cardiovascolari claims rilasciato negli Stati Uniti nel
1999.
Nel 2008 si è avuta un’altra conferma importante riferita ai 25 g. Lo studio è stato condotto su quasi 3000
persone, che hanno consumato 25 g al giorno di soia, e nei quali si è effettivamente osservata una
riduzione del colesterolo.
Per capire se l’ingrediente è ipocolesterolemizzanti perché agisce come la soia o come altri ingredienti (es
steroli vegetali) si va a valutare il colesterolo fecale: nel caso della soia non aumenta il colesterolo fecale,
perché agisce a monte, sul meccanismo di formazione del colesterolo, mentre i fitosteroli vengono
assimilati al posto del colesterolo che verrà alimentato e ritroviamo nelle feci.
I peptidi della soia agiscono direttamente sul recettore delle LDL, modulando l’espressione del recettore.
Dalla meta degli anni ’80 si sono studiati gli isolati proteici della soia, comparandole ad altre proteine, come
le caseina: valutando l’attività dei recettori si è visto che la soia permetteva un aumento del legame delle
VLDL al recettore facilita l’attività dei recettori.
Quali sono i componenti attivi?
Inizialmente si è pensato agli isoflavoni; sono dei composti polifenolici tipici della soia con azione
estrogenica. Si sono estratti dalla soia questi composti ma anche così le proteine della soia funzionavano
bene. Si è arrivati allora alla conclusione che l’effetto è da attribuire alle proteine della soia. Si è iniziato a
caratterizzare gli estratti di proteine, frazionandoli nelle diverse componenti. Isolate le proteine si sono
valutate le singole proteine: la 7S è una globulina ed è la più attiva; la subunità α’, derivata dalla 7S è
anch’essa molto attiva. La frazione 7S è stata analizzata poi nel dettaglio con elettroforesi 2D e poi analisi di
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massa, arrivando ad identificare i peptidi più attivi. Tra i più attivi sul recettore delle LDL uno deriva dalla
frazione 7S (di 8 AA) e uno deriva dalla frazione 11S (di 7 AA).
I peptidi della soia sono stati caratterizzati per la loro azione su un enzima fondamentale per la produzione
di colesterolo: HMGR (3-idrossi-3-metilglutaril CoA reduttasi). Questo meccanismo coinvolge direttamente
su un enzima responsabile della sintesi del colesterolo endogeno (come fosse una statina).
Il consumo di soia sta aumentando un po’ in tutto il Mondo.
I cereali
Alcuni hanno effetto diretto sul colesterolo (β-glucani), altri controllano le dislipidemie e hanno azione
antiossidante.
I cereali sono sottoposti ad una lavorazione intensiva, perché il seme viene prima decorticato e poi
macinato; durante la macinazione si hanno poi diversi sottoprodotti, come lolla, crusca, pula: da queste
matrici, prima considerati scarti, si possono ricavare prodotti interessanti. La tecnica della decorticazione
progressiva è utile per ottenere farine tecnologicamente fortificate, più ricche di alcuni componenti, come
antiossidanti. Nel riso prima si asportano le parti esterne e poi la cariosside viene poco per volta decorticata
per arrivare alla parte centrale, la mandorla amilacea. Lo stesso approccio può essere usato con orzo e
grano. Si cerca di mantenere il più possibile le frazioni nobili, quali lo strato aleuronico ricco di proteine.
Il riso viene utilizzato in molti modi; da esso si ricavano sottoprodotti importanti, come lolla e pula, ricchi di
antiossidanti. La lolla è un cascame, uno scarto che deriva dalla sbramatura del risone, ovvero il riso grezzo.
La % di lolla cambia nelle varie varietà ma non supera mai il 25%; è relativamente scura, marroncina, molto
ricca di fibra. È molto dura e resistente. Contiene ancora 3% di proteine, basso contenuto di grassi, mentre
il 40% della massa è fibra (soprattutto cellulosa). Le ceneri sono particolarmente ricche di silicio. La fibra
molto spesso lega composti antiossidanti, come polifenoli, e beta glucani.
La pula deriva dalla sbianca tura del riso, che porta a riso mercantile e poi riso raffinato. È costituito dalle
pellicole argentee ricche in fibra, ma anche dall’aleurone ricco in proteine e una frazione di amido che
deriva dal grattare la mandorla interna. È sul marroncino. La composizione è varia: cambia il contenuto in
cellulosa (meno della lolla), silicio, vitamine (in particolare B1 e B2). Le vitamine più rappresentate sono la
PP, B1, E. Le fibre sono abbastanza diversificate e si va dal 10 al 15%. Dalla parte più esterno della
lavorazione del riso si estrae, insieme alla lolla, il germe del riso, molto ricco di lipidi. Dall’estrazione di
questa matrice, detta Bran, si ottiene l’olio di riso. Questo olio ha una composizione particolarmente
salutistica: alto contenuto di acido oleico e acido linoleico, bilanciamento ottimale di vitamina E tra
tocoferoli e tocotrienoli e gamma orizanolo. Il gamma orizanolo è una famiglia di moltissime molecole. È
una miscela di esteri dell’acido ferulico con steroli (in particolare betasitosteroli, stigmasterolo,
campesterolo), o alcoli triterpenici (cicloartanolo, cicloartenolo). La componente importante del gamma
orizanolo è l’acido ferulico: agisce come antiossidante.
Queste molecole hanno sicuramente azione antiossidante e antinfiammatoria, come tutti gli acidi fenolici.
Molti studi sottolineano il fatto che abbiano la capacità di abbassare il livelli di LDL e di TG nel sangue.
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In uno studio che le frazioni ricche di questi ferulati possono regolare a livello epigenomico i geni di ratto.
I 10 componenti identificati nel gamma orinazolo:
- Cicloartenilferulato
- 24-metilen cicloartenilferulato
- Compestanilferulato
Lo studio sui topi è di tipo nutrigenomico. La nutri genomica permette di valutare in vitro o in vivo
l’interferenza delle sostanze bioattive a livello genetico. Questo è molto importante per capire i meccanismi
delle patologie e quali sono le strade nutrizionali più importanti che possono agire sulla patologia.
La nutrigenomica si basa sul concetto della epigenetica: l’attività dei geni è sia regolata da meccanismi di
codifica, espressione, altamente variabili da un individuo ad un altro, sia dall’influenza dell’ambiente (tra
cui anche l’utilizzo di F, interazione con microrganismi patogeni e comportamenti psicosociali). Tutto ciò
che interseca è l’epigenetica: abbiamo fattori come l’interazione dei nutrienti, composti bioattivi,
ingredienti.
La regolazione genica è data anche dall’acetilazione istonica e dalla demetilazione del DNA, regolati anche
da meccanismi epigenetici. Ci deve essere bilanciamento tra espressione genica e silenziamento.
La nutrigenomica è lo studio dell’interazione dei nutrienti a livello genetico: come i composti bioattivi
biodisponibili riescono ad attivare o spegnere o modulare determinati geni.
La nutrigenetica invece è uno studio di polimorfismi, che permette di capire le diverse risposte dei diversi
individui soggetti alla somministrazione dei nutrienti. È fondamentale per arrivare alla personalizzazione
della dieta.
La metilazione del DNA risente dello stato nutrizionale:
- Carenza di acido folico, vitamina B12, zinco
- Stato infiammatorio (diabete, obesità, sindrome metabolica)
- Carenza di glutatione
- Stato ossidativo della cellula, correlato all’ossidazione lipidica e al metabolismo glucidico
La vitamina D è recentemente molto studiata; effetti:
- Deposizione dell’osso nel calcio
- Effetto antimicrobico (produzione e stabilizzazione di peptidi antimicrobici)
- Proliferazione dei tessuti (regolazione dell’apoptosi)
- Interazione forte con sistema immunitario
- Interazione con il muscolo
- Regolazione epigenetica: interagisce con diversi loci genici regolando i geni
L’alimentazione quindi può dare modifiche epigenetiche che possono essere trasmesse alla progenie.
Tornando al gamma orizanolo, abbiamo moltissimi studi epigenetici ed epigenomici. Gli estratti trattati con
gamma orizanolo agiscono nella protezione dello stress ossidativo, ma l’EFSA non ha riconosciuto il claims
per l’attività antiossidante. 21
Gli acidi fenolici, in particolare ferulati e ed estratti, sono efficaci nella riduzione del colesterolo totale e
delle LDL.
Sia riso che mais sono cereali pigmentati. Questi pigmenti sono studiati sia sotto il profilo nutrizionale sia
come pigmenti di origine naturali. I componenti chiave di questi pigmenti sono le antocianine: importanti
sono la cianidina-3-glucoside e peonidina-3-glucoside. Le antocianine permettono di arrivare a prodotti
nuovi: es dolcificante pigmentato, colorato con antocianine e quindi antiossidante si possono limitare
alcune reazione negli alimenti, modulare le reazioni di Maillard, dall’idrolisi totale vengono fuori note di
prugna. Il problema di tutto ciò è che si tratta di novel food e deve essere dichiarato come tale.
Le antocianine possono essere anche estratte dal mais. La cianidina-3-O-gluoside previene l’obesità e
migliora la curva iperglicemica nel topo.
Il riso rosso fermentato da Monascus spp. è un nuovo alimento funzionale ipocolesterolemizzante. È un
alimento tipicamente asiatico. Il Monascus è un fungo che crescendo produce pigmenti rossi. Ci sono anche
studi sul potere antitumorale e sulla capacità di agire sulle patologie neurodegenerative ma sono poco
credibili. Il riso rosso si trova anche negli integratori, in aggiunta ad altri ingredienti ipocolesterolemizzanti
come fitosteroli: la monacolina inibisce la sintesi del colesterolo mentre i fitosteroli inibiscono
l’assorbimento di colesterolo della dieta.
Il Monascus purpureo fermenta molto facilmente il glucosio; nel 1979 un professore giapponese scopre un
metabolita attivo sull’HMGR, identificato poi come monacolina K. Si è scoperto poi che è assolutamente
identica alla lovastatina, che è un farmaco. La monacolina dovrebbe dare meno danni al muscolo rispetto
ad altre statine. Un consumo protratto di riso rosso nel tempo può dare danni, correlati alle miopatie (tipici
delle statine), ma anche danni epatici e renale, perché il fungo produce micotossine. Viene
commercializzata in Italia e in Europa; dal 2003 in Italia c’è una nota del Ministero della Salite che limita
l’uso del riso rosso negli integratori ad un massimo di 3 mg di monacolina K per dose giornaliera. Nel 2009
c’è stata un’altra revisione europea che ha di nuovo allarmato per altre problematiche sollevate a livello di
farmacovigilanza: disturbi alla memoria, sonno, depressione e aumento di malattie cardiovascolare.
Buona parte degli integratori contengono in tracciala micotossina citrinina, simile alle micotossine dei
fusarium, che è citotossica.
I lignani
Sono composti molto presenti in natura; sono composti fenolici di difesa delle piante. Sono composti
bioattivi:
- Azione antiossidante
- Capacità di protezione contro malattie coronariche
- Attività antitumorale: non molto riconosciuta
- Attività antibatterica, come tutti i polifenoli
- Attività come interferenti endocrini: antiestrogeni o con attività estrogenica 22
Sono contenuti nei cereali, nei semi e nelle noci (frutta a guscio). Nei cereali non sono molto espressi; i semi
del lino sono tra le matrici più ricche di lignani, ma sono presenti in quantità minore anche nei semi di
g
sesamo. Nei cereali sono intorno a su 100 g. La quantità di lignani varia tra cereali e lino, ma anche la
composizione: nel lino il principale è il secoisolarici resinolo. Sono strutture fenoliche complesse; le
strutture più piccole sono in grado di essere riconosciute dai recettori estrogenici.
Questi composti sono capaci, perle loro bioattività, anche di prevenire il cancro; in particolare sono stati
studiati per il tumore della mammella, fortemente collegato all’equilibrio ormonale della donna.
Possono essere concentrati usando varie tecniche di concentrazione, usando la decorticazione progressiva,
producendo farine più ricche di tali composti.
Beta-glucani
Sono composti non digeribili assimilabili alla fibra. Sono polimeri del glucosio che possono efficacemente
ridurre il colesterolo (esistono claims EFSA). In alcuni studi sembra che siano in grado di ridurre fino al 25%
il colesterolo. Hanno azione duplice sul colesterolo:
- Inibiscono il riassorbimento dei sali biliari a livello di digiuno e ileo, con conseguente eliminazione
fecale. Il colesterolo esogeno viene sequestrato per ricostituire i Sali biliari persi.
- Riducono l’espressione di geni coinvolti nel trasporto intestinale, sia di acidi grassi che del
colesterolo. Sono anche capaci di don regolare i geni coinvolti nella sintesi del colesterolo e degli
acidi grassi
Dal 2008 esiste un claims dell’EFSA per beta glucani di orzo e avena.
Hanno anche effetto sulla risposta glicemica: quando vengono inseriti in quantità sufficiente nella dieta
giornaliera modulano il picco glicemico post-prandiale, collegato all’effetto fibra.
Un effetto ancora studiato e quello sull’induzione della sazietà: legano molta acqua e abbassano la densità
energetica del chimo; migliorano la risposta glicemia, influenzando come feedback la sazietà; c’è aumento
del tempo di contatto tra nutrienti ed intestino e una modulazione positiva degli ormoni che bloccano la
sazietà (aumentano la colecistochinina e del peptine PYY, mentre diminuisce la grelina, l’ormone della
fame).
Inoltre hanno anche una discreta attività prebiotica e effetti di tipo immunostimolante ci sono molti stuti
su leucociti dove esisterebbe un recettore specifico che lega questi betaglucani.
I betaglucani non derivano solo da cereali, in particolare avena e orza, ma anche dal lievito: questi sono
molto ricchi di β-1,3-glucani che sono disposti in una zona particolare, ovvero una zona immediatamente
sotto la zona più esterna della parete dei lieviti, costituita da mannoproteine.
Come immunostimolanti sono stati molto studiati come molecole anti-cancro: c’è un fungo molto usato in
Asia, chiamato Shiitake questo contiene un polisaccaride, chiamato lentinano o polisaccaride K, che è un
betaglucano. È stato usato molto in Asia per la terapia del tumore; in realtà il meccanismo dei betaglucani
da funghi sarebbe correlato all’azione di attivazione dei neutrofili. I neutrofili in genere non intervengono
contro il cancro, ma i betaglucani li attivano, rendendoli capaci di riconoscere le cellule tumorali come non
self. 23
Esistono dei sistemi di decorticazione che consentono di raccogliere frazioni diverse di farine, dai colori
diversi (marroni dall’esterno, bianco dall’interno, integrale è intermedio). Andando dall’esterno all’interno:
- Decremento di attività antiossidante
- Decremento delle fibre
- Decremento delle micotossine
- I betaglucani hanno andamento a campana: le farine intermedie sono quelle più ricche
Alchilresorcinoli
Collegati alle frazioni ricche di fibra dei cereali. Ci sono studi che dichiarano azione immunostimolante,
anticancerogena; sono sicuramente antiossidanti. Sono derivati dell’acido resorcinico e hanno la capacità di
interagire con le membrane cellulare, ma potrebbe comportare tossicità per le membrane stesse. I più
abbondanti nei cereali vanno dal C17 al C25. Il C25 e il C21 sono particolarmente concentrati nelle frazioni
intermedie quando si decortica. La canna da zucchero
Contiene i policosanoli, capaci di agire sula riduzione del colesterolo. Sono miscele di alcoli alifatici primari
ad alti PM. Nonostante gli studi che dicono che già a dosi non molto alte si abbasserebbe il 20% del
colesterolo totale, ci sono ancora dei dubbi sulla reale sulla correlazione causa/effetto.
Questi composti in alcuni studi avrebbero addirittura gli stessi effetti delle statine: in realtà l’EFSA non l’ha
ancora accettato.
Altra azione è quella di agire come antiaggreganti piastrinici in vitro. Anche i polifenoli del cacao hanno
questa azione, anche in vivo. La dose attiva è 10-20 mg/giorno.
Pareri EFSA e claims
Non tutti i bioattivi ipocolesterolemizzanti soddisfano i criteri richiesti dal panel NDA dell’EFSA, per diversi
motivi, come l’assenza di un marker controllabile e monitorabile per dimostrare i rapporti causa/effetto.
Frutta e verdura
Vengono consigliate nella dieta moderna, in quanto fonti di:
- Vitamine
- Fibre, di diverso tipo, alcune delle quali con attività prebiotica
- Antiossidanti polifenolici: non sono però ancora accettate le proprietà antiossidanti di molti
composi proposti, nonostante le evidenze dimostrate
- Numerosi composti bioattivi “funzionali”: ad esempio capacità di regolare la gliceride mia e
controllo dell’apparato cardiovascolare 24
Tutti questi bioattivi sono contenuti negli alimenti; se consumiamo alimenti bisogna consumare una dose
massiccia degli alimenti per osservare l’effetto fisiologico: ad esempio per il resveratrolo bisognerebbe
consumare Kg di uva al giorno o bere litri di vino.
È possibile allora estrarre le componenti, purificarle e poi aggiungerle negli alimenti (creando un alimento
arricchito o un novel food) oppure usarlo per formulare integratori.
L’utilizzo di composti puri però non è così attivo come il fitocomplesso: se concentriamo ad esempio il
licopene del pomodoro e lo consumiamo nel pomodoro, con olio che favorisce trasporto ed estrazione,
avremo un effetto maggiore rispetto al consumo di licopene purificato.
C’è quindi il problema dell’estrazione dei fitocomplessi, che avviene con tecniche particolari; questa deve
tenere conto di un aspetto fondamentale, ovvero un approccio “green”, ovvero pulito: si parla di tecniche
“solvent free”, ovvero priva di solventi organici, che possono residuare e sporcano l’ambiente. Si cercano
quindi tecniche sostenibili, poco costose e green. Altro punto chiave è il discorso della formulazione:
quando abbiamo ottenuto un composto/fotocomposto bisogna ancora formularlo, ovvero arrivare a delle
forme il più possibile biodisponibili e bioaccessibili all’organismo umano molto spesso la
microincapsulazione aiuta, soprattutto usando cps gastroresistenti, perché permette il rilascio del bioattivo
direttamente nell’intestino, dove viene assorbito. Il costo dei prodotti micro incapsulati però è maggiore.
Licopene
È un carotenoide, composto solubile in solventi organici e insolubile in acqua. È un additivo, l’E160d ed è il
colorante tipico del pomodoro. Si estrae soprattutto dagli scarti della lavorazione del pomodoro (esempio
di riutilizzo dei sottoprodotti). Viene venduto come integratore, che non sempre è titolato, con una buona
qualità. Viene utilizzato per le sue proprietà antiossidante. Ha i terminali non ciclizzati; in natura si trova
nella forma trans, ma può anche ritrovarsi e trasformarsi nella forma cis: la forma trans è la più bioattiva.
L’emivita è lunga, 2-3 giorni; il principale metabolita è il 5,6-diidrossi-5,6-diidrolicopene.
Deriva dalla cascata della sintesi dei carotenoidi: si parte dall’isopentenilpirofosfato partendo dalla via
dell’acido mevalonico, per entrare poi nella via di molti composti, quali terpeni, carotenoidi (lineari non
ciclizzati),… Il fitoene è il precursore di tutti i carotenoidi e viene convertito in licopene e poi in tutti gli altri
carotenoidi. Alcune trasformazione che subisce il licopene comportano la ciclizzazione dei terminali, per
portare a diversi caroteni. Dall’α-carotene si ottiene la sintesi della luteina (attivo importante per la
visione); dal β-carotene si entra nella sintesi di altri carotenoidi, come la zeaxantina del mais.
Molto importante è il fatto che debba essere biodisponibile. Una richiesta di claims, poi concessa, riguarda
un concentrato idrosolubile di pomodoro sulla disaggregazione piastrinica (importante per le patologie
aterosclerotiche): il panel conclude che ci sia una relazione causa/effetto tra il consumo del prodotto
concentrato e la riduzione dell’aggregazione delle piastrine; per raggiungere l’effetto è necessario
consumare almeno 3 g dell’estratto di tipo 1 o 150 mg del tipo II (più concentrato), aggiunto nei succhi di
frutta, bevande analcoliche, yogurt (che non deve poi essere fortemente pastorizzato); si dice anche che la
popolazione target è quella adulta (35-70 anni) sana.
Il licopene è stato identificato essere un componente protettivo in una forma di tumore, quello della
prostata: molto probabilmente non è un effetto diretto sulla nascita del tumore, ma sulla progressione da
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tumore benigno a tumore maligno. Il fitocomplesso è molto più attivo del composto puro: probabilmente
ha azione sinergica con altri antiossidanti nel pomodoro.
Noi lo introduciamo nella dieta attraverso il consumo di pomodori, ma per avere un effetto bisognerebbe
mangiarli a Kg. Per estrarre il licopene si usano scarti della produzione di pelati. Quando si estrae il licopene
bisogna usare anche degli antiossidanti, come il BHT, perché tutti i carotenoidi tendono ad ossidarsi; per
non perdere bioattivo e avere estrazione esaustiva bisognerebbe lavorare con lampade rosse, per evitare la
fot ossidazione dei carotenoidi. Varietà diverse di pomodori contengono diverse concentrazione e tipo di
bioattivo.
Tecniche particolari di estrazione si basano sull’uso di microonde oppure combinazione microonde-
ultrasuoni. Il licopene, una volta estratto con microonde, effettivamente può essere inficiato
dall’estrazione: le microonde scaldano. Questo effetto è ancora in studio: scaldando a T diverse si
ottengono effetti diversi, come l’isomerizzazione trans-cis passando da 40 a 45°C. Gli ultrasuoni migliorano
l’estrazione, creando bolle che ricadono sul fondo e poi vanno incontro a implosione, distruggendo il
materiale intorno. Usando solo ultrasuoni, solo microonde e combinazione dei due si ottengono estrazioni
differenti: in combinazione si distrugge tutto il licopene, solo microonde danno resa bassa mentre solo
ultrasuoni permettono una buona estrazione. Tutte queste tecniche non sfruttano solventi organici, e
molto spesso si lavora solo con acqua (estrazione con acqua in condizioni subcritiche).
Trans-resveratrolo
È una fitoalessina stilbenica, che possiede una serie di azioni enormi descritte in letteratura: antiossidante,
antinfiammatorio, protezione contro tumori. Negli integratori non si estrae dagli scarti di lavorazione
dell’uva, ma una pianta, Polygonum cuspidatum. Nel vino le concentrazioni sono relativamente basse.
Esistono alcuni vini che però arrivano anche a 25-30 mg. Esiste anche nella forma cis e facilmente passa
dalla forma trans alla cis: la forma cis è sempre antiossidante ma meno attiva. Esistono poi i glucosidi
chiamati anche piceidi: il resveratrolo si lega in posizione 3 al glucoside dando trans/cis-piceide; può anche
polimerizzare dando le viniferine. Tutti questi composti sono bioattivi, ma la forma singola in trans è la più
attiva e studiata.
È un metabolita secondario prodotto dalle piante quando sotto stress, come attacco di funghi, danno
meccanico, condizioni critiche di T, luce UV: le piante non hanno sistema immunitario e producono queste
molecole che aiutano a bloccare l’aggressione. Le piante producono poi anche enzimi idrolitici come la
chitinasi che riconosce la chitina, non presente nella pianta ma nella parete dei funghi. Anche l’accumulo di
polifenoli funziona in questo senso: se la pianta è stressata si sintetizzano più polifenoli.
Il resveratrolo si trova anche in piccole quantità nelle arachidi, nel cacao e nella nocciola. La cascata che
porta alla sua produzione è quella della calchone-sintasi.
Il resveratrolo è alla base del cosiddetto “paradosso francese”: ci sono studi che dimostrano che il popolo
francese, nonostante consumasse più vino rosso di altri Paesi, avesse meno incidenza di malattie
cardiovascolari il vino contiene antiossidanti, etanolo (vasodilatatore), resveratrolo (antiaggregante
piastrinico, azione preventiva contro alcune forme di tumore, spiccata attività antiossidante inibizione
dell’ossidazione delle LDL). 26
La biodisponibilità del resveratrolo è relativamente bassa: gli studi più attendibili indicano una disponibilità
massima di 35-40%. In questo caso si può giustificare l’uso di integratori.
Acido rosmarinico
Il rosmarino è una pianta aromatica e da tempo se ne conoscono le proprietà soprattutto antimicrobiche:
l’acido rosmarinico inibisce la crescita di molte specie batteriche, anche patogene. Esistono spray al
rosmarino per migliorare le capacità respiratorie se si è influenzato e do spruzzare in gola. Negli ultimi 10
anni il rosmarino è stato molto studiato per la presenza dell’acido rosmarinico: è un acido polifenolico,
derivato dell’acido 3,4-diidrossibenzenpropanoico. È presente nella famiglia delle Lamiaceae, quindi anche
in salvia, menta, origano, timo. È costituito da due parti, una delle quali è l’acido caffeico. Ha bioattività
particolare: è antimicrobico e forte antiossidante, attività antinfiammatoria e alcuni studi sostengono anche
che sia anticancerogena.
Un’applicazione recente è l’uso dell’estratto di rosmarino come additivo antiossidante, soprattutto nei
prodotti da forno, biscotti, pani speciali. L’estratto ha anche una proprietà aromatizzante, quindi non può
essere usato ovunque. Uno studio correla la proprietà antiossidante e antimicrobica del rosmarico al
contenuto polifenolico.
L’olio essenziale in particolare contiene para-cymene, linalolo, γ-terpinene, timolo, β-pinene e α-pinene e
eucaliptolo: è una miscela di terpeni che ritroviamo anche in altri oli essenziali, quasi tutti antimicrobici
le spezie quindi hanno azione conservante.
Capsaicina
È un composto pungente tipico del genere Capsicum, concentrata in particolare nell’albedo del peperone
dolce, ma molto più concentrata in altre varietà (per produrre paprika e peperoncino piccante). È un
metabolita secondario, prodotto nel tessuto che sostiene i semi nel peperone, mentre i semi ne sono privi.
Capsaicina e derivati, con attività simile alla capsaicina, sono termostabili: riscaldamento e cottura non
inficiano la sua bioattività. A metà dell’800 si inizia a correlare la capsaicina con il miglioramento della
digestione.
È un composto irritante che da bruciore alle mucose. È riconosciuta da recettori dei vanilloidi VR1 e in
particolare attiva il recettore, comportando la sensazione di bruciore e di dolore, oltre una certa soglia. È
molto studiata per sfruttare questo composto come analgesico, perché allevia gli stimoli dolorosi è però
ancora in studio. Esistono una serie di concentrati che vengono venduti con una connotazione di “brucia
grassi”.
Glucosinolati
Sono composti antinutrizionali; in realtà hanno bioattività molto importante, legata alla presenza di
isotiocianati, tra cui la glucorafanina che è in grado di rilasciare il composto attivo, ovvero il sulforafano.
Sono composti tipici delle Crucifere (cavoli, broccoli, cavoletti di Bruxelles). Il sulforafano è una molecola
bioattiva relativamente facile da titolare e dosare. Ha una spiccata azione antitumorale; la trasformazione
di glucorafanina in sulforafano avviene grazie all’enzima tirosinasi, la quale è sia espressa nelle piante sia in
alcuni batteri del microbiota: si stanno selezionando probiotici che riescano ad attivare la glucorafanina per
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formulare integratori che vedano probiotico come stabilizzatore intestinale ma anche in grado di liberare
glucorafano. In particolare esistono diversi meccanismi per il sulforafano: modulazione dell’espressione di
alcuni geni coinvolti nel tumore; inibisce le istone-acetilasi, che regolano l’avvolgimento del DNA attorno
all’istone; esistono fortissime evidenze sul tumore della prostata nell’uomo: sembrerebbe che abbia azione
selettiva per le cellule tumorali senza toccare quelle sane. I meccanismi esatti d’azione non sono ancora
chiarissimi. Esistono integratori con iperconcentrati di estratti di germogli di broccoli: i germogli
contengono sostanze che vengono poi meno espressi nella pianta adulta e si sta sempre più sviluppando
l’industria dei germogli. Glutatione ed enzimi solforati
Il glutatione è coinvolto in sistemi di difesa fisiologica del corpo umano. È un importante antiossidante ed è
strettamente correlato al metabolismo degli AA solforati.
Il glutatione è il γ-glutamilcisteinglicina; basa la sua azione sul gruppo SH che lo caratterizza. Può funzionare
anche come cofattore enzimatico; non è solo di origine animale, ma è anche presente nel mondo vegetale e
in alcuni microrganismi. Si ripartisce nel citosol ed è uno dei principali sistemi antiossidanti di natura idrofila
dell’uomo; altro sistema molto studiata è quello della vitamina E e tocoferoli.
Il glutatione è una molecola di 370 g/mol; esiste nella forma G-SH e GSSG. È un tripeptide molto
abbondante (1-10 mM) anche se è molto facile quando l’individuo è sotto stress ci sia una deplezione del
glutatione. La supplementazione della dieta con glutatione ha quindi un razionale.
Attraverso una rapida cascata di enzima, il principale è la glutatione sintasi, si arriva alla formazione della
molecola: si forma prima la γ-glutamilcisteina che grazie alla glutatione sintasi lega poi la glicina.
Le due forme GSH e GSSG rappresentano la forma ridotta e ossidata del glutatione: il bilancio tra i due è
importante per valutare la quantità attiva di glutatione. Per una sintesi ed una attività ottimale del
glutatione è necessario che nell’ambiente cellulare siano presenti metionina e selenio. Il selenio è uno degli
elementi nutritivi scarsamente rappresentati nei terreni e sono stati sviluppati metodi per arricchire i
terreni di selenio. La sintesi del glutatione è anche correlata alla disponibilità del precursore, la L-cisteina,
che non è così comune negli alimenti: è un AA solforato e ne si trovano quantità discrete nelle proteine del
siero del latte e nelle proteine delle brassicacee.
Il metabolismo del glutatione: il GSH è consumato in moltissime reazioni enzimatiche e serve come
sorgente si equivalenti riduttori. Il GSH è usato in particolare dalle glutatione-perossidasi. La forma GSSG
attivata dall’enzima glutatione reduttasi rigenera il GSH attivo. Questo è un meccanismo redox che riporta il
glutatione in forma attiva. Tutti i dismetabolismi che agiscono sulla reduttasi agiscono sul bilancio generale
del glutatione. È facile andare in carenza di glutatione, che è anche importante per la detossificazione dei F.
La sintesi del glutatione è enzimatica, controllata da molti fattori ambientali e in modo molto preciso. La
capacità della glutamiltransferasi è molto importante: è un enzima di classe 2 ed è l’enzima chiave per la
sintesi del glutatione. La rottura del legame γ tra glutammato e cisteina per trasferire il glutamile ad un
altro AA, come la cistina, porta alla formazione della cisteinglicina, che è un prodotto secondario
anch’esso è importante nel bilancio del glutatione perché non può formarsi. 28
Il trasporto della cisteina è sodio-dipendente, molto specifico a livello di stereo specificità ed è molto
sensibile al pH. C’è un’influenza data dall’introduzione con la dieta della cisteina e da parte di altri AA che
competono con i trasportatori della cisteina. Per la cistina invece il trasporto è sodio-indipendente, ancora
dipendente dal pH; generalmente l’ingresso della cistina è accompagnato dall’uscita di glutammato. Alte
concentrazioni di glutammato stimolano l’ingresso di cistina, per mantenere il bilancio cistina/glutammato.
Il trasporto della cistina della dieta è anche legata all’azione dell’insulina.
Per la metionina si tratta di un trasporto sodio-indipendente che non risente molto del controllo ormonale
e cellulare.
Esiste un meccanismo detto di transulfurazione, che è la capacità delle cellule epatiche di convertire
metionina in cisteina: introduciamo metionina e la convertiamo in cisteina. Questo meccanismo è presente
però solo nell’uomo adulto, quindi in bambini e feti non avviene; è ostacolato da patologie gravi al fegato,
come la cirrosi.
La metionina viene convertita velocemente in omo-cisteina: in eccesso di metionina il metabolismo
catabolico dell’omo-cisteina viene accelerato. Quando l’omo-cisteina è in eccesso viene riconvertita in altre
molecole: l’eccesso è correlato ad un maggiore rischio cardiovascolare. Nella via intervengono molti enzimi,
ma anche vitamine come acido folico e vit B12; un sistema di controllo è collegato alla betaina, che deriva
dalla colina porta all’eliminazione di cisteina con rilascio di dimetilglicina. L’omocisteina è convertita poi
in cisteina e infine entra nella sintesi del glutatione. Tutte le reazioni a monte sono dei fattori limitanti.
Di nuovo siamo in una situazione in cui l’uso di integratori è giustificato.
La sintesi avviene soprattutto nel fegato; molti F impattano sul fegato e si interferisce con la sintesi.
Esistono strategie di integrazione di glutatione; una dose di 15 mg/Kg di glutatione è già attiva.
Sembrerebbe che il glutatione, anche per os, supera la BEE.
Si può anche agire a monte, con supplementazione di metionina: generalmente si aggiunge 10-15 mg/Kg.
Molto spesso si supplementa anche con alcune vitamine, come folato, B6 e B12. Bisogna tenere conto
dell’effetto regolatorio della quantità di AA: un’eccessiva supplementazione di metionina, con sbilanciato
apporto di vitamina, può aumentare la conversione di metionina in omocisteina. Esistono integratori con
dosi altissime di metionina, però un alto assorbimento della metionina è un rischio perché si forma tanta
omocisteina che rappresenta un rischio cardiovascolare.
Uno degli alimenti più ricchi di metionina è l’uovo.
Si può poi lavorare supplementando l’N acetilcisteina, usata come precursore della cisteina. È facilmente
assorbibile a livello intestinale, viene metabolizzato nel fegato. Non esistono ancora delle evidenze dirette
che la supplementazione diretta con N-acetilcisteina aumenti la sintesi del glutatione. La NAC viene usata
anche in sciroppi con mucolitico.
Una molecola collegata al glutatione è l’acido α-lipoico. È molto usato come integratore; è un antiossidante
che ha anche la capacità di aumentare la presenza di glutatione attivo nelle cellule, attraverso la sua
capacità riducente si comporta come un sistema antiossidante secondario negli alimenti. Questo
composto è stato molto studiato come molecola in grado di aiutare le risposte di difesa dell’uomo.
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Si trova soprattutto nella verdura a foglia larga. Nella forma naturale è in stereoisomero R, ma spesso
commercializzato come racemo. È usato anche a livello farmacologico, nel trattamento della iperglicemia e
protettore in alcune tipologie di avvelenamento da metalli.
Nei giovani, ma soprattutto nell’adulto, l’acido lipoico è effettivamente in grado di aumentare il glutatione
ridotto. Si sta iniziando ad usare, in associazione con F che interferiscono con il glutatione, supplementi di
acido lipoico. In Italia tra gli integratori a connotazione erboristica è il Noglic; si basano su una regolazione
diretta del glucosio, sfruttando diverse molecole. Tra gli estratti nel Noglic: momordica, cannella e
gymnema. È utile per il mantenimento dei normali livelli fisiologici degli zuccheri. Le piante presenti sono
ammesse nella lista del bothanicals. La momordica è detta anche zucca amara ed è una pianta tropicale
usata come medicinale tradizionale per le sue proprietà ipoglicemizzanti. Altra pianta è la gymnema che è
venduta come coadiuvante del metabolismo dei carboidrati per il controllo del senso di fame: contiene
saponine triterpeniche che sono in grado di controllare il livello fisiologico del glucosio; una delle molecole
contenute dalla pianta è l’acido gimnemico che ha la capacità di spegnere la percezione del dolce, legandosi
ai recettori del dolce molto fortemente. La Cannella invece ha una spezie e quindi ha attività
antimicrobiche; alcuni sostengono che in dosi massicce riduce il colesterolo ma sicuramente ha proprietà
ipoglicemizzanti.
Altro componente dell’integratore è il cromo picolinato. Il cromo (Cr III) è molto usato nella modulazione
della glicemia: è una sorta di cofattore dell’insulina nel senso che coadiuva l’azione dell’insulina. Ci sono
tanti studi sul cromo che hanno risultati contrastanti sulla sua azione sul controllo del glucosio. Abbastanza
chiaro è che c’è un effetto più specifico su pz affetti da diabete, mentre le persone sane non vedono effetti.
Esistono anche dei dati sulla riduzione del peso e sulla riduzione della comparsa dell’obesità: c’è però
ancora molto da studiare. La forma più utilizzato è il cromo picolinato: il Cr II si coordina con strutture
fenoliche. Ancora in dubbio sono le dosi e la tossicità, perché si tratta comunque di un metallo
potenzialmente tossico. Studi dimostrano che già alle dosi di alcuni integratori si potrebbero avere effetti di
mutagenicità.
Discorso correlato agli effetti antiossidanti riguarda il selenio. È un cofattore per un enzima importante per
il bilancio del glutatione, la glutatione perossidasi. Studi suggeriscono che abbia un ruolo soprattutto
quando l’organismo è in stato di deplezione del glutatione. C’è da dire però che il selenio è già utilizzato per
arricchire alimenti, come la patata; però oltre una certa dose, non troppo alta, provoca intossicazione
(problemi GI, danni ai nervi, vomito). Le dosi sono difficili da stabilire, perché intervengono differente inter-
g g.
individuali: il minimo è intorno a 39-40 di selenio al giorno e non bisogna superare 90-100
Il selenio è un cofattore per alcuni enzimi, detti seleno-proteine. L’azione del glutatione sulla glutatione
perossidasi, che elimina il perossido di idrogeno, è correlata dal selenio. Il selenio si trova soprattutto in
pesci di grandi dimensioni come il tonno, petto di pollo, carne di agnello, asparagi (ma dipende dalla zona
geografica dove crescono perché il selenio è captato dal terreno; l’Italia è povera di selenio).
Mettendo insieme tutto, abbiamo un sistema che ci permette di difenderci da ROS e RNS. C’è una teoria
che correla la presenza dei radicali liberi con l’invecchiamento cellulare. 30
Curcumina
Molto di moda; venduta in forma di integratore e come colorante giallo-arancio, aromatizzante. È un
estratto della radice della pianta; in realtà esistono diverse molecole bioattive. La curcumina,
bisdemetossicurcumina e demetossicurcumina sono tra queste molecole. Si parla anche di curcumina 1, 2 e
3. Ha due funzioni carboniliche che possono essere ridotte, quindi è anch’essa soggetta a equilibrio di
riduzione. Ha una storia molto antica ed è stata studiata soprattutto come antinfiammatorio; molti studi
hanno poi dimostrato che la curcumina in particolare agisce a livello di enzimi come COX ed è in grado di
modulare fattori di trascrizione come NF-kB. Esistono anche dati di farmaco e nutrigenomica che
dimostrano che sia in grado di modulare l’espressione di alcuni geni.
Di per se la curcumina, quando la si vuole formulare da dei problemi perché è poco solubile; può però
grazie ai gruppi idrossilici legarsi con molecole antipatiche, ovvero i fosfolipidi: per migliorare la
biodisponibilità della molecola è stato creato il concetto del “fitosoma” è una struttura vicino al concetto
del liposoma, che però a differenza di questo dove contiene il bioattivo all’interno, qui c’è legame diretto
della molecola con il lipide. Il fosfolipide si fonde con la membrana e rilascia la curcumina (nome
commerciale: Meriva).
La curcumina ha la capacità di interagire con recettori di citochine antinfiammatorie, di agire a diversi livelli
con NF-kB modificandone la traslocazione nucleare, di agire direttamente sulla trascrizione di geni. Studiato
molto anche come antitumorale.
Azioni biologiche:
- Antinfiammatorio
- Antiossidante
- Azioni minori, correlate all’azione sull’infiammazione:
Malattie cardiovascolari
Diabete
…
Lato meno studiato ma con evidenze serie è la capacità di promuovere un bilanciamento fisiologico della
salute neuronale, soprattutto negli anziani.
Per quanto riguarda l’interazione con NF-kB, è coinvolto nella cangerogenesi, regolazione dell’apoptosi,
regolazione della differenziazione e risposta immunologica.
Sembrerebbe che la curcumina sia in grado di passare la BEE; inoltre sembrerebbe che sia in grado di legarsi
alla placche β-amiloidi nell’Alzheimer: stimola l’azione dei macrofagi coinvolti nell’uptake di queste placche.
Luteina
È un carotenoide presente in molti alimenti. È una xantofilla (carotenoide idrossilato). È stata spesso
comparata alla zeaxantina e altri carotenoidi (antaxantina, cantaxantina): molti lavori sostengono che la
luteina è biodisponibile, facilmente assorbita nell’intestino e raggiunge poi la retina. A livello di retina e
epidermide la luteina agisce a livello bioattivo. È anche un pigmento in grado di filtrare la luce
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complementare al suo colore, ovvero filtra la luce blu: le radiazioni di luce blu sono emesse da telefoni, PC,
schermi LCD, tablet e rovinano la vista. La luteina è quindi importante per i giovai che trascorrono molte
ore con questi sistemi. Ha inoltre la capacità di prevenire e migliorare la situazione di chi ha problemi alla
retina.
Luteina e zeaxantina si trovano in molti vegetali e sono anche formulate in perle gelatinose. La luteina
spesso è insieme alla zeaxantina, più rappresentata nel mais. Spinaci e alcuni tipi di rape sono molto ricchi
di luteina; la si ritrova anche nell’uovo, dove prevale sulla zeaxantina. Questa xantofilla è anche presente in
sistemi particolari, come sistemi di fermentazione. Sicuramente è coinvolta nella degenerazione maculare
della retina, legata all’invecchiamento, ma esistono studi anche su malattie cardiovascolari e tumori.
Le xantofille raggiungono l’occhio e si fissano alla retina, agendo come filtro. Alcune di queste xantofille si
accumulano e cristallizzano, come nel caso della cantaxantina. La luteina si comporta meglio della
zeaxantina nella protezione dell’occhio.
La degenerazione maculare è una degenerazione irreversibile che può portare alla cecità. È facile da
identificare perché si ritrovano delle macchie in cui la retina non è più attiva. Ci sono moltissimi studi che
effettivamente dimostrano che la luteina e la zeaxantina proteggono dalla comparsa e dalla degenerazione
della patologia. Ci sono anche moltissimi studi sugli effetti sulla cataratta. In molti studi, tutti i carotenoidi,
ma soprattutto la luteina hanno dimostrato una riduzione sensibile del rischio di cataratta. Esistono anche
dati sull’azione delle xantofille sul cancro. Esistono dati forti sul fatto che la luteina è inversamente
associata all’attività del citocromo PA2, correlato in studi genetici con l’insorgenza di alcune tipologie di
tumore.
Un effetto importante dei carotenoidi è nelle patologie cardiovascolari. La luteina, in miscela con
zeaxantina, aiuta nella protezione di attacchi di cuore, angina, ischemie, infarti.
Betaina
Altro composto molto usato negli integratori per la protezione del sistema cardiovascolare. Deriva dalle
melasse ottenute dalla barbabietola, da non confondere con betanina che è il colorante rosso della
barbabietola. Viene anche usata negli integratori per gli sportivi, perché ha apparentemente la capacità,
insieme agli AA ramificati, la sintesi della massa magra e migliorare le performance nello sforzo. Come
struttura è la trimetilglicina.
È in grado di limitare l’aumento dell’omocisteina; la betaina è in grado di rimetilare l’omocisteina a S-
adenosilmationina. È un cofattore nelle reazioni di metilazione: è molto importante per molti processi
fisiologici quindi la sua azione non è limitata all’eliminazione dell’omocisteina. Viene già utilizzata per
completare le formule degli integratori. 32
Lupino e derivati
In farmacia si vende pasta alimentare secca contenente questi composti, nata con connotazione legata alla
celiachia. È una delle migliori paste dal punto di vista di texture e caratteri organolettici che possono essere
mangiate dai celiaci. Per i celiaci si usano anche paste di riso e mais, ma sono meno buone. La pasta a base
di lupino quindi contiene i bioattivi del lupino; i bioattivi hanno caratteristiche tipiche di quelli della soia. È
una leguminosa, di cui ne esistono diverse varietà, riconosciute in base al colore dei fiori lupino bianco,
blu e giallo. Si differenziano non per il contenuto preoteico e proprietà biologiche, ma per l’essere più o
meno amari, e questo dipende dal contenuto in alcaloidi, in realtà tossici: sono di tipo chinolizidinico o
piperidinico o indolico. Oltre ad essere amari sono tossici e vengono eliminati nella produzione delle farine:
si eliminano facilmente perché molto idrosolubili, quindi si usa acqua basica oppure la cottura e
l’estrusione.
È stato molto studiato; è tradizionalmente coltivato in piccole zone del sud Italia mentre è massivamente
coltivato in Australia. In Australia abbiamo altre varietà che si avvicinano a quelli detti: i lupini più amari
arrivano fino al 4% di alcaloidi in peso. Come composizione di proteine è paragonabile alla soia (>30% di
proteine) e contiene una bassissima quantità di amido, ma è più ricco di fibra non digeribile. La disposizione
dei nutrienti è diversa a seconda che il lupino sia rivestito dalla buccia (molto spessa, contenente molta
cellulosa e pectine); l’interno del seme è circa il 70% ed è molto ricco in proteine e relativamente ricco in
pectine (quasi 30%; in acqua quindi gelifica come altri legumi).
I lupini sono molto più ricchi dei cereali di lisina e sono un’eccezionale fonte di arginina. L’arginina è molto
importante perché è precursore di molti precursori, come il GABA. Tra i composti minori ci sono
antiossidanti, buon contenuto di carotenoidi di cui il principale è la luteina, relativamente ricchi di
tocoferoli (più della soia).
Tra le leguminose, buona parte delle varietà di lupino, sono meno ricche di composti antinutrizionali: hanno
basso contenuto di inibitori di amilasi e proteasi (in particolare della tripsina che invece è abbondante nella
soia), contenuto basso di fitati, molto poveri di tannini e saponine, inoltre non contengono lectine.
Le proteine sono molto interessanti, perché insieme a quelle del pisello sono state caratterizzate con studi
proteo mici e hanno bioattività interessante. Le principali frazioni di proteine sono le conglutine: sono
globuline quindi si denaturano facilmente al calore e sono suddivise in base al PM in α, β, δ, γ le α hanno
PM maggiore, seguite dalle β e poi γ e δ che sono molto piccole. Sono state identificate una serie di
proteine e frazioni idrolizzate di proteine che hanno spiegato alcune azioni biologiche del lupino:
- Aumentano valore proteico dell’alimento
- Capacità ipoglicemizzanti
- Proprietà ipocolesterolemizzanti e ipotrigliceridemizzanti
- Capacità ipotensive, tipiche anche dei peptidi della soia
- ACE-inibitori
Inoltre ha anche proprietà tecnico-funzionali, come ottimi leganti dell’acqua e possono essere lavorati
fornendo ottime proprietà texturizzanti.
Esistono una serie di evidenze anche sulla capacità di alcuni peptidi di regolare l’appetito: le proteine hanno
di per se, al di la del controllo ponderale del riempimento gastrico ed effetto sugli ormoni, capacità di
fornire sensazione di sazietà. Questi peptidi si possono trovare anche negli alimenti fermentati.
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Gli sfarinati di lupino sono il principale derivato della lavorazione di lupino; ci sono diverse tipologie di
sfarinati, con alto contenuto in proteine o fibre e si utilizzano da soli o in miscela per ottenere altri prodotti,
come snack, fiocchi per la colazione, pane, pasta. Gli sfarinati ricchi in proteine sono usati anche in yogurt e
gelati.
La pasta che si ottiene è già gialla e non necessita dell’aggiunta di carotene. I semi sono prima puliti poi
trattati termicamente per abbattere gli alcaloidi e gli antinutrizionali. Sono poi separate con sistema a
separazione le bucce; si ha una prima macinazione per ottenere la farina, che verrà poi ulteriormente
processata. Viene dissolta e si effettua operazione di estrazione e ripartizione, usando soluzioni acquose
acide o basiche, ripartendo proteine o fibre. C’è poi quasi sempre un riscaldamento che completa
l’eliminazione degli alcaloidi: in questi riscaldamenti però si sviluppano in parte le reazioni Maillard,
cambiando il profilo organolettico. Si possono anche produrre degli spray. Partendo da farina non
frazionata si ottiene uno sfarinato giallo che viene utilizzato per ottenere la pasta.
Anche le fibre estratte dal lupino sono molto interessanti. Non sono ancora state studiate e proprietà
probiotiche.
Nelle paste preparate con lupino si va dal 5 al 7% di contenuto in proteine.
Biodisponibilità
Per essere attivi questi composti devono raggiungere il target fisiologico, quindi questi composti devono
essere biodisponibili. La biodisponibilità è la capacità della sostanza di essere assorbita e di poterla ritrovare
in altri distretti diversi da quello intestinale.
La biodisponibilità e la bioaccessibilità sono due cose diverse: quest’ultima è la capacità del composto di
essere attacco dagli enzimi digestivi idrolitici. Una sostanza può essere biodisponibile ma non bioaccessibile
e viceversa.
Come definiamo la biodisponibilità? È la % del nutriente che è assorbita dal corpo umana ed è da esso
utilizzata. La biodisponibilità è un sistema che dobbiamo valutare, anche se non è così semplice. Si usano
anche sistemi in vitro, come il sistema caco2. La definizione della biodisponibilità è la definizione di quanto
nutriente contenuto nel prodotto anche dopo il processing. Ad esempio il pomodoro contiene licopene, ma
la biodisponibilità del licopene cambia se il pomodoro è processato tecnologicamente la trasformazione
dell’alimento influisce notevolmente sulla biodisponibilità. L’alimento non trattato ha il 100% di
biodisponibilità; abbiamo poi processamento, digestione, assorbimento, uptake cellulare (i composti
entrano nella cellula utilizzando vie differenti) e quando s arriva al target c’è poi la funzionalità del
composto. La biodisponibilità si valuta nelle ultime tre fasi, a livello post-gastrico.
In realtà si può valutare la biodisponibilità a diversi livelli, perché la definizione di biodisponibilità può
essere data sia considerando la % di nutriente ingerito, sia la % di nutriente assorbito. La % ingerita è
generalmente più facile da determinare, perché valutare l’assorbimento intestinale è più difficile per via
della variabilità intestinale. 34
Per valutare questo bisogna considerare che ci sono una serie di effetti che limitano la biodisponibilità; ad
esempio nel caso dei minerali abbiamo la digestione, durante la quale alcuni minerali vengono liberati,
perché si trovano legati a sistemi chelanti e quindi non sono biodisponibilità; durante la digestione si
digeriscono le proteine, ch però non sono tutte digeribili. Nei minerali c’è poi assorbimento, trasporto
sanguigno, escrezione renale e trasporto a livello di membrana, che per i minerali è fondamentale, infatti
esistono carrier specifici. Per i minerali uno dei punti critici è l’assorbimento: ad esempio gli integratori di
ferro sono molto difficili da digerire e ristagnando danno disturbi intestinali; inoltre il ferro non è
biodisponibile. Forme diverse di minerali hanno ovviamente biodisponibilità diverse.
I nutrienti sono fortemente condizionati anche dalle proprietà intrinseche dell’alimento o del nutriente: nel
caso dei minerali, chimicamente essi non si sciolgono in acqua allo stesso modo le stesse proprietà
chimiche dell’alimento condizionano la biodisponibilità (ad esempio la solubilità). Da considerare è anche
l’effetto matrice: nell’alimento ci sono anche altri composti che possono facilitare o meno la
biodisponibilità: la fibra promuove e facilita il transito intestinale e ci sarà meno tempo per l’assorbimento;
un alimento ricco di lipidi favorisce l’assorbimento di sostanze lipofile.
Abbiamo anche fattori intrinseci, come età, salute, condizioni del microbiota, intervariabilità da specie a
specie. Quando si fanno studi di biodisponibilità bisogna passare per il comitato etico.
Possiamo dividere la biodisponibilità in due fasi:
- Assorbimento
- Assimilazione: trasporto del nutriente già digerito e internalizzato
Esistono modelli e formule per valutare se una sostanza è più o meno assorbita e ritenuta.
Come si quantifica la biodisponibilità? Una delle formule che si usano è la seguente:
-2
% biodisponibilità = % assorbita x % assimilata x 10
Altre formule sono più complesse e tengono conto anche di molti altri fattori.
Esempio: 5 mg di metallo nell’alimento; 10% assorbito di cui il 42% è ritenuto nel sistema. La
biodisponibilità è 4,2% ovvero 0,21 mg
Quando si fanno studi di biodisponibilità bisogna considerare anche la cinetica per valutare la presenza e la
persistenza del composto, al pari dei F. Esiste anche la possibilità di valutarla quantitativamente costruendo
delle curve. Troviamo il punto corrispondente alla Cmax, correlata ad una costante di assorbimento, che
dipende da molti parametri. Per stimare l’assorbimento però non si valuta la Cmax, ma l’AUC.
Fattori che influenzano la biodisponibilità:
pH dello stomaco e dell’intestino
stato e superficie intestinale dei microvilli
proprietà di eventuali F utilizzati
o pKa
o solubilità
o PM 35
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher ctfery di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Bioattività e innovazione tecnologica in alimenti funzionali e nutraceutici e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Piemonte Orientale Amedeo Avogadro - Unipmn o del prof Arlorio Marco.
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