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Yale, viene incaricato infatti di fare questo ampliamento che trova
delle soluzioni originali come la scelta di utilizzare per le solette una
struttura a moduli tetraedrici in cemento armato. Esternamente però la Yale art Gallery si chiude con una parete in mattoni priva di
apertura, come fosse a protezione dei preziosi oggetti contenuti, mente, in contrasto, il prospetto verso la corte interna è
completamente vetrato. Un diverso atteggiamento lo si nota con la First Unitarian Church and School
(Rochester, New York, 1959): il progetto legato alla sfera del sacro intriga la creatività
di Kahn e ne scaturisce un disegno con al centro, come fulcro di tutto, il tempio,
esemplificato prima in un quadrato e poi modificato in un rettangolo; attorno ad esso
si articolano gli altri ambienti ad uso scolastico o per servizi, che fanno a formare una
cortina di difesa per l’ambiente dedicato al culto. Il complesso restituisce quindi
un’immagine di roccaforte medievale con la movimentazione dei volumi ottenuta da
alternanza tra pieni e vuoti: le tagliate verticali della facciata sono incassate nelle
pareti in sfondato, così da essere protette dagli aggetti della muratura in mattoni.
Nel Salk Institute (La Jolla, California, 1959-65) il sito su cui costruire, in affaccio
sull’oceano pacifico, ispira l’architetto a disegnare un progetto di estrema
armonio tra spazi aperti ed edifici che costeggiano le piazze orientate verso il
mare. Il complesso è in cemento armato a vista con inserti in legno, e nella
piazza centrale uno stretto canale porta un esile corso d’acqua a tuffarsi in una
vasca ad un livello inferiore.
Nella sede dell’Indian Institute of Management (Ahmedabad, India, 1963-74)
Kahn esplica la forza della massa architettonica con volumi definiti e dimensioni
imponenti, che sono però scavati per rispondere ad un preciso illuminamento o
areazione o per semplice decorazione. I mattoni a vista dialogano con coerenza
con gli architravi in cemento armato, tra i quali spiccano i grandi archi e le
aperture semicircolari contrapposte degli edifici dei dormitori.
La sua opera più impegnativa è la sede del parlamento di Dacca (Bangladesh, 1962-dopo la sua morte). Il tema gli permette di
concretizzare la sua idea per cui le istituzioni hanno un ruolo primario nella vita civile e per cui gli edifici che le ospitano debbano
avere un forte valore simbolico. Kahn identifica nella sala dell’assemblea il fulcro dell’edificio, rivestendola di sacralità mettendola
al centro del progetto, mentre il resto degli edifici si dispone a
corolla di questo nucleo. Il disegno parte da un quadrato
ruotato di 45° nella parte centrale per la sala dell’assemblea;
sull’asse nord-sud si trovano l’ingresso e la moschea, e su quello
ovest-est l’ingresso dei ministri e la caffetteria, mentre sulle
diagonali i servizi. Caratteristica importante è la divisione tra
funzioni principali e secondarie, cioè spazi serviti e spazi
serventi, che è data dalle forme degli edifici: curvilinei i primi e
rettangolari gli altri. Il parlamento in cemento armato viene
decorato e nobilitato con del marmo bianco e la luce investe gli interni attraverso grandi tagli circolari e triangolari che
alleggeriscono le masse.
Kahn continua comunque a costruire anche negli USA come il Kimbell Art Museum
(Forth Worth, Texas, 1962-71) che ora sta subendo l’ampliamento da parte di Renzo
Piano e in cui Kahn sperimenta la copertura a botte di grande luce e lo studio
dell’illuminazione diffusa per uno spazio espositivo, e la Philips Exeter Library (New
Hampshire, 1965-71), in cui riprende la forma quadrata, al cui centro lascia uno
spazio vuoto delimitato da setti murari, che sale fino alla sommità dell’edificio.
Louis Kahn apre così una nuova via dell’architettura che aggiunge degli elementi
trascurati dal Movimento Moderno, quali la necessità dell’uomo di confrontarsi con
la propria storia, il desiderio del trascendente come consolazione testimoniale
dall’uso dei simboli, e la ricerca di un’eternità del proprio tempo attraverso
l’architettura.
Robert Venturi
Altra accusa che si fa al Movimento Moderno è l’aver smarrito la valenza comunicativa
dell’architettura, rendendo ogni edificio impersonale in tutte le sue componenti, soprattutto
nel contesto d’inserimento. Queste architetture “moderne” vengono ritenute asettiche, non
rispondenti alle necessità estetiche e psicologiche della gente comune, vista come
soddisfazione dell’ego di un ristretto gruppo di intellettuali. Tra le tante voci di critica, c’è
anche quella dell’americano Robert Venturi (Filadelfia, 1925) che segue le lezioni di Kahn a
Yale, imparando il valore delle architetture del passato, e lavora con Saarinen (autore del TWA
Terminal di New York) dove rimane fino a quando non vince il Rome Prize dell’American
Academy e si trasferisce a Roma per studiare l’architettura barocca fino al 1956. Quando rientra negli USA apre un suo studio e nel
1964 costruisce la Vanna Venturi House per la madre. Di non grandi dimensioni, Venturi gioca col contrasto tra elementi semplici e
altri più complessi, citando il passato in maniera ironica come per la facciata principale con la simmetria marcata da un taglio
centrale della muratura che viene sconfessata dall’asimmetria delle finestre, con riferimenti anche a Kahn e Wright.
Altro progetto è la Guild House (Filadelfia, 1960-63), che è una casa per anziani
fortemente simmetrica, in cui l’elemento centrale della composizione è dato da una
colonna in granito posta in asse e sovrastata da un blocco di logge che termina con una
finestra semicircolare che dà sulla sala comune. La scritta Guild House a grandi caratteri è
anticipatrice della teoria di Venturi sull’importanza dei segni di comunicazione visivi nella
società consumista attuale, così come l’antenna televisiva color oro, che è una metafora
riferita all’importanza della televisione nella vita degli anziani.
La necessità di riappropriarsi di elementi comunicativi ed emozionali, di forme antiche e
familiari come se fossero nuove è alla base del libro di Venturi Complexity and
Contradiction in Architecture (1966) in cui ribadisce anche l’importanza della
comunicazione dell’architettura contro la purezza formale del Movimento Moderno, tant’è che ironizza sulla famosa frase di Van
Der Rohe “Less is more” con la sarcastica “Less is bore”, da cui appare l’intenzione di ritornare ad un’architettura fatta di elementi
complessi, come le architetture passato e soprattutto quelle barocche, viste da Venturi come modello per la sua complessità che è
entrata però nella percezione comune delle città. La città infatti secondo Venturi deve essere rappresentazione del disordine dato
da stratificazioni architettoniche diverse, che però diventano punti di riferimento per l’uomo. Le città infatti per l’architetto sono
fatte delle architetture e gli oggetti di tutti i giorni, e non solo di grandi opere, perché gli elementi più banali e ordinari sono quelli
che interagiscono con il vivere quotidiano e lo caratterizzano. Il tema della comunicazione, che lo affianca anche ai geni della Pop
Art, viene ripreso invece con Learning from Las Vegas (1972) in cui prende come
esempio la città-giocattolo di Las Vegas in cui l’insieme dei cartelli e di illuminazioni
kitsch e esagerate rende l’immagine più reale della città moderna, che diventa
simbolo della società del consumismo che si sta sviluppando. Allo stesso pensiero
sono riconducibili il progetto per il College Football Hall of Fame (Non costruito,
1967) che prevedeva come elemento centrale uno schermo con immagini salienti
del football, e le Showrooms per i Magazzini Best (1978) e Basco (1979), che
diventano veri e propri monumenti della passione statunitense per la grande
distribuzione. Più vicini alla componente scenografica e ironica sono il Benjamin
Franklin Court (Filadelfia, 1972) e la Western Plaza (Washington, 1977) in cui
ridisegna sul sito della piazza la mappa della capitale.
La consacrazione della banalità quotidiana e la rinuncia alla costruzione di nuove espressioni stilistiche in favore dell’accettazione e
valorizzazione di ciò che già c’è spingono Venturi ad operare in questo “Habitat Minore” fortemente radicato nel vivere comune.
Non è pero da considerare un appiattimento dell’architettura che punta verso il basso, ma come una presa di coscienza della realtà.
La diffusione del Postmodern
Nel 1977 Charles Jencks (1939) con The language of Post-Modern Architecture individua la strada di una nuova tendenza che cerca
di rimediare agli errori operati dal Movimento moderno, soprattutto nella sua applicazione ai temi urbani. I post-moderni vedono il
ritorno alla storia non come ricorso ai valori simbolici degli edifici del passato (Kahn), né come ricerca del consenso della
popolazione, ma come libero utilizzo delle citazioni tratte dagli stili del passato senza timori o camuffamenti. Questo processo di
formalizza con la mostra Presenza del passato alla Biennale di Venezia del 1980, sotto la direzione di Portoghesi, che mette in scena
l’allestimento della “Strada Novissima”, riproponendo la strada e le facciate come svolgersi delle architettura, poste in sequenza col
fine di realizzare l’armonia della città, così come avviene nei centri storici. Gli architetti che ci lavorano sono Aldo Rossi, Arata
Isozaki, Franco Purini, Frank O. Gehry, Hans Hollein e Robert
Venturi. Ogni progetto è diverso ed è basato sul
ripensamento secondo la propria creatività dell’eredità del
passato al fine di rendere nuovo e attuale ciò che si giudicava
come antico e obsoleto. Gli artisti che seguono questa idea
sono Michael Graves (1934), che si rivolge al recupero di una
tradizione architettonica in grado di riferirsi al passato,
comprendendo un passato recente come quello delle
avanguardie. Graves con quest’idea costruisce il Portland City
Hall (1980), l’Humana Building (1982) e la biblioteca di San Juan Capistrano (1984); icone rappresentative del post-moderno sono
però Piazza d’Italia (New Orleans, 1978) di Charles Moore dove si mette in evidenza l’importanza di un’immagine che stimola
meraviglia nel fruitore giocando con forme eccessive ricavate dal passato scenografico e poco storicizzato. Altro intervento è il
grattacielo AT&T (attuale Sony Building, New York, 1984) di Philip Johnson che si allontana definitivamente dall’idea miesiana di
grattacielo come Glass House, e ritorna ad un edificio con la tripartizione classica tipica della scuola di Chicago.
Altro protagonista del post-moderno è