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Il nome
All’interno dei gruppi etnici che parlano questa lingua troviamo i WoDaaBe: un possibile endo-
etnico che loro si danno è anche Bororo. Perché si danno anche il nome Bororo?
Bororo si considera un termine che ha origine da Bororoen, ovvero un nome per una classe
• speciale di Fulbe, un’altra popolazione che si oppone ai WoDaaBe; quindi, secondo questa
idea, i Bororo sarebbero un gruppo di Fulbe che si è staccato da quest’ultimi, caratterizzati
da una religione animista, fortemente nomadica, e che mantiene un sistema culturale
chiuso, ovvero una società in cui lo scambio matrimoniale avviene rigidamente solo
all’interno del gruppo;
Altri studiosi hanno raccolto delle informazioni che dimostrano come alcuni WoDaBee si
• autodefiniscano così in base a un certo tipo di discendenza: in particolare sarebbe un
gruppo che ha particolari capacità e conoscenze mediche;
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Un’altra delle spiegazioni è che prenderebbero il loro nome dal nome delle mucche
• Bororo, in quanto essendo nomadi praticano un tipo di economia di allevamento che ha
bisogno di spostarsi per trovare i luoghi più adatti per la pastorizia. Il collegamento con il
nome delle mandrie è uno schema mentale molto diffuso, tanto è che in Italia nel III secolo
a.C. e anche prima si pensava che la parola Italia derivasse da “vitello”, quindi che i popoli
italici, sostanzialmente nomadi, prendessero il loro nome e loro stessi si fossero creati un
mito prendendo il nome dal vitello.
Il nome Bororo ha assunto delle caratteristiche particolari anche in relazione alle altre
popolazioni: ad esempio, in Camerun, i Bororo sono considerati una popolazione arretrata,
tanto è che i gruppi pastorali stessi tendono a non identificarsi più con questa parola; in Nigeria,
invece, il termine è usato per qualsiasi popolazione migrante e pastorale che non prega, che
non parla Hausa, e che si veste e si agghinda come una donna, cioè che si fa i capelli come le
donne.
Non solo, un’altra sorta di autodenominazione è l’interpretazione della parola WoDaaBe legata
alla parola Fulfulde per “tabù”; significherebbe, quindi, “quelli che rispettano i tabù”; mentre
invece per gli altri popoli, come i Peul, il tabù viene preso come elemento di emarginazione, e
quindi vengono considerati come i popoli tabuizzati, come gli esclusi che hanno tutto un loro
mondo di tabù e quindi sono esclusi dal mondo che li circonda.
Le origini
Per parlare delle origini e degli antenati di questa popolazione ci si rifà a storie mitiche: queste
si focalizzano soprattutto sui WoDaaBe come gruppo etnico e mirano a raccontare quali sono i
confini fra gruppo etnico e un altro - esiste sempre una sorta di opposizione fra noi e gli altri - e
narrano anche l’acquisizione del bestiame, loro prima ricchezza; altre storie interne mirano a
raccontare i vari lignaggi dei WoDaaBe, quindi i vari clan e tribù.
Le storie mitiche parlano di vari lezioni di un matrimonio incestuoso tra una donna Fulbe e
• suo figlio: i WoDaaBe sarebbero quindi nati a partire da questa relazione. Perché l’incesto,
sempre proibito nella maggior parte dei gruppi umani e considerato il più grande tabù, è
presente nelle storie mitiche? Perché, come in questo caso, da un enorme trasgressione
come l’incesto si stacca poi la nascita di un popolo che diventa il modo per reinstaurare un
nuovo ordine; quando avviene un incesto, l’ordine di prima è rotto e non può più essere
reinstaurato, bisogna quindi purificarsi e crearne uno nuovo. Tutto nasce da una madre,
cioè un sistema dove il principio femminile ha una certa rilevanza; una madre mitica al
posto di un padre mitico, principio fondamentale ed importante per tantissime popolazioni
africane. La donna in questione è straniera (Fulbe) perché mette in luogo la separazione,
quindi il gruppo non fa più parte dei Fulbe, ma si crea la popolazione dei WoDaaBe. In tutte
le storie mitiche e in tutti gli schemi mentali mitici che hanno spesso, lo straniero è sempre
visto come una minaccia, qualcuno che può portare una novità o che tendenzialmente
cambierà le cose. 3
Secondo un altro tipo di storia, l’origine dei WoDaaBe sarebbe attribuita a uno spirito
• divino.
Un altro schema che fa originare i WoDaaBe sempre da un incesto, dove però i figli sono
• due fratelli che danno origine rispettivamente ai WoDaaBe e ai Fulbe, la popolazione che
si oppone ai primi (Romolo e Remo).
Un antropologo ha raccolto un altro mito di origine: l’origine di questa popolazione
• nomadica sarebbe attribuita a un bambino della popolazione sedentaria dei Fulbe, che
smarritosi, cresce da solo nei boschi e acquisisce sempre da uno spirito acquatico
sovrannaturale la sua prima mandria di bestiame con cui si sosterrà.
Secondo un’altra storia, sarebbe un profeta discendente da Maometto che avrebbe dato
• origine ai WoDaaBe. La graduale sedentarizzazione di questa popolazione sarebbe andata
di pari passo con l’acquisizione della religione islamica.
Educazione
L’educazione del figlio è appresa, cioè i valori si apprendono per conoscenza, senza che
qualcuno glieli spieghi, tanto che gli uomini non giocano mai con i loro figli e le madri stanno
lontani dai loro figli per i primi due anni*; i bambini, quindi, guardano come si comportano i
grandi, li emulano ed imparano da soli.
I clan
Esistono pochissimi miti sull’origine dei
WoDaaBe, e solo uno sull’origine dei clan: i clan
nascono da due fratelli, Ali e Degi, che non si sa
esattamente dove e quando vengono, la
discendenza dei quali dà origine a due clan
principali: quelli degli Alidjam che derivano da
Ali e Degereul che derivano da Degi; questi
clan hanno avuto la capacità nel tempo di
frazionarsi in tantissimi clan.
I clan sono acefali: non hanno quindi un capo e non hanno una suddivisione sociale. Questi
gruppi hanno una relazione tra di loro di somiglianze e differenze: non vanno sempre d’accordo,
in quanto ci sono dei clan che hanno dei rapporti conflittuali con gli altri, mentre rapporti tra altri
clan possono essere più fluidi; quando arrivano agli estremi, un gruppo è costretto a migrare. I
WoDaaBe hanno anche una forte rappresentazione di ciascun clan, nel senso che esiste il clan
chiamato “dei codardi” oppure quelli che “non finiscono mai quello che hanno nel piatto”.
Principalmente le differenze tra i diversi clan riguardano come in alcuni clan ci si dedichi
• maggiormente alle attività commerciali, oppure il modo di organizzare e di costruire la
tavola, che è uno degli elementi fondamentali della loro “casa”, o alcuni comportamenti
sociali. 4
Non esiste una differenza netta all’interno delle lingue parlate dai clan: esiste un’unica
varietà che all’interno può avere delle piccole differenze, soprattutto quando ci si riferisce ai
prestiti di lingue vicine: ad esempio, l’unica autorità del gruppo, l’ardo, viene chiamato con
un termine di prestito in alcuni gruppi, quindi non si usa il termine locale ma si usa un
termine preso in prestito da altre lingue;
Alcuni clan hanno, invece, delle somiglianze: per esempio, il clan derivato da Ali, gli
• Alidjan, presenta due scarificazioni sugli zigomi verticali, come segno di bellezza, parlano la
stessa varietà di lingua, e qui c’è l’unica traccia di un comportamento orgoglioso dei
WoDaaBe perché ritengono che la loro lingua sia la forma più pura dell’antico Fulfulde, e
hanno una struttura mobiliare, cioè del letto, molto semplice. Praticano molto la medicina e
sono molto superstiziosi. Sebbene il termine Alidjam pare voglia dire “uomini della pace”,
sono invece notoriamente combattivi, donnaioli e bevono molto (esiste una battuta che
spesso si sente fare all’interno dell’altro clan: quando arrivano loro la pace se ne va); hanno
la fama anche di essere cannibali, ma è solo una diceria; un’altra diceria è quella di portare
sfortuna; in realtà vanno anche molto fieri di questa fama che hanno.
Accampamento
Il termine “suudu” sta ad indicare quello che in italiano è conosciuto come “casa”: in realtà non è
esattamente una casa, ma è una capanna, la cui proprietaria è la donna. Un accampamento può
essere composto da un minimo di un’unità (un suudu) fino ad un certo numero di nuclei
familiari:
È costruita in maniera semplicissima: attraverso dei rami creano una specie di mezzo circolo
• sempre aperto ad ovest; quando l’accampamento è formato da più unità, la particolarità è
il suo allineamento, che va da sud a nord per gli uomini (dal più vecchio al più giovane), e
il contrario per le donne, cioè da nord a sud (dalla più vecchia alla più giovane: la prima
moglie, la seconda moglie e la terza moglie, perché gli uomini possono avere più mogli);
donne e uomini vivono separatamente;
Di fronte alla casa è fondamentale per loro avere un pezzo di corda che si chiama dangul,
• che serve per attaccarci i vitelli per non farli scappare; è un oggetto che appartiene alla
casa e non può essere né sorpassato o calpestato. La corda è un simbolo di prosperità; nei
momenti di carestia c’è un’espressione tipica che dice “non ho avuto neanche un vitello
sulla mia corda”. Un uomo che ha più donne usa una corda molto lunga e ne taglia un
pezzetto per ciascuna delle case di sua moglie, in modo che ciascuna sappia di avere la
propria corda e i propri animali. Questo modo di considerare la simbiosi tra gli animali e la
comunità appare anche in una tradizione legata alla nascita: quando nascono i bambini, la
placenta e il cordone sono seppelliti a fianco del bastone che regge la corda; la risposta
che danno i WoDaaBe al perché è che “la corda è il luogo della nascita perché si mettono i
vitelli appena nati”; è dunque un rituale che fa parte della tradizione;
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Davanti a ciascuna casa, nel periodo delle piogge, accendono un fuoco speciale che si
• chiama dudal: si tratta di uno spazio attorno al fuoco che non serve per riscaldarsi, ma per
dare sollievo alle mucche in quanto allontana tutti gli insetti; in questo modo però
contribuisce anche alla pulizia della casa. Quando passa la stagione delle piogge non si fa
più il dudal. Questo spazio ha tantissimi tabù, la cui non osservanza può portare la
malasorte, per esempio:
- Non si possono mettere dei recipienti di argilla perché si corre il rischio