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L’ARTE SECONDO PLATONE
Da qui deriva un giudizio sostanzialmente negativo di Platone sull’arte. Essa è
fondamentalmente negativa, perchè è copia e quindi dal punto di vista metafisico
ci allontana dalla verità. Copia nel senso: nel mondo sensibile abbiamo la natura/il
circostante, che è già una copia dell’Iperuranio, l’arte è una copia del mondo
sensibile, quindi se il mondo sensibile è copia del mondo delle idee allora essa è
una copia della copia, essa sta ancora più in basso e se il mondo sensibile è
lontano dalla verità, l’arte che è una copia della copia sarà ancora più lontana dalla
verità (estremamente negativa la poesia come forma d’arte per Platone).
L’arte è quindi imitazione dell’imitazione, quindi l’idea che sta alla base è l’idea di
arte come Mimesis, ovvero imitazione (es. una statua può essere molto bella, lui
stesso ne riconosce la bellezza, può essere una copia dell’uomo che già è una
copia imperfetta, figurarsi la statua che lo rappresenta nei suoi caratteri di
imperfezione, non fa altro che allontanare dall’idea di verità). Il problema è che
Platone, e tutta la cultura greca, fonda la propria idea di filosofia sul concetto di
Logos, sul concetto di ragione, lasciando da parte tutte le questioni che ragioni
non sono, ovvero sentimenti e affetti, ecco perché Baumgarten ha molto a cuore
ciò che dice Platone.
Gli artisti, per Platone, hanno recato un grandissimo male all’umanità, invitando il
pubblico a contemplare le opere, hanno garantito al mondo un grande danno,
ovvero quello di allontanarli sempre di più dalla contemplazione delle idee.
Come si contemplano per Platone? Facendo filosofia, riflettendo, entrando in
comunicazione diretta con le idee si fa appunto filosofia. Ecco perché l’artista
opera in maniera opposta, allontanando non avvicinando dalle idee
(dall’Iperuranio).
Condanna come doppie imitazioni pittura e scultura, ma soprattutto la poesia, con
questa si intende anche la tragedia.
Esse come le opere d’arte suscitano emozioni non agiscono sulla ragione e questo
lo riconosce (anche piacevoli, positive), ma talvolta allontanano dalla verità, è una
forma di ottundimento, di annebbiare la mente con uno stupefacente che è l’arte,
essa annebbia la ragione, non rende la mente più lucida. Di conseguenza accade
una forma di disequilibrio di noi stessi, tanto è vero che tante volte, spesso e
volentieri, anche se siamo in due a provare un’emozione piacevole, a volte
vorremmo rimanere nel nostro, nella nostra medietà quotidiana, a volte vorremmo
stare stabili e in equilibrio, né negativamente né positivamente. Ne consegue che
le emozioni creano in noi un disequilibrio; se le emozioni suscitano disequilibrio
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emotivo, perdita della misura (fin troppo caro ad Aristotele), questo ha
implicazioni non solo a livello conoscitivo (accedere all’Iperuranio), ma anche
politico. Per lui il politico non può far leva sulle emozioni del cittadino, perché
questo non è buon governo ma approfittarsene di questo disequilibrio tra i
cittadini, dovrebbe essere estremamente razionale. Formuli una politica fondata
sulla sensazione e non sulla ragione. Quindi ci si allontana anche dalla verità, sul
quale deve basarsi una città e quindi dall’equilibrio e dall’ordine che dovrebbe
garantire il buon governo della città. La virtù politica è la virtù dell’ordine dice
Platone e talvolta aggiunge che quando bisogna prendere decisione sulla vita
della polis/città, non si può prendere sull’onda dell’emozione, perché può portare
a fare anche cose peggiori, invece bisognerebbe staccarsi da essa e commisurare
le cose con rettitudine logica, ragione alla base di tutto (Logos). L’attualità ci dà un
panorama sconcertante da questo punto di vista, siamo lontani dalla verità
metafisicamente e dal buon governo politicamente.
Però il giudizio negativo è esercitato in relazione all’arte e non al bello: lui
riconosce e non giudica negativamente il bello e la bellezza che fanno parte
dell’arte, ma l’arte sì, in quanto imitazione, il bello non è necessariamente il bello
artistico ma è il buono. Quindi il bello è un’idea perfetta che vive nell’Iperuranio,
che vive nell’iperuranio.
“Il bello è la manifestazione evidente che ci sono delle idee” dice Platone, “che
sono ancora più belle, che c’è un’idea massima di bellezza” il bello è quindi la
manifestazione delle idee, dei valori: il bello come utile e il bello come buono,
quindi il bello è la via più facile per accedervi.
Platone fa un approfondimento sul concetto di poesia, perché per lui è proprio
quanto di più lontano dalla verità ci sia, rispetto alla ragione (Logos), anche se
anche qui fornisce considerazioni molto contraddittorie tra di esse, in relazione
alla poesia, la quale a volte è vista come un’attività quasi magica e irrazionale
(giudicata negativamente), altre volte viene giudicata relativamente positiva, ciò
che coincide in entrambe le visione è che è fatta e organizzata da qualcuno che
crea sotto entusiasmo.
Quindi poesia = creare sotto entusiasmo, una forma di disequilibrio, un’emozione.
Sostiene poi “il poeta talvolta è una sorta di Dio invasato”, colui che vuole creare a
tutti i costi, pur di fare qualcosa.
Qui da un giudizio negativo sull’arte che si concretizza in un dialogo chiamato
Ione, dove lui stesso paragona la poesia ad una sorta di magnete, che comunica la
sua forza a chiunque si avvicini, rendendo invasati sia coloro che fanno poesia, sia
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coloro che la recepiscono (interpretano). Perciò il poeta non è una persona
razionale ed è totalmente lontano dalla verità. Percorso estendibile a tutta l’arte,
perché nella poesia gli aspetti negativi dell’arte emergono con maggiore potenza.
Platone aggiunge “il poeta è un essere leggero, alato, sacro che non sa fare poesie
se prima non sia stato ispirato dal Dio, se prima non sia uscito di senno“, prima
viene toccato da Dio, in maniera quasi assurda esce di testa e perde l’uso
completo della ragione e aggiunge “chi possegga intelletto è incapace di
poetare”, se ci prestiamo attenzione gli uomini di scienza, abilissimi nello scrivere
centinaia di saggi riguardanti i fenomeni fisici, non sono poi in grado di dare vita o
apprezzare un’opera letteraria o poetica, chi ha intelletto quindi non può poetare,
solo di argomentare logicamente, non poeticamente: due dimensioni
completamente opposte.
Sotto questa prospettiva e tutte queste acquisizioni c’è l’arte vista come imitazione
della natura (nella sua forma più rudimentale).
Anche per Aristotele essa è concepita in questo modo. Mentre se facciamo
riferimento al tempo prima di Platone notiamo l’esistenza di due interpretazioni
del concetto di Mimesis:
• I sofisti (pre-socratici) pensavano che la mimesi (l’arte come mimesi) fosse
imitazione della natura delle cose, delle azioni e dei sentimenti degli uomini,
quasi come un bisogno innato e come tale era qualcosa di immediatamente
percepibile, già esistente in ognuno di noi, per questo non era affatto
considerata come disdicevole o cattiva.
• I pitagorici (scuola di Pitagora) pensavano che l’arte fosse un’imitazione
dell’essenza nascosta, perciò vi era bisogno di profondità maggiore per imitarla.
Platone oscilla tra queste due concezioni, prende sia dall’una che dall’altra, però
per lui l’arte in alcuni casi è vista come puro divertimento, nonostante definita
negativamente, a livello filosofico, solo per l’impedimento all’accesso della verità.
poichè ci intrattiene, ci fa passare del tempo, ci suscita emozioni (quindi non è un
male assoluto per egli, infatti vacillerà molto nei suoi dialoghi, è negativa dal
punto filosofico perché ci allontana dalla realtà).
In alcuni casi ce la presenta come addirittura dannosa, nociva, perchè ci procura
piacere (o un’emozione generale) ma ci distrae e ci distoglie dalla ricerca della
realtà vera, che non è il mondo sensibile ma è il mondo delle idee. La realtà è ad
un basso livello: la verità è la realtà elevata all’ennesimo grado di verità. In
conclusione nonostante Platone non abbia una trattazione organica del fatto
estetico, vi sono riflessioni che ancora oggi sono di particolare interesse per
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Baumgarten o Khant, dove il fatto estetico diviene più articolato ed entrano in
gioco molte più emozioni. Una delle concezioni che oggi possiamo ereditare da
quanto ha scritto Platone in merito è per esempio che per fare poesia non è
necessario avere solo una tecnica (non è un insieme di informazioni tecniche che
ci spiegano oggi, ma c’è dietro molto di più). È indispensabile l’emozione, essere
sensibile alla capacità di emozionarsi di fronte alla realtà. Ci vuole un ingegno
creativo per essere poeti, ed è bene che ci sia e che nella società ci siano artisti,
anche poeti; ma i filosofi o chi cerca la verità non può farla, perché nel momento in
cui si avvicinerebbe al fare poesia si allontanerebbe dalla verità: grande ingenuità
di Platone. Non si può universalizzare a tutte le epoche queste sue convinzioni.
Già con Aristotele cambia radicalmente la concezione di fare poesia (opposta a
quella platonica), il suo giudizio universale non è negativo in relazione all’arte, in
particolare modo rispetto alla poetica, dà anche lui molta importanza ad essa, per
loro è l’arte per eccellenza infatti. L’unico punto in comune è l’arte come imitazione
(imitazio-mimesis), in modo però particolare, è imitazione più nel senso sofista che
in quello pitagorico. C’è un altro punto di differenza con Platone: se con
quest’ultimo non esiste un’opera dedicata solamente all’analisi del bello, per
Aristotele c’è e si chiama Poetica, dove Aristotele non si occupa solo ed
esclusivamente della poesia ma in generale del fenomeno artistico. Qui bisogna
prendere in considerazione un altro elemento, ovvero quello ricorrente del Cairos,
in greco “momento opportuno”, istante che se lo estendiamo più in generale,