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Der Vaterstadt, vorüberfährt. Da sieht er musica di soave e possente nostalgia, suono che
Die Gassen, hört die Brunnen rauschen, riecht ardeva oscuro e melodioso, voce della malinconia, la
Den Duft der Fliederbüsche, sieht sich selber, più struggente. Eppure - cosa strana! - dentro di me,
Ein Kind, am Ufer stehn, mit Kindesaugen, muto, piangeva un rimpianto senza nome, un
Die ängstlich sind und weinen wollen, sieht nostalgico rimpianto per la vita, il pianto di chi, al
Durchs offne Fenster Licht in seinem Zimmer – calare della sera,
Das große Seeschiff aber trägt ihn weiter passa su una grande nave dalle immense vele gialle,
Auf dunkelblauem Wasser lautlos gleitend sulle acque azzurro cupe, davanti alla città,
Mit gelben fremdgeformten Riesensegeln. alla sua città natale. Vede le strade,
sente il mormorio delle fontane, il profumo dei glicini,e
vede se stesso, ancor bambino, là sulla riva, con gli
occhi infantili, pieni d'angoscia e vicini al pianto, e
vede, oltre la finestra aperta, la sua stanza con la luce
accesa, e vede -ma la grande nave lo trascina via,
scivolando silenziosa sulle acque azzurro
cupe, con le sue immense, straniere, vele gialle.
Le nebbie grigio argento avvolgevano nel crepuscolo
la valle, come quando la falce di luna spunta dalle
nuvole. Ma non era notte.
In quell'alito argenteo e grigio, che si posava denso di
profumi sulla scura valle fluivano fluttuanti i miei
„Ballade des Ausseren Leben“ (Hofmannsthal, 1892)
Stile e forma sono differenti dalla precedente poesia.
Hofmannsthal infatti riusciva a dominare tutti gli stili.
In questa poesia, egli sceglie una struttura piana e semplice, una scansione limpida diversamente dalla precedente che
risulta più complessa.
La poesia sembra essere una filastrocca. Il titolo è profetico.
L’apertura dell’opera è affidata alla congiunzione “Und”, e ciò ci fa capire che il primo verso potrebbe essere la
prosecuzione di infiniti versi che stavano prima.
Ballata che inizia dando definizioni filosofiche pessimistiche sulla vita.
Oggetto di tale poesia è la misteriosa impenetrabilità della vita.
L’immagine del “Wind” è una metafora che sta ad indicare la caducità del divenire.
Il meccanismo della ripetizione è finalizzato a rendere la desolazione delle mancanza del senso. L’io lirico, nella
seconda parte della poesia, pone diverse domande incalzanti.
Und Kinder wachsen auf mit tiefen Augen, E crescono bimbi con occhi profondi,
Die von nichts wissen, wachsen auf und sterben, che nulla conoscono, crescono e muoiono,
Und alle Menschen gehen ihre Wege. e tutti gli uomini vanno per la loro strada.
Und süße Früchte werden aus den herben E i frutti acerbi diventano dolci
Und fallen nachts wie tote Vögel nieder e cadono a notte come morti uccelli,
Und liegen wenig Tage und verderben. restano a terra per pochi giorni e marciscono.
Und immer weht der Wind, und immer wieder E sempre il vento soffia, e di nuovo molte
Vernehmen wir und reden viele Worte parole ascoltiamo o diciamo
Und spüren Lust und Müdigkeit der Glieder. avvertendo la gioia o la stanchezza nel corpo.
Und Straßen laufen durch das Gras, und Orte E l'erba è attraversata da strade, per luoghi
Sind da und dort, voll Fackeln, Bäumen, Teichen, diversi, con fuochi, alberi, stagni,
Und drohende, und totenhaft verdorrte ... minacciosi talvolta, e mortalmente deserti...
Wozu sind diese aufgebaut? und gleichen A che tante cose? E tanto diverse?
Einander nie? und sind unzählig viele? E in numero grande?
Was wechselt Lachen, Weinen und Erbleichen? Che cosa alterna il riso al pallido pianto?
Was frommt das alles uns und diese Spiele, E questa commedia a cosa ci giova?
Die wir doch groß und ewig einsam sind A noi ormai adulti e soli in eterno
Und wandernd nimmer suchen irgend Ziele? Che senza cercare una meta vaghiamo?
Was frommt's, dergleichen viel gesehen haben? E aver visto tanto a cosa poi serve?
Und dennoch sagt der viel, der "Abend" sagt, E tuttavia dice molto chi dice "Sera",
Ein Wort, daraus Tiefsinn und Trauer rinnt una parola da cui stilla una tristezza intensa
Wie schwerer Honig aus den hohlen Waben. Simile a denso miele da favi profondi.
„Der Tor und Der Tod” (Hofmannsthal, 1893)
Dramma lirico scritto a soli 18 anni. H. disse di essere attirato dalla forma raffinata e preziosa del proverbio medievale,
in cui era riassunto un conflitto drammatico che portava ad una conclusione didattica. Ed è proprio dal proverbio
medievale che deriva tale dramma.
Nella composizione di questo dramma, H. usa molti modelli, tra cui il “Faust” di Goethe.
Il dramma è un conseguirsi di citazioni di opere classiche e riferimenti intertestuali. Il dramma lirico è privo di azioni e
dunque ricco di dialoghi e riflessioni su azioni o avvenimenti. Si tratta di un dialogo tra il protagonista Claudio e la
Morte. Ambientato intorno agli anni ’20 dell’800, come se H. volesse andare all’origine della cultura estetizzante di cui
si sente essere la fine.
L’ambientazione è caratterizzata dal gusto impero, che richiama l’idea napoleonica del recupero dell’impero romanico;
descritto in maniera precisa per dare una notizia sul carattere e la vita del personaggio che configura come un esteta che
filtra la vita attraverso l’arte, poiché osserva la natura con occhi di uno che guarda l’arte.
Per comprendere l’opera è necessaria la lettura delle “Considerazioni inattuali” di Nieztsche, specialmente della
seconda. Infatti tematica dell’opera è il problema della coscienza storica.
Vi è la compresenza di stili diversi (Nebeneinander).
Parole ricercate e versi sciolti allineati musicalmente dalle rime molto ricercate caratterizzano l’opera.
Claudio si immerse in pensieri e ricordava la madre, l’amata e il caro amico della gioventù quando improvvisamente,
analogamente al Faust, appare la Morte che viene preannunciata dal suono di un violino che appunto placa le riflessioni
del protagonista. Nell’avvertire questa musica provenire dal giardino, Claudio chiede al servitore che chi fosse la fuori
venisse fatto accomodare in casa, ma il servo spaventato dalla figura della Morte che stava la fuori, si rifiutò di ubbidire
all’ordine impartitogli e Claudio preso da ancora più curiosità decise di aprirgli la porta quando nel vederlo ne rimane
impaurito e spaventato.
La Morte appare tranquilla e dotta, presentandosi come colei che presiede la caducità delle cose. Dice che non deve
essere vista come la classica morte medievale e cristiana rappresentata cioè dallo scheletro. Essa viene dalla stirpe di
Dionisio e di Venere, dunque ciò che sta di fronte a Claudio è una specie di Dio, detto Morte, che rappresenta il
principio dionisiaco che ha a che fare con la concezione della vita come un eterno divenire.
Claudio si lamenta del fatto di non aver mai vissuto. Ma la Morte controbatte e cerca di convincerlo che la sua vita
ormai è finita.
Nel momento in cui la Morte evoca le figure che hanno avuto importanza nella vita di Claudio (la madre, l’amata e
l’amico) che non ha saputo onorare la loro presenza, il dramma prende forma di una Morality Play.
Queste figure sfilano in maniera silenziosa davanti al protagonista.
Allora Claudio raddrizzandosi dice le sue ultime parole rendendosi conto di ciò che è stato, e nel fare ciò, Claudio e
dunque Hofmannsthal, cita altra letteratura.
Cosi come diceva Nietzsche, che gli ospiti stranieri sono invadenti ma che l’uomo moderno nonn può far altro che
accoglierli tutti, per Hofmannsthal questi ospiti stranieri sono la letteratura da lui fatta.
Hofmannsthal, prendendo spunto da Schopenhauer e dal suo “Velo di maya” (apparenza illusoria), filtra la vita
attraverso l’arte (Schleicher velo).
Claudio vive un’esperienza estatica, affermando che in un’ora egli riesce a premere tanta vita più di quanto l’intera vita
potesse contenere.
Claudio comprende che la sua vita è stata un sogno e che dunque ha vissuto il sogno come vita e adesso vive il risveglio
della morte.
Nel finale H. concentra considerazioni poeto logiche che ricordano “la Ballata della vita esteriore”
Il finale è anche allegorico e simbolico; si noti una specie di summa dei primi anni di H. come poeta.
„Der Brief des Lord Chandos” 1901 (Hofmannsthal)
Considerato il punto di svolta della sua produzione dalla lirica alla prosa, si tratta di una poesia immaginariacomposta
nel 1901, scritta dall'immaginario Lord Chandos e indirizzata a Francis Bacon che fu dal punto di vista teorico e
logico, il primo sistematore del metodo scientifico moderno (Galileo fu il primo a praticare tale metodo ma Bacone gli
diede una veste filosofica).
La lettera rappresenta la testimonianza di una gravissima crisi dello spirito, che aveva catapultato Lord Chandos, e
dunque Hofmannsthal per circa due anni, dalla parola perfetta alla parola impossibile.
Lord Chandos scrive all’amico per scusarsi del fatto della sua rinuncia all’attività letteraria, ma non per questo
Hofmannsthal cessò di scrivere, anzi si può dire quasi che da quella crisi nasca la sua grande prosa.
Essa costituisce un manifesto del venir meno della parola e del naufragio dell'io nel convulso e indistinto fluire
delle cose non più nominabili né dominabili dal linguaggio. Il protagonista abbandona la vocazione e la professione
di scrittore perché nessuna parola gli sembra esprimere la realtà oggettiva; il segreto flusso della vita lo afferra e
compenetra a tal punto che egli si smarrisce completamente negli oggetti, si dissolve in una rivelazione del Tutto che
distrugge l'unità della persona in un sussultante trascolorare di emozioni e reazioni.
La lingua cui Lord Chandos vorrebbe approdare, innominabile e indescrivibile, è quella delle cose mute che parlano,
con le quali sogna una fusione panteistica e, appunto, intraducibile.
Claudio Magris, nella sua lettura critica, definisce lo scritto come . . . un deliquio della parola e del naufragio dell’io
nel convulso e indistinto fluire delle cose non più nominabili né dominabili dal linguaggio; in tal senso il racconto è la
geniale denuncia di un’esemplare condizione novecentesca. Il protagonista abbandona la vocazione di scrittore perché
nessuna parola gli sembra esprimere la realtà oggettiva. . .
Lord Chandos non riesce a comprendere più le frasi ma solo le singole parole (crisi conoscitiva e linguistica), e tratta di
importanti avvenimenti quali il crollo dell’edificio delle frasi, problema dell’estraneità del linguaggio che si traduce
nell’estraneità dell’io.
Vi è dunque l‘idea del linguaggi