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GREEN ECONOMY:
LA BIOPLASTICA
Corso di laurea di Valutazione e controllo
ambientale
Docenti:
Studenti:
Malandrino Ornella
Apicella Martina- 0512500387
Sessa Maria Rosaria
Malafronte Lucia- 0512500374 1
Prima di analizzare l’oggetto preso in considerazione, ossia la bioplastica, è
opportuno introdurre un concetto che è alla base di tutto ciò, affinché ci sia
un rapporto qualità-prezzo e, allo stesso tempo, anche una maggiore
sostenibilità ambientale, ossia il concetto di Green economy, , nato in
risposta alla crisi economica e finanziaria globale che ha scaturito
conseguenze nel settore sociale ed ambientale.
La Green economy è un modello di sviluppo
economico che, oltre a tenere conto dei
benefici (aumento del PIL) della produzione di
un determinato prodotto, prende in
considerazione anche l’impatto ambientale,
cioè dei possibili danni ambientali derivanti
dall’intero ciclo di produzione, a partire dalle
materie prime, passando al loro trasporto e
trasformazione in energia fino ad arrivare ai prodotti finiti e ai potenziali
danni ambientali che produce la loro eliminazione o smaltimento. Nella
cosiddetta “economia verde” il ciclo di produzione-consumo è studiato per
ridurre al minimo la produzione di rifiuti e di scarti: i rifiuti sono raccolti
mediante la tecnica della raccolta differenziata ed avviati al riciclaggio, in
modo da inserire nuovamente le materie prime ottenute in un nuovo ciclo di
produzione; i rifiuti non riciclabili, invece, sono indirizzati verso le discariche
speciali o distrutti tramite termoinceneritore. In tutti i casi, però, il ciclo
prodotti-rifiuti deve garantire un impatto ambientale minimo.
Il modello di “economia verde” intende proporre misure economiche,
legislative, tecnologiche e di educazione che si pongano obiettivi in ambito
economico ed ambientale:
In ambito ambientale, intende ottenere la riduzione del consumo di
energia e di risorse naturali, l’abbattimento delle emissioni di gas serra, la
riduzione dell’inquinamento, la riduzione ed il tendenziale azzeramento di
ogni tipo di rifiuto e la promozione di modelli di produzione e consumo
sostenibili, senza per questo produrre conseguenze negative sul
benessere economico e sociale.
In ambito economico, invece, occorre mirare alla realizzazione di un
sistema di prezzi che riconosca il valore dei servizi eco-sistemici offerti
dalle risorse naturali, in modo tale da contribuire alla costruzione di un
modello di mercato adeguato, nel quale sia possibile riconoscere le
cosiddette esternalità negative. 2
La transizione ad un’economia verde, dunque, non deve essere vista come una
sostituzione del concetto di sviluppo sostenibile, in quanto il vantaggio
derivante dalla sua attuazione potrà apportare benefici anche ai Paesi in via di
sviluppo, migliorando il rapporto con lo sfruttamento delle risorse. Proprio a
questo proposito, nella Green Economy l’ambiente non è più considerato come
una fonte di pericolo o come risorsa da sfruttare fino all’estremo ma come una
potenzialità da gestire con attenzione. Il rapporto ambiente-uomo diventa in
questo modo paritario: l’ambiente è tutelato per proteggere la biodiversità, per
produrre in modo sostenibile senza penalizzare le future generazioni e per
ridurre al minimo le conseguenze dell’inquinamento sulla salute dell’uomo.
Progressivamente, il discorso si è spostato dall’ambito prettamente teorico a
quello politico, muovendo l’interesse dei governi e del settore privato a
impegnarsi verso la transizione ad un paradigma economico responsabile sotto
il profilo ambientale, più equo e solidale verso tutti:
A livello di politica economica, questa transizione comporta l’attuazione di
riforme e di incentivi per la tutela delle
risorse naturali, il potenziamento delle
infrastrutture per l’ambiente,
l’introduzione di nuovi meccanismi di
mercato per la diffusione delle eco-
tecnologie, la creazione di investimenti
e l’eliminazione di sussidi dannosi per
l’ambiente;
Per il settore privato, ciò equivale ad
attuare riforme e incrementare gli
investimenti per l’innovazione, al fine di sfruttare al meglio le opportunità
derivanti da un’economia verde.
Nel tempo è maturata la consapevolezza che l’eco- compatibilità di un nuovo
paradigma economico non inibisce la creazione di ricchezza né deprime
l’opportunità di occupazione; al contrario, la diffusione su larga scala di settori
“verdi” offre significative opportunità di investimento, crescita e occupazione
per l’intero sistema produttivo. La Green Economy, dunque, non è solo uno
“slogan”, ma una concreta e seria opportunità di sviluppo per il nostro paese. 3
Il Manifesto Green Economy Italia offre le basi per impostare in modo
sistematico e trasversale una serie di possibilità per incoraggiare la transizione
all’economia verde.
Spesso il concetto di Green Economy viene confuso con la definizione di
sviluppo sostenibile, seppur correlati: la differenza è rappresentata dal fatto che
la prima non intende soltanto rendere ecocompatibili le produzioni, ma ha anche
l’obiettivo di produrre business, di portare avanti un giro d’affari molto ampio,
capace di fatturare e promuovere notevoli guadagni. In Italia i settori della
Green Economy che fanno registrare maggiori successi sono quelli dell’energia e
del recupero dei rifiuti.
Nella seguente immagine è rappresentato il numero di imprese per ogni regione
italiana che ha investito nel periodo 2008-2013 in prodotti e tecnologie green
disposte in graduatoria secondo un ordine decrescente in base alla percentuale
di investimento.
Il caso da noi considerato in questa esposizione è quello della bioplastica. 4
Questo concetto nasce da un uso sfegatato della plastica a cui è legato il
problema dello smaltimento, poiché questo è un materiale sostenibile e
biodegradabile in tempi relativamente brevi. I costi delle bioplastiche sono
sicuramente più elevati, complice il basso costo del petrolio e delle materie
prime di origine fossile. Essa si presenta come un passo avanti verso l’economia
circolare, in quanto trasforma uno scarto in risorsa (come nel caso di quelli
agricoli): questo è un problema presente in abbondanza nel nostro paese, ma
questo meccanismo può far sì che ciò che noi consideriamo rifiuto possa
diventare un bene primario.
La bioplastica si contrappone alle plastiche generate da risorse fossili: la prima
ha la capacità di decomporsi nel giro di qualche mese, mentre la plastica
tradizionale richiede millenni per degradarsi. Non tutte le bioplastiche, però,
sono talvolta rispettose verso l’ambiente in quanto non hanno mostrato così
tanti vantaggi rispetto alle plastiche di derivazione combustibile.
Possiamo avere alcune definizioni della bioplastica, in particolare:
Secondo la definizione conferita dall’European Bioplastics (un’associazione
che investe nello sviluppo della bioplastica in Europa), è un tipo di plastica
derivata da materie prime rinnovabili come amido di mais, grano, latte o
topica.
Per dare, invece, una definizione più tecnica possiamo dire che essa è un
polimero a base biologica derivato dalla biomassa o prodotta a partire da
monomeri a base organica: attualmente, quelle presenti sul mercato sono
composte da amido di mais, grano o altri cereali, convertiti e definiti come
polimeri “bio-based”.
Nella seguente immagine sono rappresentati una serie di grafici che descrivono
il ciclo di vita delle bioplastiche (PLA e TPS) in contrapposizione a quello delle
plastiche derivate dal petrolio (PS)
per kg di granuli sotto il profilo
dell’impatto ambientale come nel
caso dell’ecotossicità (CTUe),
diminuzione di ozono (Kg CFC- 11
eq), salute umana e i relativi danni,
acidificazione, eutrofizzazione,
produzione di smog. 5
Tra le soluzioni per la produzione di bioplastica, studiato dai ricercatori del
Politecnico Federale di Zurigo, c’è l’acido polilattico (PLA) prodotto da fonti
rinnovabili, da cui si ottiene glicerolo di non elevate quantità, data la presenza di
impurità come ceneri e metanolo: la presenza di questo elemento diminuisce
del 20% le emissioni di CO2 in atmosfera.
L’European Bioplastics descrive questo materiale derivante da materie prime
rinnovabili, inteso anche in un processo di riciclo; è stato brevettato per la
produzione di imballaggi, giocattoli, posate ma soprattutto è il materiale
protagonista della “guerra” dei sacchetti di plastica, precedentemente fatti di
polietilene, ormai illegali in alcuni paesi, tra i primi l’Italia tramite Direttiva
28/2012.
Secondo i dati registrati, i consumi di questo materiale in Italia nel 2015 si
aggirano intorno a 54.500 tonnellate, aumentando del 24% rispetto al 2014:
circa il 70% del totale è stato impiegato per produrre sacchetti monouso, il 12%
per i sacchi della frazione organica e il restante 18% per packaging alimentare,
agricolo, ristorazione e igiene personale.
Dati European Bioplastics
12.00%
18.00
% 70.00%
Sacchetti monouso
Packaging alimentare
Frazione organica
Inoltre, L’European Bioplastics prevede che la domanda di bioplastica possa
raggiungere 6,1 milioni di tonnellate entro il 2021, ma quest’ultima è frenata dal
costo del petrolio: se il prezzo fosse basso produrre plastica tradizionale
costerebbe meno rispetto alla bioplastica. L’aumento del prezzo dei prodotti in
bioplastica, rispondenti alla domanda del consumatore attento alla sostenibilità,
scoraggia gli acquisti. 6
TIPI DI BIOPLASTICA E CICLO VITALE
Come abbiamo riscontrato nella definizione iniziale, con il termine bioplastica
possiamo identificare un immenso gruppo di polimeri a base biologica; ne
consegue che sono disponibili moltissimi tipi di materiali organici, anche se non
tutti sono “amici” dell’ambiente:
Bioplastica a base di amido, spesso miscelata con poliesteri biodegradabili
per la produzione di miscele biodegradabili come Ecoflex e
policaprolattore;
Bioplastica a base di cellulosa, prodotta con esteri della cellulosa (acetato
di cellulosa, nitrocellulosa) o con derivati della cellulosa stessa;
Bioplastica a base di proteine, come nel caso del glutine di frumento, della
caseina;
Poliesteri alifatici: si tratta di composti bio alifatici come l’acido polilattico
(PLA), molto usato per la produzione di oggetti come bicchieri, bottiglie,
fibre e contenitori;
Polie