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Studiato gli elementi mobili del genoma nelle piante di mais
Mobilitazione di plasmidi non coniugativi- Plasmidi coniugativi e non coniugativi possono coesistere in un batterio- Col tempo la maggiora parte dei plasmidi di un batterio può acquisire copie di un elemento trasponibile presente nel dna genomico dell'ospite e viceversa (ci sono elementi mobili nel genoma di E.Coli che possono saltare da un punto all'altro del cromosoma del batterio o del plasmide F)- Di fatto con il tempo gli elementi trasponibili si distribuiscono a tutte le molecole di dna in grado di replicarsi- Di conseguenza le cellule batteriche contengono diverse copie di elementi trasponibili sia sul cromosoma batterico, sia sul plasmide- Ceppi naturali di E.Coli contengono da 1 a 6 copie genomiche di ognuno dei 6 elementi IS noti. 22Se sono presenti sia su plasmidi non coniugativi che su un grande plasmide coniugativo (plasmide F) una sequenza di uno stesso elemento trasponibile esse sono
vir-tualmente identiche—ciò permette un even-ti di ricombinazione omologa. Quando dueplasmidi anno incontro a ricombinazioneomologa si forma un plasmide compositodetto cointegrato— si forma un plasmideunico che contiene la somma delle due se-quenze dei due plasmidi d’origine (plasmi-de più piccolo+plasmide più grande).Se un plasmide partecipante alla ricombi-nazione è di tipo non coniugativo e l’altroconiugativo, il cointegrato diventerà coniu-gativo e potrà essere trasmesso medianteconiugazione. Le sequenze del plasmidepiccolo non coniugativo si cointegrano aquello coniugato che possiede tutte le se-quenze per la coniugazione—se il plasmidepiccolo confine le sequenze per la resisten-za all’antibiotico si creerà un plasmide Fcontenente queste sostanze di resistenzaagli antibiotici e a sua volta lo conterrannotutte le cellule con il plasmide F. Nel giro dipoco tempo potremmo avere un numeroelevato di
cellule resistenti agli antibiotici. Dopo la coniugazione il cointegrato potreb-be tornare libero seguendo un percorso di ricombinazione inverso.
integroni:
- Un integrone è un elemento di dna che codifica per una ricombinasi sito-specifica (det-ta integrasi, int1 nell'esempio sotto riportato) e che contiene una regione di riconosci-mento (attI) che permette a altre sequenze con regioni simili di essere incorporate nel-l'integrone mediante ricombinazione
- Gli integroni possono far parte di trasposoni, essere presenti in plasmidi o sul cromo-soma batterico
- L'integrone mediante la ricombinazione sito-specifica è in grado di acquisire sequenzegeniche note come cassette—molecole di dna circolare che tipicamente codificano peruna resistenza ad antibiotici fiancheggiata da un sito di riconoscimento per un integro-ne ma solitamente prive di un promotore—la resistenza non viene espressa perchè ilgene non viene trascritto. Quando la cassetta
accumulato la resistenza a più antibio-tici (fino a 8)- In natura un plasmide coniugativo può accumulare trasposoni o integroni contenentigeni che conferiscono resistenza ad antibiotici- Un tale tipo di plasmide, detto R, è diventato capace di conferire resistenza ad un grannumero di antibiotici diversi (fino ad 8) 24- L’evoluzione dei plasmidi R è favorita dall’uso e dall’abuso di antibiotici- Quando palsmidi R vengono trasferiti a batteri patogeni si possono avere complicazionicliniche difficili da affrontare
Modello a mosaico del genoma batterico- Lo scambio di plastidi e la mobilita di trasposoni e integroni suggerisce che il genomabatterico un mosaico di sequenze di origine diversa inserito in un set du base di genifondamentali- Il sequenziamento genomico ha evidenziato che ceppi diversi di E.Coli, sebbene con-dividano 3800 geni comuni, differiscono più del 10%- Le regioni del genoma presenti in alcuni ceppi ma non in altri
Sono definite isole geno-miche, contenuti gli multipli acquisiti da altri batteri.
Isole di patogenecita- Quando le isole genomiche contengono geni che causano malattie vengono chiamate isole di patogenecita- Es. O157:H7 è un ceppo di E.Coli patogeno che causa diarrea ematica e a volte insufficienza renale. Solitamente si contrae l'infezione in seguito ad assunzione di carne o vegetali crudi. Esso infetta circa 100000 persone all'anno negli USA determinandone la morte di un centinaio.- Il genoma di O157:H7 codifica per circa 1400 geni in più (tra cui alcune tossine) del ceppo di laboratorio K12.
I BATTERIOFAGI- LA TRASDUZIONE BATTERICA
Il termine significa letteralmente "divoratori di batteri". È un virus costituito da dna e proteine che parassita un determinato batterio, di cui può provocare la distruzione per lisi. I virus non sono catalogati come organismi viventi perché devono sempre utilizzare una cellula ospite per poter compiere
Il proprio ciclo vitale. La testa contiene l'acido nucleico, sotto a questa si trova un collare, seguito da una codache si sfrangia all'estremità libera in 5 o 6 fibre.
Ciclo mitico di un batteriofagio: Un batterio saggio T4 può andare ad infettare una cellula batterica E. Coli inserendosi attraverso la membrana plasmatica. Una volta inserito, la porzione di DNA del batteriofago è in grado di sintetizzare alcune proteine, le nucleasi, che possono tagliare le molecole di DNA della cellula ospite. Il processo di produzione di fagi continua grazie alla frammentazione del DNA di E.Coli dai quale recupera il nucleotide necessarie alla sintesi del genoma del fago stesso.
La sequenza del DNA del batteriofago codifica anche per delle proteine che sono necessarie per assemblare i nuovi batteriofagi. Il genoma viene trascritto e vengono prodotti degli mRNA che vengono tradotti dai ribosomi della cellula batterica - le proteine fagiche si autoassemblano.
incompetenti necessari per costruire la struttura dei nuovi batteriofagi. Gli enzimi che normalmente si occupano della replicazione della cellula batterica iniziano a loro volta replicare il genoma fagico, replicato a sua volta centinaia di volte. Una volta pronte tutte le componenti dei fagi, in maniera automatica, i nuovi faggi si riassemblano. A questo punto possono poi infettare altre cellule batteriche.
ESPERIMENTO DI HERSHEY E CHASE (1953)
Poiché il fago per replicarsi ha bisogno di introdurre all'interno della cellula ospite il suo materiale genetico, appare evidente che questo materiale genetico deve per forza essere il DNA poiché, come dimostrato, le proteine non entrano nella cellula infettata mentre il DNA sì. Le proteine contengono zolfo, un elemento che non compare nel DNA. Lo zolfo presenta un isotopo radioattivo, 35S. I due scienziati fecero sviluppare il batteriofago T2 in una coltura batterica contenente 35S, in modo da marcare con questo isotopo radioattivo
le pro-teine delle particelle virali risultanti. Il DNA è ricco di fosforo, un elemento normalmente assente nelle proteine. Anche il fosforo presenta un isotopo radioattivo, 32P. Così i ricercatori fecero sviluppare un altro lotto di T2 in una coltura batterica contenente 32P, in modo da marcare con questo isotopo radioattivo il DNA virale.
Usando questi virus marcati con isotopi radioattivi I due scienziati eseguirono il loro esperimenti. In un primo esperimento, I ricercatori lasciarono ti batteri venissero infettati da un batteriofago marcato con 32P, Henry in un secondo esperimento da un batteriofago mar-cato con 35S. Dopo pochi minuti dall’infezione, le soluzioni contenenti batteri infettati furono prima agitati un frullatore, in modo abbastanza energico da staccare dalla superficie batterica le parti del virus che non erano penetrati nel batterio, poi furono sottoposte a centrifugazione per separare i batteri.
Se se centrifuga ad alta velocità una
soluzione o una sospensione, i soluti o le particelle sospese si separano secondo un gradiente di densità: I residui del virus (che cioè le particelle non sono penetrate nel batterio), che sono più leggeri rimangono nel liquido surnatante; le cellule batteriche, che sono più pesanti, si addensano in un sedimento che si deposita sul fondo della provetta. Heshey e Chase scoprirono così che la maggior parte di 35S era contenuta nel liquido surnatante, mentre la maggior parte di 32P rimanevano in terra dei batteri. Questi risultati suggerivano che a trasferirsi nei batteri era stato il DNA: quindi era proprio questa la sostanza capace di modificare il programma genetico della cellula batterica. Dimostrare quindi che il DNA veicola l'informazione genetica. Come possiamo visualizzare l'infezione di batteriofagi su delle cellule batteriche? È possibile prendendo un certo numero di batteriofagi contenuti in una provetta e unendoli ad alcune cellule batteriche.per poi andare a piastrare il tutto su un terreno solido tenuto a 37°C per permetterne la crescita. Anziché avere un tappeto nel forno di cellule, nel caso sia stato utilizzato un numero sufficiente di cellule batteriche, si nota la presenza di aree in cui i batteri non sono cresciuti. In immagine la zona gialla e la porzione occupata dal tappeto di cellule batteriche, mentre piccole aree rotonde sono le cosiddette "placche di lisi". Questo comporta che i fagi possono essere visualizzati facilmente poiché, là dove il batteriofago ha infettato una cellula batterica, esso ha iniziato a effettuare il suo ciclo litico e a produrre centinaia di particelle fagiche. Durante il ciclo litico una cellula batterica infettasi rompe (lisi) liberando le tante particelle fagiche nel terreno di coltura, ed esse allora volta infettano i batteri circostanti in situ, ovvero nel locus in cui è presente il tappeto di cellule batteriche.