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I MODELLI DELL’APPARTENENZA
Le cose
Le risorse del mondo i cui viviamo, che potremmo chiamare, in via approssimativa, “cose”, non
sono sufficienti a soddisfare in egual misura i bisogni di tutti; sorge così la necessità di regolarne
l’appartenenza.
Le cose vengono anzitutto classificate secondo a chi esse appartengono, può anche accadere,
avverte Giustiniano che le cose non appartengono a nessuno, si pensi alle cose abbandonate, agli
animali selvatici, alle “res di diritto divino” destinate al culto o a onorare i morti. In particolare le res
divini iuris rimanevano escluse dal patrimonio di chiunque e non commerciabili.
Poteva anche accadere informa Giustiniano, che le cose appartenessero a tutti, res comune
omnium: così come l’aria, l’acqua corrente, il mare, pertanto anche esse non potevano rientrare
nel patrimonio di nessuno o essere commerciate.
Senz’altro prevalenti, osserva Giustiniano, sono quelle cose di cui è possibile, per natura o per
diritto, l’appropriazione in via esclusiva da parte dei singoli (res privatae).
Nelle Istituzioni di Giustiniano è successivamente prospettata un’altra divisione delle res, già
presente nelle Istituzioni di Gaio, le cose sono corporali o incorporali. Le prime per loro natura si
possono toccare, le seconde non si possono toccare. La distinzione aveva rilievo in tema di
possesso, che non era ammesso per le cose incorporali in quanto non suscettibili di apprensione
fisica; essa fondava ancora, ancora, la struttura della traditio con la quale si poteva trasferire la
proprietà di certe cose corporali mediante la consegna, cioè il passaggio della cosa dalle mani del
cedente nelle mani del cessionario.
Fondamentale è la divisione delle res a seconda che siano o no mancipi, cioè idonee a costruire
oggetto di mancipatio, atto mediante il quale, fin dai tempi più antichi, potevano essere trasferite
nell’altrui dominio.
Sono res mancipi, secondo l’elencazione delle Istituzioni gaiane, i fondi e gli edifici situati sul
suolo italico, gli schiavi e gli animali che si domano per il collo o per dorso, e anche le più antiche
servitù rustiche, di passaggio o di conduzione dell’acqua sull’altrui fondo. Nec mancipi sono tutte le
altre res diverse da quelle mancipi.
La divisione delle res poteva, poi, fare riferimento alle cose mobili ed immobili, fondamentale per
stabilire l’acquisto tramite usucapione, due anni per le res immobili e un anno per quelle mobili.
Il pensiero giuridico romano ha elaborato ulteriori, e più specifiche, divisioni delle cose funzionali
alla costruzione di dati rapporti interpersonali:
- Cose divisibili e indivisibili, le prime possono essere fisicamente distinte in singole porzioni,
che conservano, ridotta, la loro funzione economica-sociale, ad esempio un animale
macellato o una somma di denaro. Indivisibili sono le cose che, se divise, perirebbero o si
rovinerebbero, come un animale vivo. La distinzione è fondamentale quando si tratta di
dividere una cosa che appartenga a più soggetti (res communis).
- Cose consumabili ed inconsumabili, le ultime sono in grado di fornire ripetutamente l’utilità
che le caratterizza, si pensi ad un’opera artistica; consumabili sono le res che possono
essere usate una volta soltanto, come gli alimenti. Tale distinzione è stata fondamentale
per stabilire i regimi dell’usufrutto e del comodato.
- Cose fungibili ed infungibili, le prime sono considerate ciascuna nella sua individualità
fisica, le seconde si caratterizzano perché appartengono ad un genere, e si considerano in
base alla misura, peso o numero.
- Cose semplici, composte e complesse, alcune cose costituiscono un corpo unitario, e per
questo sono definite semplici, come una pietra; la maggior parte delle cose che usiamo
però derivano dall’unione materiale di più cose tra loro contigue, come un edificio, e
vengono definite cose composte. Le cose complesse sono ad esempio un popolo o un
gregge.
I diritti reali
Nelle Istituzioni Gaio osserva che “sono private le cose dei singoli uomini”, se la cosa è di un uomo
vuol dire che gli appartiene. Lo strumento processuale che in giudizio mi permette di affermare che
una res è di mia proprietà è l’actio in rem, con cui si fa valere verso tutti (erga omnes),
l’appartenenza esclusiva; in particolare nel processo formulare tale azione è specificamente
denominata “rei vindicatio”, poiché con essa si rivendica la cosa propria.
A partire dagli ultimi anni della Repubblica si poté rivendicare anche posizioni di appartenenza, per
così dire, minori in confronto all’appartenenza piena spettante al padrone (dominus), cioè a colui
che può provare che la cosa è sua. Gaio dice a tal proposito: l’azione in rem ci permette di
affermare che una cosa corporale sia nostra o che ci competa un diritto, come quello di usare o
godere, di passare o condurre l’acqua. Si distingue dunque il diritto reale di proprietà dal diritto
reale su cosa altrui (iura in re aliena).
Gaio ci riferisce che la più antica forma di rivendica con la quale nel processo arcaico un soggetto
faceva valere la proprietà a lui spettante su una cosa era la legis actio sacramento in rem. Il
medesimo formulario inoltre veniva utilizzato per difendere o acquistare quelle proprietà spettanti
al pater sulle persone libere a lui soggette: per rivendicare la patria potestas sui figli o per
acquistare la manus sulla moglie. Il potere assoluto del pater era definito heredium, in quanto si
acquistava ereditariamente e trasmesso in morte dal pater precedente.
Come ci informa ancora Gaio, chi rivendicava l’appartenenza toccava con una festuca, in segno di
signoria, la cosa controversa, che doveva pertanto essere presente nel luogo del processo, solo
successivamente sarebbe stato permesso portare un simbolo della res rivendicata.
I profondi mutamenti della vita economica determinati dall’espansione mediterranea pongono in
crisi l’idea originaria dell’indistinta signoria del pater familias: in particolare egli inizialmente era
definito mancipium.
A Roma se la proprietà era legittima e riconosciuta dal ius civile più antico, si parlava di dominium
ex iure quiritium. Tuttavia a Roma si conobbero altri tipi di proprietà: pretoria, peregrina e
provinciale.
Quando si fa riferimento al dominium ex iure Quiritium si fa riferimento ad una proprietà tutelata dal
ius civile, e dunque accessibile solo ai cittadini romani; ne erano oggetto res corporales, sia
mancipi che nec mancipi, sia mobili che immobili; i beni immobili però solo se mancipi, e quindi
solo se siti in suolo italico.
Inizialmente però la collettività che concorse alla formazione della città di Roma non riconosceva la
proprietà privata sugli immobili: le terre appartenevano alla collettività, ed erano prevalentemente
adibite al pascolo. Queste terre costituivano “l’ager publicus”. Col tempo queste terre furono
concesse a privati che iniziarono a sentirle come proprie. All’assegnazione di porzioni di ager
publicus in proprietà privata si procedeva mediante “limitatio”, un rito che aveva connotazioni
sacrali e che si compiva con l’intervento del magistrato e di un agrimensore, che stabilivano i
confini degli appezzamenti. Ma si aveva cura al contempo di lasciare intorno agli appezzamenti
degli spazi liberi che non potevano essere acquistati per usucapione.
Nei testi dei giuristi romani il diritto ex iure Quiritium viene considerato un potere assoluto e
illimitato.
A difesa del dominium ex iure quiritium esisteva la “rei vincatio”, o rivendica.
Secondo la rivendica spettava al proprietario, non possessore, agire contro il possessore.
Inizialmente la rei vindicatio veniva applicata tramite la legis actio sacramento in rem, che aveva
struttura bilaterale, il pretore pertanto si impegnava ad attribuire all’una o all’altra parte il possesso
della cosa controversa, e su ognuna delle parti grava l’onere di fornire le prove dell’appartenenza a
sé del bene rivendicato.
Diverso era il regime della rivendica nel processo formulare: dove il giudice avrebbe dovuto
stabilire se la res controversa spettava all’attore, se non gli risultava assolveva il convenuto. Se il
giudice condannava il convenuto, la condanna era espressa in denaro, il convenuto doveva pagare
in base al valore della res. Nel processo formulare l’onere della prova ricadeva solo sull’attore.
Il pretore tutela il possessore di una res come fosse il dominus, nasce così la proprietà pretoria,
che è sostanzialmente identica a quella civilistica, ma che tuttavia era destinata a durare per un
tempo limitato, a seconda che il bene fosse mobile o immobile, rispettivamente uno o due anni, in
quanto poi si acquistava la proprietà per usucapione.
La proprietà civilistica, come pure quella pretoria, restava riservata ai cittadini romani, in quanto
facevano riferimento solo ad immobili situati nel suolo italico. Nelle province la terra apparteneva al
populus romanus, ed era solo concessa in sfruttamento ai residenti, ai quali era richiesto il
pagamento di un tributo. A questo proposito i moderni parlano di proprietà provinciale, nei fatti però
questa proprietà non differiva poi molto dalla proprietà pretoria o civile, a parte l’assoggettamento a
tassazione. Quando con Diocleziano anche i fondi italici incominciarono ad essere gravati
dall’imposta, venne a cadere definitivamente la ragione della distinzione tra proprietà situate nel
suolo italico o nelle province.
La prima manifestazione del fenomeno della comproprietà può essere vista nel “consortium erto
non cito”, esso si costituiva immediatamente dopo la morte del pater familias tra più erede sui iuri.
Ogni consorte avrebbe potuto, pure senza il concorso degli altri, gestire e fruire delle cose comuni,
addirittura poteva alienarle e disporne per intero.
Alla divisione del consortium tra erede sui serviva, a partire dalle XII Tavole, l’actio familiae
erciscunde.
- I modi di acquisto della proprietà
Il dominium ex iure Quiritium si acuistava in virtù di taluni fatti o atti precisamente individuati.
Bisogna distinguere i modi di acquisto di iuris civilis e iuris gentium. I primi riservati ai soli cittadini
romani, gli altri estesi ai peregrini. Tra i modi di acquisto di iuris civilis troviamo: mancipatio, in iure
cessio, usucapio; tra i modi di acquisto di iuris gentium troviamo: l’occupazione, l’accessione, la
specificazione e la traditio.
Occupazione: consisteva nella presa di possesso di cose che non appartenevano a nessuno.
Accessione: il proprietario di un terreno si arricchisce grazie a eventi