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Fonti del diritto in età arcaica e repubblicana

1.

In epoca arcaica tutte le comunità che nascevano nel territorio del

Latium vetus si fondano su un’economia di tipo agricolo e

pastorizio. E’ in questa zona, ovvero quella circostante al Tevere, in

cui nascono sin da tempi imprecisabili villaggi formati da pagi ,cioè

contadini e agricoltori legati da comuni interessi economici e

credenze religiose. Dall’aggregazione di queste comunità nasce

(VIII a.C.) Roma nella sua forma più antica. Guidata da un capo, il

rex, con l’ausilio di un consiglio di anziani, i patres, la comunità si

regge sull’assoluto rispetto per gli avi. I cittadini ritengono

fondamentali valori come l’osservanza dei mores maiorum, ovvero

gli usi degli antenati. Perciò sono nettamente prevalenti sul singolo

gli interessi dei clan parentali.

In questa prima fase i cives seguono e rispettano precetti che

vanno ad uniformare lo ius, legato alla sfera sacrale del fas. Il

controllo del comportamento dei cittadini è affidato ai pontefici,

sacerdoti ai quali spettano compiti: organizzano il calendario,

stabiliscono i giorni fasti e nefasti ,elaborano formule propiziatorie

per le invocazioni agli dei, curano i rituali sacri; infine, quali custodi

della memoria collettiva, registrano gli eventi più importanti come

guerre, vicende politiche, fenomeni naturali. La religione è

soprattutto un fenomeno sociale e politico; i pontefici garantiscono

la pax deorum e interpretano i voleri degli dei, fungendo da

intermediari con i concittadini; tale ruolo di mediazione è reso

efficacemente dalla etimologia di pontifex, ovvero costruttore di

ponti (da potem e facere) o “colui che è in grado di aprirsi una

strada nelle foreste”.

Quali esperti nella sfera del sacro, i pontefici hanno il compito di

designare i giorni come fas e nefas, e di conseguenza di dire ciò

che è lecito e ciò che non lo è. Devono soddisfare dei bisogni

pratici, i romani hanno da risolvere questioni come: fare testamento,

acquistare schiavi, lavorare la terra, prendere moglie. I pontefici,

quindi, ideano dei riti da applicare dai cives per produrre determinati

effetti; in secondo luogo, quali depositari della memoria collettiva,

mettono al servizio dei cittadini la loro sapientia, rispondendo ai

quesiti più vari, relativi alla conformità dello ius: lo strumento di

comunicazione pontificale è il responsum, ovvero la risposta.

Nell’attività respondente i pontefici interpretano i mores maiorum

ed elaborano la scientia iuris. Nel responsum si concentra la

conoscenza del divino e dell’umano; il ius tocca entrambe le sfere. I

mores sono remote costumanze che esprimono, in quella società,

una disciplina fondata sulla “natura delle cose”, in armonia col

senso di patria, tradizione e pax deorum. I mores sono considerati

in grado di rivelare l’ordine naturale e universale, trascendente la

volontà divina.

Durante l’epoca regia, che nasce con la fondazione di Roma ad

opera di Romolo(754 o 753 a.C.) fino alla cacciata di Tarquinio il

Superbo (agli inizi del VI a.C.) l’ordinamento giuridico di Roma si

fonda sui mores. Si menzionano anche le leges regiae ovvero

complessi normativi emanati dai monarchi succedutisi( i primi

quattro hanno origini latine, gli ultimi tre sono etruschi). Non sono

nettamente distinguibili, queste leggi, dai mores. Si suppone infatti

che leges regiae fossero precetti emanati dal rex con uguale

contenuto dei mores, con la finalità di rafforzarne il valore giuridico.

Sono parimenti discusse ulteriori statuizioni di valore limitato, come

le delibere adottate dalle singole gentes, i decreta gentilicia, che

ovviamente riguardavano solo i membri delle gens.

Il ruolo delle gentes nella realtà istituzionale di Roma attraversa due

fasi: La prima, durante la monarchia latino-sabina, è composta

• dalla formazione di un ceto dirigente formato dai membri più

autorevoli delle stesse.

La seconda, durante la monarchia di stampo etrusca, è

• composta dalla formazione di un nuovo ceto dirigente formato

anche da nuovi ceti emergenti, detti anche minores gentes.

Nel 509 a.C., in seguito alla cacciata di Tarquinio, s’insedia

l’ordinamento repubblicano con i primi due consoli: Bruto e

Collatino.

Stando alle testimonianze il passaggio dal governo di un solo uomo

a una coppia di consules (o praetores) fu repentino; esistono,

comunque, indizi che ci rivelano il contrario. E’ in questo momento

storico che verrà composto quel sistema normativo noto col nome

di Legge delle XII Tavole, composto da una commissione di dieci

uomini conosciuti come i decemviri legibus scribundis.

Questo codice venne emanato tra il 451 a.C. e il 450 a.C. e diede

vita a un testo formato da precetti normativi di carattere generale e

uniforme. Le disposizioni si limitavano a conservare quelli che

erano stati gli usi e costumi della società fino a quel tempo, ovvero

una società basata su un’economia agricola e sull’autarchia

familiare; la vera novità fu la scrittura, che attribuì concretezza alle

norme. Il collegio pontificio fu così debilitato nella funzione

dell’elaborazione ed interpretazione del ius.

In seguito al sacco della città da parte dei Galli il codice fu perso,

però i contenuti furono tramandati e “aggiornati” nel tempo. I romani

riconobbero in esso la fonte di tutto il diritto. Le nostre

testimonianze dirette sono pressoché nulle, bensì ci focalizziamo

sulle citazione sparse nella letteratura di età avanzata per

conoscere. Sappiamo che erano trattati:

i principali rapporti di scambio sulle res, compresi quelli mortis

• causa

i rapporti di famiglia

• alcuni gravi crimini

• gli antichi riti processuali delle legis actiones

I precetti erano stipulati in tal modo da favorirne la memorizzazione

immediata.

Ben presto verrà iniziata una interpretatio sulle XII Tavole, in primo

luogo da parte dei pontefici e poi da giuristi laici, finalizzata ad

adattare la normativa ad una società in continua evoluzione.

Contemporaneamente si rafforza il regime repubblicano che

formalmente ha il suo fulcro nel popolo e nell’organizzazione

comiziale: il popolo si riunisce in assemblee cittadine, tra queste le

più sono i comitia centuriata ,le quali inizialmente avevano

esclusivamente funzioni militari, per poi raggiungere anche quella

legislativa. I cittadini venivano divisi in cinque classi economiche, i

cittadini riuniti nel comitiatus maximus avevano la funzione di votare

le leggi su proposta (rogatio) del magistrato, e quelle approvate

prendevano il nome di leges rogatae. Compiti simili avevano i

comitia tributa. Con la lex si riconosceva al popolo la potestà di

iubēre. Il giurista estendeva, quindi, tale potestà alla plebe

ricordando l’equiparazione alle leggi dei plebisciti avvenuta nel 287

a.C. con la lex Hortensia.

Un pilastro dell’età repubblicana è la figura del pretore, in questo

magistrato si concentra la giurisdizione romana, osservata prima

nei re, poi nei consoli ed infine, appunto, nel pretore. Il pretore

veniva eletto nei comitia centuriata annualmente, ed era “cum

imperio” quindi acquisiva il cosiddetto “imperium”, alla pari dei

consoli pur se con meno potestas date le sue competenze. Il

pretore venne istituito nel 367 a.C. con le legis Liciniae Sextiae le

quali avevano lo scopo di ristrutturare l’assetto delle strutture

repubblicane. Grazie a queste leggi i plebei ebbero accesso al

consolato, ma la carica pretoriana rimaneva un privilegio patrizio.

Sono risalenti a quest’epoca due tipi di pretori:

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Publisher
A.A. 2017-2018
6 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/18 Diritto romano e diritti dell'antichità

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher TheGreatwhite di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Istituzioni di diritto romano e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano - Bicocca o del prof Buzzacchi Chiara.