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QUANTIZZATA. I NUOVI MODELLI ATOMICI
BOHR
Grazie a questo percorso, Bohr riuscì a descrivere il primo modello atomico in accordo
con i dati raccolti dallo studio quantistico della realtà, teoria che gli valse il Nobel. Nel
suo modello lo scienziato partì quindi dalla considerazione che l'elettrone poteva avere
solo DETERMINATE quantità di energia; poiché l'energia che possiede un elettrone è di
tipo ELETTROSTATICO (dovuta all'attrazione fra carica +, il nucleo, e carica -,
l'elettrone), e che questa energia è inversamente proporzionale alla distanza fra le due
cariche (la legge di Coulomb afferma infatti che la forza di attrazione è proporzionale a
(carica1*carica2)/distanza), concluse che l'elettrone dovesse orbitare intorno al nucleo,
i cui raggi avevano delle misure FISSATE. L'elettrone si trovava
descrivendo ORBITE a certe distanze dal nucleo, e ogni orbita veniva chiamata STATO
quindi SOLAMENTE
STAZIONARIO. L'aggettivo stazionario sta a significare il fatto che l'elettrone mantenga
fissa la distanza dal nucleo, e che continui quindi a muoversi a una data velocità intorno
ad esso, senza che l'elettrone acceleri o deceleri. Normalmente, l'elettrone si trova nel
primo stato stazionario, ma se ad esso viene somministrato un quantitativo sufficiente di
l'elettrone può saltare allo stato stazionario
energia (se quindi esso viene ECCITATO),
successivo assorbendo, appunto, l'energia necessaria per compiere il "salto"; tutti gli stati
che non siano il primo vengono chiamati stati eccitati. Un elettrone che si trova in uno
stato eccitato, qualora terminasse la somministrazione di energia, tende per sua natura a
tornare al suo primo stato, liberando l'energia che prima aveva ricevuto per compiere i
"salti" precedenti. Se è somministrata abbastanza energia, l'elettrone viene quindi
strappato dal suo nucleo.
N.B. Per CONVENZIONE l'elettrone ha un'energia negativa, espressa quindi con segno
meno, cosicché l'energia che dobbiamo somministrare per strapparlo al nucleo sia
positiva. Esprimendo in questo modo la sua energia, quando l'elettrone è alla minima
distanza dal nucleo (è quindi il più vicino possibile), la sua energia è, in valore assoluto,
ma poiché essa ha davanti il segno meno, essa è matematicamente MINIMA.
MASSIMA,
Va da sé, che quando l'elettrone ha energia=0, significa che è stato strappato dal nucleo.
Bohr poi formulò tutte le equazioni necessarie per definire un dato elettrone:
a ogni stato stazionario è associato un numero n, dove n può assumere solamente
valori interi positivi, a partire da 1. Con n=1 abbiamo il primo stato, con n>1 tutti
gli stati eccitati. * 53 pm (1 pm=10 m)
Il raggio di ogni orbita, è invece definito come: r=n 2 -12
L'energia di ogni livello è invece: E=-RH/n 2
La differenza di energia fra due livelli è uguale, in modulo, all'energia necessaria per far
saltare un atomo da un livello all'altro. Questa energia è spesso fornita tramite una
radiazione e, come mostrato dall'effetto fotoelettrico, una radiazione ha energia uguale a
h*F (costante di Planck per frequenza); perché l'elettrone salti, quindi, h*F deve essere
-
maggiore o uguale a E E , dove per E si intende l'energia dei due stati
finale iniziale
stazionari. Da notare poi che, man mano che n aumenta, si fa sempre minore la
differenza di energia fra uno stato e il successivo.
Poiché, quando l'elettrone "salta indietro" da uno stato eccitato esso libera energia, sotto
per l'atomo di idrogeno, delle serie; la più
forma di radiazione, sono state definite, SOLO
nota è quella di Lyman, che descrive le emissioni di energia quanto l'elettrone salta da un
qualsiasi stato con n>1 allo stato con n=1; liberandosi in questo salto molta energia, la
radiazione è nella regione dell'ultravioletto (più energetico del visibile).
Nel grafico sopra, possiamo vedere altri esempi di serie: quella di Balmer, nel visibile,
studia quanto l'elettrone salta da un livello con n>2 a n=2; quella di Paschen,
nell'infrarosso, quando salta da un livello con n>3 a n=3. Notare come il salto energetico
si riduca all'aumentare di n, e che, per n che tende a infinito, abbiamo che l'elettrone è
strappato dal nucleo (e la sua energia è quindi 0).
N.B. Il modello atomico di Bohr NON permette quindi MEZZI SALTI: l'elettrone si trova o
in uno stato o in quello successivo, non si può trovare in mezzo. E' un po' come a teatro o
allo stadio: salendo gli spalti si può stare o su un gradino o su quello successivo; se
invece riusciste a stare fra due gradini, buttate via immediatamente questa dispensa e
andate al circo.
In conclusione, nella pratica si osservò come questo modello descrivesse
approssimativamente l'atomo di idrogeno, ma fallisse per tutti gli altri elementi. La
ragione di ciò stava nel fatto che, mentre Bohr aveva applicato giustamente la fisica
quantistica circa l'energia associata all'elettrone, quantizzandola, non aveva fatto lo
che a una
stesso per quanto riguarda la sua posizione: infatti per Bohr vi è la CERTEZZA
data distanza dal nucleo vi sia il dato elettrone, in accordo con un approccio ancora
troppo classico, inutile nel mondo microscopico.
N.B. Nonostante questo, il modello di Bohr rimane una pietra miliare nella storia
dell'atomo: esso è un vero e proprio ponte fra la fisica classica e quella puramente
quantistica, e l'alta razionalità del modello, e la relativa facilità con la quale è possibile
immaginarlo, fa sì che esso permanga come punto di riferimento, come uno strumento
utile da tenere a mente, in quanto semplifica molti aspetti dei successivi modelli
quantistici, la cui natura, essendo così lontana dal mondo (macroscopico) in cui viviamo,
rischia spesso di risultare estremamente cupa e oscura.
HEISENBERG
Il "salto" è quindi compiuto da Heisenberg, noto per aver enunciata, attraverso un
percorso matematico fin troppo complicato e che non è solitamente trattato (notare come
i percorsi matematici si facciano sempre "fin troppo complicati" in questi capitoli), il suo
famoso principio di INDETERMINATEZZA, secondo il quale
*ΔV h/(4πm)
ΔX ≥
-31
Dove: h=6.626 x 10 J·s (costante di Plank - valore estremamente piccolo!); Δx=
incertezza nel determinare la posizione di una data particella; incertezza nel
Δv=
determinare la velocità, sempre di una data particela; m è invece la massa della
particella.
Secondo questo principio, quindi, il prodotto dell'incertezza fra la posizione e la velocità
di una particella (dovuta agli errori e alle imprecisioni che inevitabilmente si compiono
nell'osservazione sperimentale di un fenomeno) è maggiore o uguale al rapporto fra la
costante di Planck e 4pigreco per la massa della particella.
la ragionevolezza di questa legge si trova nel fatto
IN FISICA,
che, per conoscere la posizione di un qualsiasi oggetto,
dobbiamo essere in grado di vederlo: deve essere quindi
illuminato. Nel mondo microscopico, tuttavia, la luce visibile
può avere energia non trascurabile rispetto a quella di
particelle microscopiche, al punto che, entrando in contatto
con esse, è in grado di modificare in modo SIGNIFICATIVO
l'energia dell’oggetto osservato, deviando anche la sua
traiettoria. In tal caso la SEMPLICE OSSERVAZIONE OTTICA
del sistema ne perturba lo stato, rendendo inutile lo studio a partire da quei dati. In
generale, per vedere un oggetto occorre illuminarlo con una radiazione di lambda
confrontabile o inferiore alle dimensioni dell’oggetto.
N.B. Nel mondo macroscopico la lunghezza d’onda della luce visibile e’ sempre
ampiamente al di sotto delle dimensioni degli oggetti osservati, i quali risultano quindi
quindi di importanza
sempre nitidi e ben definiti. Il principio di indeterminazione PERDE
nel campo MACROSCOPICO.
Infine, poiché l'energia di un elettrone (che è proporzionale alla sua velocità, sotto forma
di energia cinetica) è CALCOLABILE con gli spettri di emissione o assorbimento,
l'incertezza di "sposta" TOTALMENTE sulla posizione dell'elettrone, che risulta quindi del
si rompe quindi con il modello atomico di Bohr, per il quale a
tutto indeterminabile. QUI,
una data distanza dal nucleo vi è invece la certezza che vi sia l'elettrone.
DE BROGLIE
L'ultimo passo prima della teoria conclusiva, ce lo fornisce il POSTULATO DI DE
BROGLIE. Come dice il nome stesso, esso non possiede dimostrazione (che altrimenti
definiremmo comunque troppo complicata da spiegare), ma parte da un'idea geniale: se
qualsiasi radiazione possiede sia una componente ondulatoria (essendo un'onda) che
una componente corpuscolare (il fotone, come Einstein aveva mostrato nel suo effetto
fotoelettrico), allora la materia, che ha un'evidente componente corpuscolare (la massa),
deve possedere anche una componente ondulatoria. De Broglie non fece altro che mettere
(studiata da
a sistema le due massime equazioni della fisica quantistica : E = m*c 2
Einstein, che afferma in che modo una perdita di massa si trasforma in energia) e E =
h*F (creata e approfondita da Planck e Einstein, circa la quantizzazione dell'energia). Si
ottiene quindi che m*c = h*F; ricordando che la frequenza nel vuoto è uguale a c/λ e
2
sostituendola nell'equazione si arriva ad affermare che m*c =(h*c)/λ. Esprimendo tutto
2
). Semplificando c si arriva
in funzione di lambda si ottiene che (h*c)/(m*c 2
λ=
all'equazione finale, ovvero: h/(m·v)
λ=
Dove v ha preso il posto di c, per intendere una qualsiasi velocità, e non solo quella della
luce nel vuoto.
Senza entrare troppo nel merito, questa equazione associa una lunghezza d'onda ad una
data massa: tratta quindi di un'onda di materia. E cosa sarà, quindi, fisicamente questa
ostica da immaginare "ONDA DI MATERIA"? E' l'ELETTRONE, una particella dalla massa
così infinitesima, e dal moto così perpetuo e continuo, tali per cui esso può essere
studiato come la componente ondulatoria dalla materia, e non più come una particella
massiva. Inutile puntualizzare la portata rivoluzionaria di tale concetto.
N.B. Come si osserva dall'equazione, a denominatore vi è una massa, e a numeratore la
costante di Plack, che è estremamente piccola. Quando infatti vado ad osservare oggetti
di massa considerevole, come si fa solitamente nel mondo macroscopico, lambda, che
raffigura la compon