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Identità e differenza
A=A è la suprema legge del pensiero. Ma cos'è l'identità?
Quando si dice che A=A, vuol dire che un A è uguale a un altro A. Si crea una sorta di tautologia,
poiché affinché qualcosa possa essere lo Stesso è sufficiente un solo termine. La formula occulta
proprio ciò che vorrebbe dire.
Platone chiarisce l'identico con una parola nel Sofista: parlando di stasi e movimento, dice: "è certo
che di se essi, ciascuno dei due è un altro però esso stesso a se stesso lo stesso"; è l'aggiunta di "a se
stesso" che è importante: nella stessità è contenuta la relazione del con, una sintesi, un nesso. In
occidente perciò l'identità è unità. Tuttavia, affinché la relazione che domina l'identità venga alla
luce, il pensiero occidentale ha avuto bisogno di duemila anni (idealismo speculativo).
Anche nella formula migliorata "A è A" viene in luce solo l'identità astratta. Nell' "è" il principio
dice come ogni ente è, cioè parla dell'essere dell'ente. Il principio afferma che l'unità dell'identità
costituisce un tratto fondamentale dell'essere dell'ente.
In Parmenide per la prima volta l'essere dell'ente giunge al linguaggio nel pensiero dell'Occidente:
"lo stesso è infatti sia percepire ( pensare) che essere". Viene qui espresso qualcosa di diverso a ciò
che conosciamo come la dottrina della metafisica: non l'identità appartiene all'essere ma viceversa.
L'essere in Parmenide, a differenza di quanto pensato dalla metafisica successiva, è un tratto
dell'identità.
Se pensiamo al co-appartenere nei termini abituali, il senso dell'appartenere è determinato in base al
co-, all'insieme: alla sua unità. Invece si deve esperire l'insieme in base all'appartenere. Se
chiediamo che cosa significa essere e chi è l'uomo, restiamo prigionieri del tentativo di
rappresentare il co-, l'insieme, di uomo ed essere come una correlazione e di spiegare quest'ultima
partendo o dall'uomo o dall'essere. dobbiamo invece pensare a un'appartenenza reciproca: l'uomo è
qualcosa di essente. Appartenere significa essere inserito nell'essere; ciò che distingue l'uomo è che,
essendo l'essere che pensa, è posto di fronte all'essere, resta riferito a esso e gli corrisponde.
Nell'essere umano cioè domina un appartenere all'essere che ascolta l'essere poiché gli è affidato.
L'essere ri-guarda l'uomo. Uomo ed essere sono perciò affidati l'uno all'altro.
Non dobbiamo pensare questa co-appartenenza come un intreccio, dobbiamo staccarci dal pensiero
rappresentativo; tale staccarsi è un satz (salto). Tale salto salta da:
dalla rappresentazione dell'uomo come animal rationale
1. dall'essere come fondamento dell'ente.
2.
Il salto è il repentino ingresso nell'ambito in base al quale l'uomo e l'essere si sono sempre già
raggiunti l'un l'altro nella loro essenza.