Definizioni ed esempi di Farmacologia generale
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quella della flucitosina in quanto la clearancedella prima è circa 10 volte inferiore a quella della seconda. Per contro, la
digossina e la flucitosina presentano una clearance simile, ma la digossina ha un volume di distribuzione circa 8 volte
maggiore e questo rende ragione della sua emivita più lunga.
Effetti della clearance e del volume di distribuzione sull'emivita
farmaco clearance (L/h) volume distrib. (L) emivita (h)
etosuccimide 0.7 49 48.0
flucitosina 8.0 49 4.2
digossina 7.0 420 40.0
morfina 63.0 280 3.0
aloperidolo 46.0 1.400 20.0
clorochina 45.0 12.950 200.0
L’emivita sarà molto importante quando si fanno delle somministrazioni ripetute di un farmaco, poiché dovremo
mantenere dei livelli plasmatici terapeuticamente efficaci. Così un farmaco che ha un volume di distribuzione
piccolo come l’eparina, avrà un’emivita è minore. A parità di clearance, un farmaco che ha un volume di
distribuzione maggiriore, cioè che va più nei tessuti, avrà un emivita maggiore rispetto ad un farmaco che ha un
volume di distribuzione minore perché questo rimane nel sangue.
METABOLISMO
Nel metabolismo di un farmaco dobbiamo distinguere 2 fasi:
Fase 1:
abbiamo le reazioni di funzionalizzazione, cioè la molecola viene modificata in modo da
essere più facilmente eliminabile. Viene modificata in modo da esporre sulla molecola dei gruppi chimici
come ad es –COOH, -SH, -CH, che possono essere punti di attacco per le reazioni di fase 2 che invece sono
reazioni di coniugazione. Le reazioni di fase uno sono le seguenti:
Ossidazione (più importanti, operate da citocromo p450)
Riduzione
Idratazione (poco presenti)
Idrolisi (a carico di esterasi, ecc)
La maggior parte delle reazioni di fase 1 è rappresentata dalle ossidazioni, operate dagli enzimi della famiglia
del Citocromo P450.
Fase 2
: gli enzimi della fase 2 esplicano delle reazioni di coniugazione, legandosi ai gruppi
precedentemente aggiunti nella fase di funzionalizzazione. Si otterranno dei metaboliti coniugati che
potranno poi essere eliminati.
Famiglia dei citocromi p450
Famiglia di enzimi che indichiamo con una nomenclatura specifica. I singoli enzimi componenti la famiglia dei
citocromi P450 sono identificati attraverso la sigla comune "CYP" seguita da un numero arabo indicante la
famiglia (>40% di omologia di sequenza), una lettera in maiuscolo che definisce la sottofamiglia (>55% di
omologia di sequenza) ed un secondo numero arabo che specifica il singolo gene (es. CYP1A1).
Convenzionalmente, i geni corrispondenti agli enzimi sono indicati con il medesimo nome, ma con caratteri
scritti in corsivo; ad esempio il gene CYP2E1 codifica per l’enzima CYP2E1.
Queste reazioni avvengono in gran parte a livello epatico, che è l’organo più importante del metabolismo, tali
enzimi si trovano anche in altri distretti.
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La reazione consiste nell’ossidazione della molecola ad opera di queste ossidasi. Utilizza dapprima usa il NADPH
e poi il NADH come cofattore e si produce una molecola di acqua e il composto ossidato che esprime il gruppo
–OH, che potrà essere attaccato nelle reazioni di fase 2
Queste reazioni avvengono in gran parte a livello del compartimento microsomiale del reticolo endoplamastico
dove questi enzimi sono localizzati. A livello cellulare, negli eucarioti gli enzimi della famiglia si ritrovano
principalmente legate alle membrane del reticolo endoplasmatico liscio ed alla membrana mitocondrialeinterna
tramite le regione N-terminale idrofobica, in particolare nella frazione microsomiale delle cellule epatiche.
Di questi enzimi, il gruppo più importante che metabolizza circa il 40% dei farmaci, è formato da 2 isomeri
diversi:
CYP3A4 (in assoluto l’isoenzima più importante)
CYP3A5
Altri isoenzimi coinvolti nel metabolismo dei farmaci sono il CYP2D6, il CYP2C8 e CYP2C9.
I farmaci possono influenzare i CYP o con un meccanismo di:
Induzione farmaco-metabolica: cioè alcuni farmaci inducono l’attività enzimatica, ne accelerano
l’attività, causando un aumento della velocità di metabolismo dei farmaci sottoposti all’azione di quel
CYP. Si rende quindi necessario un aggiustamento del dosaggio sennò si rischia di inficiare la terapia. Ad
es i barbiturici sono forti induttori farmaco-metabolici degli enzimi P450. Se contemporaneamente ai
barbiturici somministriamo un farmaco che è metabolita di quella isoforma di CYP, il suo metabolismo
sarà accelerato e ciò può rendere nullo il trattamento che stiamo effettuando.
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Inibizione farmaco-metabolica: in questo caso si ha l’inibizione dell’attività enzimatica, con un
metabolismo mancato e livelli plasmatici del metabolita del CYP elevati. Ciò può dar luogo a eventi
avversi molto più gravi di quelli attesi.
I barbiturici hanno azione induttiva anche sui propri enzimi metabolizzanti e ciò è alla base del fenomeno della
tolleranza; si dovrà via via modificare il dosaggio del barbiturico stesso aumentandolo, affinché si possano avere
gli stessi livelli plasmatici e quindi gli stessi effetti farmacologici. I barbiturici sono usati nelle epilessie. Molti
farmaci usati nelle epilessie sono induttori o inibitori metabolici. Poiché nelle epilessie spesso bisogna fare delle
terapie multiple, nasce un grosso problema perché avremo dei farmaci come ad es la Carbamazepina o la
Fenitoina o il Fenobarbital, che vanno ad alterare il profilo degli altri farmaci, comportandosi da induttori
metabolici. L’acido valproico invece funziona da inibitore farmaco-metabolico.
Quando si fa una politerapia bisogna sempre stare attenti alle interazioni tra i farmaci!
Questo problema dell’interazione con il metabolismo dei farmaci non avviene soltanto con la
somministrazione di altri farmaci, ma anche con altre sostanze come alcuni alimenti. Induttori sono ad es
l’etanolo e il benzopirene (prodotto della combustione della sigaretta).
Importante inibitore farmaco-metabolico è invece il succo di pompelmo, potente inibitore del CYP3A4
localizzato, oltre che nel fegato, anche a livello della parete intestinale, sui villi, laddove avviene l’assorbimento.
Questo CYP entra in gioco prima ancora che si abbia l’assorbimento metabolizzando alcuni farmaci. L’assunzione
di una certa quantità di succo di pompelmo va ad inibire il CYP3A4 dei villi e a modificare il profilo dei farmaci
quando vengono assorbiti. Ad es si deve evitare assolutamente l’associazione con i Ca-antagonisti
(antiipertensivi) perché si possono avere fenomeni di ipotensione inaspettata, in quanto il succo di pompelmo
inibendo l’attività enzimatica, aumenta l’effetto del farmaco. Il succo di pompelmo inoltre agisce nell’arco di 24
ore e dunque inibisce l’attività enzimatica non solo in concomitanza con l’assunzione.
Quindi l’interazione non riguarda solo farmaco-farmaco ma farmaco-alimenti e farmaco- fitofarmaci composti
naturali che possono dar luogo ad interazione e eventi avversi.
Altra caratteristica importante dei CYP è che
esistono diversi polimorfismi dei geni che li
codificano. Esistono quindi diverse varianti
enzimatiche dello stesso CYP che possono portare a
una diversa capacità enzimatica metabolica. In
generale possiamo distinguere nella popolazione 2-3
categorie di soggetti in base ai polimorfismi e al
metabolismo conseguente:
metabolizzatori lenti;
metabolizzatori rapidi;
metabolizzatori ultrarapidi.
Esistono polimorfismi anche legati all’etnia e ciò
risulta essere importante quando si fanno studi
clinici con popolazioni miste, in cui possiamo avere
variazioni molto ampie. I pz asiatici ad es
presentano una lenta o bassa attività del CYP2C19, caratteristica che è poco marcata nelle popolazioni africane e
caucasiche.
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Considerando il CYP2D6 c’è una differenza tra le popolazioni
caucasiche fra paesi del nord dove i metabolizzatori rapidi sono
presenti e le popolazioni del sud tipo noi dove è presente la tipologia
ad attività aumentata quindi c è una distribuzione etnia dipendente di
cui bisogna tener conto.
Profili della Nortriptilina nei vari polimorfismi
A dx vediamo uno studio riguardante la Nortriptilina (anti depressivo).
Osserviamo nel grafico i profili plasmatici del farmaco in rapporto ai
polimorfismi del CYP2D6, cioè il CYP che metabolizza questo farmaco. I
soggetti che hanno bassa attività dell’enzima metabolizzante,
presentano alti livelli plasmatici di farmaco. Quando l’enzima invece
ha attività elevata, il farmaco è ultra metabolizzato e le concentrazioni
plasmatiche possono risultare talmente basse da rendere nullo il
trattamento.
Ritornando al Warfarin, è un farmaco che è sottoposto al metabolismo da
parte del CYP2C9 (anche se non è l’unico enzima che lo metabolizza). Se
abbiamo un soggetto normale (quindi un wild type), il soggetto avrà un
metabolismo normale del farmaco. Può però capitare di somministrare
questo farmaco ad un soggetto che ha un metabolismo intermedio
oppure ad un soggetto che ha un polimorfismo che determina un’attività
enzimatica molto bassa. Anche in questo caso si ha una diversa presenza
dei vari polimorfismi nelle popolazioni europee e non.
Allora che cosa succede se i soggetti appartengono all’una o all’altra categoria e cioè presentano dei
polimorfismi?
Nei soggetti che hanno un polimorfismo 1-1 (che è quello che consideriamo normale), se diamo una
certa dose la possibilità che insorgano eventi emorragici è del 13 %.
Nei soggetti che hanno una attività enzimatica molto bassa, dobbiamo ridurre la dose di oltre il 30-40%
ma in ogni caso si raddoppia la probabilità che si abbiano eventi emorragici. Quindi il metabolismo del
farmaco incide fortemente sulla possibilità che si presentino eventi avversi tanto che è opportuno
ridurre il dosaggio. Se un soggetto inoltre è eterozigote per il genotipo che metabolizza molto poco, il
dosaggio deve essere ridotto del 30%; se è omozigote, dosaggio deve essere più che dimezzato.
Tutto ciò è da considerare in un farmaco come il warfarin che ha eventi avversi gravi (emorragia cerebrale per
es) e può condizionare fortemente il dosaggio da utilizzare. La variabilità della risposta al warfarin, fa si che oggi
questo farmaco venga considerato uno di quelli su cui si può applicare la farmacogenomica, ovvero si può
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eseguire una tipizzazione prima di attuare la terapia, in modo da determinare il genotipo del pz studiare il
trattamento con determinati dosaggi.
Reazioni di fase 2
Vediamo le reazioni di fase 2 che abbiamo detto sono reazioni di coniugazione. Le più importanti sono:
glucurono-coniugazione: coniugazione con acido glucuronico operata dall’enzima uridin-
difosfo-glucuronil transferasi che attacca l’acido glucuronico a quei gruppi che sono stati esposti
durante le reazioni di fase 1.
glicosilazione
solfatazione
acetilazione
metilazione.
Naturalmente questi utilizzeranno dei gruppi donatori che saranno ad es l’acetil-coA che verrà sfruttato nelle
reazioni di acetilazione, l’S-adenosil metionina utilizzato nella metilazione oppure un gruppo solforico che viene
ceduto per le reazioni di solfatazione. Le altre reazioni sono meno rappresentate nell’uomo.
Anche gli enzimi acetilanti presentano polimorfismi. Nella popolazione distinguiamo 2 grandi gruppi:
Acetilatori lenti;
Acetilatori rapidi.
Alcuni farmaci sono oggetto di acetilazione come ad es. l’isoniazide, utilizzato nel trattamento della tubercolosi.
L’soniazide è un farmaco che va incontro ad acetilazione e sulla base del profilo genetico del soggetto a cui viene
somministrata può dar luogo, negli acetilatori lenti, ad una neuropatia periferica.
La glucurono-coniugazione invece può portare il farmaco ad entrare in un
circolo entero-epatico. Significa che il farmaco viene somministrato, viene
metabolizzato, viene glucurono-coniugato e dal fegato, dove avviene questa
reazione, viene immesso con la bile nell’intestino. Qui può incontrare la flora
batterica intestinale che ha attività glucuronidasica, che scinde il gruppo
glucuronico dal farmaco, che quindi rilibera il farmaco che può essere
riassorbito. Ciò da luogo ad un circolo entero-epatico che può prolungare
l’azione di alcuni farmaci.
Se somministriamo antibiotici possiamo modificare la composizione della flora
batterica intestinale, modificare tale attività glucuronidasica e interferire col
circolo entero-epatico, cioè con il riassorbimento del farmaco.
Ad es quando una donna fa associazione estroprogestinica a scopo
contraccettivo, l’estrogeno è sottoposto a questo meccanismo di glucurono-
coniugazione, quindi la quantità di estrogeno che viene somministrata tiene
conto che il farmaco ha una certa cinetica, ovvero una quota viene riassorbita.
Se questa donna assume antibiotici che alterano la flora batterica intestinale, il riassorbimento dell’estrogeno
può risultare alterato, per cui si può avere una eliminazione aumentata dell’estrogeno che non è più efficace per
lo scopo contraccettivo.
Abbiamo detto che anche gli enzimi del metabolismo di fase 2 possono presentare diversi polimorfismi. Oltre agli
enzimi acetilanti, altri esempi sono:
Pseudocolinesterasi : la pseudocolinaesterasi (che in realtà non è un enzima di fase 2) che è coinvolto
nel metabolismo della succinilcolina. La succinilcolina verrà trattata nel SN perché appartiene alla classe
dei curarici. I curari sono farmaci che bloccano il recettore nicotinico per l’ACh a livello della placca
neuromuscolare. Erano curari i veleni che gli indiani d’America mettevano nelle frecce. La succinilcolina
ha la particolarità di essere un curarico depolarizzante. Questo vuol dire che si lega al recettore
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ionotopico (cioè canale) a livello della placca neuromuscolare e da un’iniziale stimolazione. Infatti, ha la
capacità di determinare una depolarizzazione a livello della placca. Poi il recettore va subito in una fase
di desensibilizzazione e questo determina il blocco recettoriale. Nei soggetti che non metabolizzano in
maniera corretta la succinilcolina, si possono avere fenomeni di apnea notturna.
Tiopurina-metiltransferasi: è un enzima di fase 2 i cui polimorfismi vanno considerati. L’espressione
di questo enzima è uno di quei parametri che rientra nei programmi di farmacogenetica attualmente in
atto. Questo enzima è in grado di metabolizzare l’azatioprina e la 6-mercaptopurina, due
antimetaboliti che cioè vanno a interferire con la normale sintesi dei nucleotidi. Vengono utilizzati sia
come antineoplastici, sia come immunosoppressori. La 6-mercaptopurina è il metabolita che si forma
quando si somministra azatioprina. Vengono entrambe modificate da vari enzimi: tiopurina-
metiltransferasi, xantina ossidasi e ipoxantina-guanina-fosforibosiltransferasi. Quando somministriamo
il farmaco ci aspettiamo che una parte venga attaccato da questo enzima e trasformato in 6-tioguanina
(metabolita attivo), ma ci aspettiamo anche che una quota venga metabolizzata dalla xantina ossidasi o
dalla tiopurina-metiltransferasi. Se abbiamo polimorfismo che interessa questa tiopurina-metiltrasferasi
succede che non abbiamo un equilibrato metabolismo del farmaco, quindi molta più 6-tioguanina si può
formare e questo darà luogo oltre all’effetto antineoplastico anche a tossicità marcata. La tiopurina-
metiltrasferasi viene quindi valutata prima di instaurare il trattamento con questo farmaco, soprattutto
per tumori ematici in età pediatrica. Questo è uno dei pochi esempi di farmacogenomica applicata.
Nota: Un altro farmaco antineoplastico in cui si valuta il polimorfismo dell’enzima che lo metabolizza è
l’inotecano.
Eliminazione
Le due fasi del metabolismo servono a preparare il farmaco ad essere eliminato. L’eliminazione avviene
principalmente:
Per via renale (via di eliminazione più importante);
Per via epatica.
Sicuramente l’eliminazione renale è quella più importante, ma non l’unica. Ci sono farmaci che hanno una
doppia quota di eliminazione, una quota renale e una epatica. A volte nella stessa classe farmacologica,
possiamo avere farmaci che hanno alcuni una preferenziale eliminazione renale e altri epatica. Ciò è importante
perché in un paziente con insufficienza epatica o renale bisogna tenere conto della via di eliminazione. In questo
caso si può aggiustare il dosaggio oppure, quando all’interno di una classe farmacologica ci troviamo più opzioni,
c’è la possibilità di scegliere quello più opportuno.
Ci sono anche delle vie secondarie di eliminazione. Una parte del farmaco può essere rilasciato con la
traspirazione a livello cutaneo o attraverso la lacrimazione o a livello salivare. La via secondaria di
eliminazione più importante è quella polmonare che si ha per quei farmaci che hanno la capacità di passare la
barriera emato-alveolare. Un es è dato dagli anestetici gassosi. Cioè sono gli stessi farmaci che sono
somministrati per via inalatoria. Comunque ricordiamo che è una via secondaria.
Eliminazione dei farmaci a livello renale
I farmaci, a livello renale, vengono filtrati, così come avviene per tutti i composti che sono presenti nel plasma.
Sarà la quota libera ovviamente a essere filtrata, mentre la quota legata, per la maggior parte all’albumina, non
può passare a livello glomerulare. Il farmaco quindi passa prima nel tubulo prossimale e poi attraverso il resto
del sistema tubulare. Lungo questo sistema, il farmaco come tutte le sostanze, andrà incontro a meccanismi di
secrezione e di assorbimento. Tutto ciò dipende dalle caratteristiche del farmaco e dalle caratteristiche del tratto
di nefrone attraversato. La maggior parte del farmaco sarà riassorbita a livello del tubulo prossimale attraverso
meccanismi di trasporto attivo e sarà seguito dall’acqua. Oltre al riassorbimento, lungo il nefrone avremo anche
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dei movimenti nella direzione opposta. Si può avere nel tubulo una secrezione attiva che va contro gradiente e
che può condizionare la quantità di farmaco che verrà eliminata.
Abbiamo già visto l’attraversamento della barriera. Se il farmaco è liposolubile sarà facilmente riassorbibile, se è
poco liposolubile userà dei trasportatori e sarà contro gradiente. I trasportatori possono essere specifici per
molecole a carica negativa (anioni organici: tra questi abbiamo composti di natura acida e sostanze coniugate
con acido glucuronico o glicina, solfati, glutatione) ma possono anche trasportare sostanza di natura basica,
cationi e farmaci come morfina, atropina. Quindi in generale dobbiamo considerare la natura elettrica del
farmaco, anionica o cationica.
A livello dei sistemi di secrezione e di riassorbimento possiamo anche avere dei fenomeni di competizione.
Un es è rappresentato dal probenecid. È un farmaco uricosurico, che cioè ha la capacità di favorire
l’eliminazione di acido urico. Trova indicazione quindi nel trattamento della gotta, caratterizzata da una
iperuricemia. Il probenecid nel suo meccanismo d’azione, interferisce oltre che con l’eliminazione dell’ac urico
anche con il sistema di trasporto che elimina la penicillina, in particolare la G. La penicillina G in assenza di
probenecid viene prontamente eliminata, in quanto viene filtrata e secreta in quantità superiore a quella
riassorbita. Il probenecid quindi può essere associato alla penicillina perché va a competere con il suo
meccanismo di trasporto a livello tubulare facilitandone il recupero.
Dalla somma di tutti i fattori di filtrazione, secrezione e riassorbimento avremo la quantità di farmaco che viene
realmente eliminata. I sistemi di trasporto attivo sono saturabili e dopo una certa quantità la secrezione attiva
raggiungerà un plateau oltre il quale non può andare, quindi dipenderà principalmente dalla filtrazione. La
filtrazione dunque dipende dalla concentrazione mentre la secrezione dipende dai trasportatori che sono
saturabili.
Clearance renale di un farmaco
Oltre alla definizione puramente fisiologica di clearance (quantità di sangue “ripulita” da una determinata
sostanza nell’unità di tempo), in farmacologia possiamo intendere per clearance: Volume di plasma che viene
depurato dal farmaco nell’unità di tempo
=
CLEARANCE (ml/min)
U = Concentrazione del farmaco nell’urina V = Volume urina in 1 min. P = Concentrazione del farmaco nel plasma.
Il valore della clearance di un farmaco è strettamente legato a due parametri:
Volume di Distribuzione del Farmaco;
Emivita.
Il tempo di dimezzamento di un farmaco è inversamente proporzionale alla sua clearance e direttamente
proporzionale al suo volume di distribuzione
Come si può comportare un farmaco in termini di clearance? Un Farmaco può essere:
Completamente Riassorbito → condizione totalmente ideale, perché sarebbe un farmaco non
eliminabile, quindi si comporterebbe a livello renale come il Glucosio.
Filtrato e non subire processi di secrezione o riassorbimento → farmaco che avrà una Clearance di
130 ml/min (Clearance di un composto inerte come l’inulina).
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Completamente eliminato a livello renale e, quindi, totalmente filtrato e secreto → viene depurata
una quantità di sangue uguale al Flusso Plasmatico Renale (come quello che succede con il PAI), quindi
ha un valore di 650 ml/min. È ovvio pensare come i farmaci abbiano tutti una clearance compresa tra
quella dell’inulina (130 ml/min) e quella del PAI (650 ml/min), con particolare tendenza ad assumere il
valore della clearance di quest’ultimo.
Se viene filtrato e una certa quota riassorbita, la clearance sarà < 130 ml/min.
I fattori che possono condizionare la clearance di un farmaco sono:
I sistemi di trasporto a livello tubulare;
Alcune caratteristiche tipiche del farmaco stesso (lipofilia, idrofilia, stato di ionizzazione);
La quantità di farmaco legato alle proteine plasmatiche: maggiore sarà la quantità legata, minore sarà la
clearance del farmaco, perché abbiamo detto che la quota che viene filtrata è quella libera;
Presenza di eventuali alterazioni a carico del sistema di filtrazione renale (insufficienza renale, danno a
livello glomerulare).
Scarsa maturazione del sistema filtrante nel neonato e, soprattutto, nel prematuro.
A livello renale, poiché il pH della pre-urina è leggermente più acido di quello plasmatico, ci può essere un
condizionamento dello stato di acidi e basi deboli e, quindi, si può ostacolarne o facilitarne il riassorbimento,
perché se la sostanza viene protonata non verrà riassorbita e sarà eliminata. Questa proprietà può essere
sfruttata, inducendo la cosiddetta alcalinizzazione delle urine o acidificazione delle urine:
Con l’alcalinizzazione, se abbiamo un acido debole si verificherà una protonizzazione dell’acido debole,
che sarà in tal modo eliminato. L’acido debole nelle urine alcaline viene protonizzato e tende a rimanere
nel lume e a essere eliminato. Questo stratagemma lo si può sfruttare, ad esempio, nei casi di
intossicazione da barbiturici. L’alcalinizzazione delle urine prevede un’infusione di bicarbonato di sodio,
così da indurre un’alcalosi generale, determinando un’alcalinizzazione delle urine.
Con l’acidificazione invece si riuscirà a “bloccare” nel lume del tubulo quei farmaci formati da basi
deboli. Tale metodica può essere sfruttata in caso di intossicazione da anfetamine.
Eliminazione Epatica
Come a livello renale, a livello epatico sono presenti dei sistemi di trasporto attivo che facilitano l’eliminazione
del farmaco attraverso la bile. Questi sistemi di trasporto sono in grado di distinguere anioni, cationi, acidi, basi,
sostanze neutre. Una particolarità è che a questo livello possono essere eliminati anche i metalli.
Non tutte le sostanze sono idonee per essere eliminate a livello epatico. Quelle idonee sono:
le sostanze coniugate;
le sostanze che hanno certa massa.
Le sostanze piccole e non coniugate vengono eliminate a livello renale. L’eliminazione epatica è certamente
inferiore rispetto a quella renale, è più selettiva, ma va tenuta comunque in considerazione.
Il circolo enteroepatico come abbiamo detto si applica solo a sostanze glucurono-coniugate, che possono essere
scisse dal glucuronato a livello intestinale, ad opera della flora batterica ivi residente, così da riformare farmaco
libero, che potrà essere riassorbito.
Tornando un attimo al metabolismo dei farmaci, la prima cosa che viene in mente, pensando al metabolismo, è
che il farmaco venga metabolizzato per essere reso non funzionale. In realtà, quando si parla di metabolismo, si
intendono un insieme di possibili modifiche che il farmaco può subire. Quella da noi descritta, che porta alla
formazione di metaboliti inattivi, è la più comune. Tuttavia esistono reazioni, che portano alla formazione di
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metaboliti nettamente più attivi, o che acquisiscono una emivita maggiore della sostanza originaria
(benzodiazepine, il valium per intenderci). Esistono casi in cui il farmaco somministrato non presenta proprietà
farmacologiche (infatti si parla di un pro-farmaco), ma che richiede un metabolismo per essere attivato. Altro
caso è quello in cui i metaboliti del farmaco, rappresentano sostanze tossiche. In molti casi si tratta di molecole
intermedie che in alcuni casi possono accumularsi dando luogo ad effetti tossici. Esempio tipico è quello
rappresentato dal paracetamolo, che a concentrazioni elevate può dar luogo alla formazione di un metabolita
intermedio estremamente tossico, che può dare luogo ad un’epatopatia piuttosto grave. Quindi anche un farmaco
“sicuro” di fatto ha un metabolita intermedio che è estremamente tossico e può essere responsabile di gravi
complicanze.
Emivita
Un altro importante parametro della cinetica dei farmaci è l’emivita. È un valore costante, definito come il tempo
necessario per il dimezzamento della concentrazione del farmaco e può essere misurata:
ke=costante di eliminazione. Log 2= 0,693
Essa è quindi indipendente dalla concentrazione di farmaco somministrato ma dipende dalla velocità del
processo di eliminazione (clearance) e dal volume di distribuzione. Questi tre parametri sono quindi correlati.
Effetti della clearance e del volume di distribuzione
sull'emivita volume distrib.
farmaco clearance (L/h) emivita (h)
(L)
etosuccimide 0.7 49 48.0
flucitosina 8.0 49 4.2
digossina 7.0 420 40.0
morfina 63.0 280 3.0
aloperidolo 46.0 1.400 20.0
clorochina 45.0 12.950 200.0
L’emivita è importante per determinare:
Con che frequenza somministrare il farmaco per evitarne un accumulo che può risultare tossico;
La durata dell’effetto benefico;
In che tempi avrò la totale eliminazione del farmaco a seguito della sua sospensione.
È importante sapere l’emivita per capire con che frequenza somministrare il farmaco. In realtà non dobbiamo
pensare necessariamente che se un farmaco ha una emivita breve bisogna somministrarlo frequentemente. Ad
es: considerando una curva effetto-concentrazione di una molecola come gli ACE-inibitori si vede che esso ha
emivita = 4 h circa. In questo modo a 4h abbiamo il 50%, ad 8 h il 25% e così via. Ma osservando l’effetto, dopo 4
h ha efficacia terapeutica del 90%, dopo 8h ce l’ha dell’85%, alle 12h del 70% e a 16 del 50%. Anche se il farmaco
ha emivita di 4h, dopo 20h ha ancora capacità farmacologia adeguata, ergo possiamo somministrarlo ogni 24h!
Possiamo dire dunque che bisogna considerare anche l’efficacia terapeutica per stabilire la frequenza di
somministrazione, non solo l’emivita.
Steady state
L’emivita è importante anche perché ci dà indicazione del tempo necessario per raggiungere lo stato
stazionario (steady state), ovvero la concentrazione plasmatica del farmaco che vogliamo mantenere per
ottenere un preciso effetto farmacologico in cronico.
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Nota: Quando si somministra un farmaco, la concentrazione plasmatica
dello stesso, nel tempo, subisce oscillazioni che diventano minime dopo
un certo periodo di assunzione. Dopo un certo numero di
somministrazioni la quantità di farmaco eliminata corrisponde a
quella introdotta per ogni somministrazione: a questo punto il
sistema è appunto in steady state. Questa situazione si raggiunge dopo
un tempo pari a 4-5 volte l'emivita del farmaco (ad esempio un farmaco
che ha un'emivita di 2 ore arriverà allo steady state dopo 8-10 ore).
Esso può essere ottenuto attraverso infusione continua oppure
somministrando il farmaco ad intervalli regolari. Per raggiungere uno
stato in cui eliminazione ed assorbimento si equivalgono deve passare un
tempo circa pari a 4-5 emivite.
Con un infusione continua, via via che avviene l’assorbimento sappiamo che c’è già in corso una fase di
eliminazione, quindi man mano che metto il farmaco la quota plasmatica aumenta ma perdendo comunque una
parte che viene eliminato, essa di conseguenza arriverà lentamente e gradualmente allo stato stazionario con un
crescendo uniforme. Nella somministrazione del farmaco a tempi regolari invece il grafico non crescerà
linearmente ma avrà degli alti e dei bassi che tenderanno però sempre di più ad aumentare per raggiungere,
sempre in maniera altalenante, lo stato stazionario che vogliamo raggiungere. Questo avviene perché ad ogni
nuova somministrazione aumentiamo la quota iniziale (picco in salita) ma questa si riduce prima della nuova
somministrazione (eliminazione), quindi ci saranno varie fasi di salita e di discesa.
La necessità di avere 4-5 emivite per lo stato stazionario è perché: alla prima emivita/somministrazione le
concentrazioni plasmatiche sono al 50%, alla seconda emivita/somministrazione al 75%, alla terza 89 %, alla
quarta intorno al 99%. Lo stesso principio si applica per la totale eliminazione del farmaco: servono varie
emivite per eliminare totalmente il farmaco dall’organismo (1° emivita 50 %, 2° emivita 25%, 3° 12,5%...); in
realtà si stima che dopo 10 emivite sia ancora presente l’1% di farmaco.
I farmaci possono avere diversa emivita, da poche ore ad alcuni giorni. Per farmaci con emivita molto lunga se
non si può aspettare il tempo di 4-5 emivite per il raggiungimento dello stato stazionario, si interviene con la
dose di carico, a cui poi si sostituiste la dose di mantenimento. Un classico esempio è dato dall’utilizzo dei
farmaci digitalici, come la digossina, che ha emivita di 7 gg. In questo caso per raggiungere lo steady state
sarebbero necessari 28 giorni! In questo caso si può fare la digitalizzazione del pz che consiste in
somministrazioni molto più frequenti per raggiungere lo stato stazionario più rapidamente.
Nota: La dose di carico Dl (loading dose) di un farmaco viene usata per raggiungere più velocemente la
concentrazione allo stato stazionario. Viene utilizzata soprattutto per farmaci a lunga emivita e quindi che
richiedono un tempo lungo per il raggiungimento dello steady state.
La dose di carico che possiamo sfruttare dipenderà sia dalla concentrazione plasmatica che vogliamo
raggiungere (concentrazione target), sia dal volume di distribuzione (tanto più alto sarà questo volume, tanto
più alto dovrà essere la dose di carico in fase iniziale).
La dose di mantenimento dipenderà sia dalla concentrazione target, che dalla clearance del farmaco (tanto più
alta è la clearance tanto più alta dovrà essere la dose da utilizzare per il mantenimento), ma dovrà considerare
anche l’intervallo presente tra le dosi. Infatti la dose di mantenimento si può raggiungere sia con elevate
concentrazioni a frequenza di somministrazione ridotta, che viceversa cioè con basse dosi a frequenza elevata. In
questo modo se abbiamo un farmaco poco tollerato, possiamo evitare gli effetti tossici aumentando la frequenza
di somministrazione e diminuendo il dosaggio.
Paratore Mattia
Reazioni Avverse da farmaci (ADR)
La Reazione avversa è una risposta ad un farmaco nociva e non intenzionale e che avviene alle dosi
normalmente usate nell’uomo per la profilassi/diagnosi/terapia o a seguito di modificazioni della fisiologia
(es. gravidanza, allattamento ecc). Le Reazione avverse da farmaci si dividono in due gruppi:
Gruppo A: queste sono strettamente dipendenti dall’azione del farmaco, quindi sono prevedibili e
dosi dipendenti. Sono dovute alla normale azione farmacologica del principio attivo.
Gruppo B: in questo caso le reazioni sono inaspettate, il più delle volte sono dovute a una particolare
predisposizione genetica che crea particolare reattività del soggetto al farmaco. Proprio per questo si
scoprono in corso di farmacovigilanza. Sono reazioni anomale ed imprevedibili in relazione al pz.
Concentriamoci sulle reazioni del Gruppo B. Sono reazioni che non possono essere ricondotte ad un eccesso di
attività farmacologica nota, ma sono associabili a condizioni predisponenti individuali, spesso ignote prima che
l’evento si verifichi. Per questo sono imprevedibili, non sempre dose dipendenti e la loro incidenza è
relativamente bassa. In questo gruppo individuiamo due reazioni di differenti: (pag 56-63 Rossi)
Le reazioni allergiche: prevedono una prima fase di esposizione/sensibilizzazione, che avvien con la
prima esposizione al farmaco (che avrà lo stesso ruolo di un antigene), ed una seconda fase di reazione
immediata e ritardata, causata dalle esposizioni successive. Il farmaco diventa un antigene (allergene).
Le reazioni idiosincrasiche già presente alla nascita (perché su base genetica), in cui non è richiesta
una sensibilizzazione e si avrà alla prima esposizione al farmaco. C’è una dose dipendenza (che non si
ha nell’allergia dove anche una minima esposizione ad un farmaco può causare questa reazione
allergica).
Reazione idiosincrasica Reazione allergica
Congenita Acquisita
Dose dipendenti Dose indipendenti
Non ci vuole la sensibilizzazione Ci vuole la sensibilizzazione
Reazioni diverse da farmaco a farmaco Manifestazioni uniformi
I farmaci coinvolti sono privi di proprietà antigeniche I farmaci coinvolti hanno proprietà antigeniche o le
acquisiscono
Si trattano con antagonisti (se possibile) Terapia standard delle reazioni allergiche
Reazioni idiosincrasiche
Rappresentano le forme più classiche di iperreattività congenita, che possono manifestarsi per motivi genetici in
risposta alla somministrazione di vari farmaci (studiate dalla farmacogenetica). Possono manifestarsi (a
differenza delle reazioni allergiche) sin dalla prima somministrazione del farmaco, sono imprevedibili e talora
molto gravi. Nella maggior parte dei casi sono dovute ad alterazioni genetiche, responsabili della sintesi di
enzimi alterati (con riduzione completa o parziale dell’attività enzimatica) -> effetti tossici o imprevedibili. In
altri casi si ha la mancanza di un effetto farmacologico atteso.
Le reazioni idiosincrasiche con comparsa di effetti tossici possono essere causate:
- Da una ridotta sintesi enzimatica: come nel caso del deficit dell’enzima glucosio 6-PD (favismo) che
porta ad una anemia emolitica dopo trattamento con primachina ad es. Questo perché il G6PD è un enzima
importante per mantenere costante nelle emazie i livelli di glutatione ridotto, necessario per prevenire
Paratore Mattia
l’emolisi. Se manca il G6PD e somministriamo primachina, il farmaco riduce i livelli di GSH nelle emazie
normali causando emolisi nelle cellule in cui il G6PD manca. Se invece è carente l’enzima NADH-
metaemoglobina reduttasi (che mantiene lo ione ferrico dell’eme in forma ridotta), farmaci come i nitriti,
nitrati possono esacerbare cianosi.
- Da un’alterata funzione enzimatica: alcuni enzimi alterati possono causare una risposta abnorme come
ad es le apnee di lunga durata dopo somministrazione di succinilcolina. La succinilcolina normalmente
viene rapidamente degradato dalla pseudocolinesterasi plasmatiche. In alcuni pz questo enzima ha ridotta
affinità per il farmaco -> aumento della durata dell’effetto del farmaco. In altri casi il farmaco può essere
meno inattivato da parte degli enzimi del metabolismo epatico ad es (vedi acetilatori rapidi e lenti).
- Da alterazione di proteine trasportatrici.
Una l’idiosincrasia può portare anche ad un fallimento terapeutico nel caso in cui si ha:
- Alterazione della sintesi enzimatica: la ridotta sintesi della Tiopurina Metil-Transferasi o dell’Ipoxantina
Guanina-P Ribosil-Transferasi (enzimi coinvolti nel metabolismo dell’Azatioprina) possono annullare
l’effetto anti-tumorale del farmaco.
- Alterazione recettoriale: Un’alterazione nell’espressione dei recettori β-2 adrenergici può portare ad una
mancata risposta dei beta 2 stimolanti, quindi si perde l’effetto broncodilatatore.
- Alterazione nell’assorbimento del farmaco: come nell’anemia perniciosa resistente alla
somministrazione orale di b12 perché c’è un deficit congenito del fattore intrinseco di Castle.
Alcuni farmaci in soggetti con canalopatia al calcio possono causare un’ipertermia maligna (in seguito a
somministrazione di Alotano, farmaco poco utilizzato proprio per la sua elevata tossicità).
Le reazioni di tipo idiosincrasico sono correlate ad alterazioni geniche del soggetto.
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Reazioni allergiche
Le reazioni di tipo allergico richiedono una fase di sensibilizzazione, possono comparire in qualsiasi momento e
quindi anche nei confronti di farmaci prima ben tollerati. La reazione si manifesta tutte le volte che il soggetto si
espone al farmaco. A volte possono manifestarsi reazioni crociate con farmaci simili (es: penicillina-
cefalosporina). Se si rimuove il farmaco la reazione scompare. Grazie alla presenza di test diagnostici è possibile
verificare se il farmaco è la causa dell’allergia. Caratteristiche delle reazioni allergiche ai farmaci sono:
Comparsa di manifestazioni morbose dopo precedenti trattamenti ben tollerati con lo stesso agente
chimico;
Ripetitività delle manifestazioni (anche se dobbiamo considerare possibili reazioni crociate);
Induzioni di risposte morbose con quantità di farmaco non farmacologicamente attive;
Scomparsa della sindrome dopo sospensione della somministrazione e ricomparsa in seguito a
somministrazione (dechallenge e rechallenge).
Esistono quattro tipi di risposte immunopatogene ai farmaci:
1. Tipo 1 – Anafilattiche o immediate: mediate dalle IgE situate sulle membrane dei mastociti e dei
basofili, che una volta attivate dal farmaco, provocano la loro degranulazione, scatenando sintomi
d’intensità variabile (eritema, edema, broncospasmo, collasso cardiocircolatorio, morte).
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2. Tipo 2 - Risposte Citolitiche o citotossiche, mediate da IgG e IgM, che dopo essersi legati con il
farmaco precipitano sulle membrane cellulari determinandone la lisi, grazie all’attivazione del
complemento. Possono essere coinvolte le membrane degli eritrociti (anemia), piastrine (porpora
trombocitopenica), neutrofili (granulocitopenia), cellule renali (nefrite interstiziale).
3. Tipo 3 - Risposte mediate da immunocomplessi, precipita il complesso antigene-anticorpo a livello
del lume vascolare, dando vasculiti di vasi e distretti diversi (con possibili sindromi lupoidi quindi
quadro clinico simile al LES o malattia granulomatose nei grossi vasi), arteriti e la malattia da siero.
4. Tipo 4 - cellulo mediate o ritardate: sono interessati i linfociti che rilasciano citochine
proinfiammatorie, a causa soprattutto di farmaci topici, infatti si presentano frequentemente stomatiti,
dermatite da contatto ecc.
Infine da considerare sono le pseudoallergie, ovvero reazioni abnormi causate da analgesici ed antireumatici
(FANS), mezzi di contrasto iodati, sulfamidici, anestetici locali e plasma expanders. Tali reazioni mimano i
sintomi clinici della reazioni allergiche ma si verificano per un evento iniziale scatenante che è sempre non-
immunologico:
- Azione degranulante diretta sui mastociti;
- Attivazione del complemento;
- Squilibrio del sistema lipossigenasi-ciclossigenasi con aumento dei leucotrieni ad azione proinfiammatoria;
- Presenza di sostanze contenenti di per se istamina o precursori.
Per es con la somministrazione di elevati quantità di FANS il metabolismo dell’acido arachidonico viene
squilibrato verso la via della lipossigenasi (in quanto viene inibita la COX), che sintetizza leucotrieni in maniera
cospicua; ciò può dar luogo a delle reazioni avverse di tipo allergico. In ogni caso non si può parlare di allergie
dato che manca la fase di sensibilizzazione.
RECETTORI CELLULARI E TRASDUZIONE
I recettori si distinguono in recettori di membrana e recettori intracellulari. Nella maggior parte dei casi si
trovano sulla superficie cellulare, mentre quelli intracellulari sono responsivi a sostanze capaci di attraversare la
membrana stessa, ovvero sostanze lipofile, come ad esempio gli ormoni steroidei, o con caratteristiche analoghe,
come gli ormoni tiroidei, la vitamina D e i retinoidi.
Recettori intracellulari
Il recettore intracellulare ha una struttura a tre domini, e può localizzarsi in sede citosolica oppure nucleare. In
condizione di riposo è mantenuto in una configurazione ripiegata dalle HSP (heat shock protein, circa 70-90kDa).
Quando arriva il ligando (glucocordicoidi, estrogeni, testosterone), questo va a legare il recettore, e provoca il
distacco dell’HSP, facendo assumere al recettore una configurazione “aperta”, che rende possibile la
dimerizzazione con un altro recettore legato al ligando. In tal modo, potendo traslocare direttamente nel nucleo,
va a interagire con la trascrizione genica, inibendola o potenziandola. Nel recettore si riconoscono tre domini:
1. Dominio di interazione con il Ligando;
2. Dominio di interazione con il DNA;
3. Dominio variabile, che conferisce la specificità di azione ad ogni diverso recettore.
Solitamente questi recettori non agiscono da soli, ma necessitano dell’azione di coattivatori e corepressori.
L’attività di recettori intracellulari è stata ben caratterizzata nel caso dei recettori per gli estrogeni. Per questi
recettori non esistono farmaci agonisti e antagonisti in senso stretto, ma parliamo di composti SERM (Selective
Estrogen Receptor Modulator), che si comportano in maniera differente (agonisti o antagonisti) a seconda del
tessuto nel quale agiscono. Quando studieremo questi farmaci non parleremo, come si fa di solito, di agonisti e
Paratore Mattia
antagonisti in maniera assoluta, ma di SERM che si comportano da agonisti o antagonisti tessuto-specifici, in base
alle molecole che contribuiranno a mediare l’interazione del recettore con la trascrizione genica.
Ad es: nel carcinoma della mammella, in seguito a trattamento chirurgico (ma non solo), possiamo utilizzare un
SERM, perché sappiamo che il carcinoma mammario è sensibile all’azione degli estrogeni (le cellule tumorali si
accrescono anche grazie agli estrogeni). Il tamoxifene, è un anti-estrogeno a livello mammario, mentre a
livello uterino è un agonista. In tal caso il trattamento con questo farmaco potrebbe indurre nella donna una
iperplasia endometriale, che potrebbe esitare in una crescita tumorale.
Nel caso del testosterone il funzionamento dei recettori non è ancora stato ampiamente descritto.
Da notare invece che i glucocorticoidi agiscono a livello di recettori intracellulari modulando la trascrizione
genica, ma questo meccanismo può essere diretto o indiretto. Il primo caso è simile al modello degli estrogeni,
dove in maniera diretta il complesso recettore/ligando migra nel nucleo e lega specifiche regioni di DNA (SRE
steroid responsive elements, HRE hormone responsive elements,… ndc.); Nel secondo caso i glucocorticoidi possono
interagire con fattori di trascrizione come l’ NFκB.
Tra i recettori intracellulari dobbiamo considerare anche la Guanilato ciclasi solubile, che funge da recettore
per l’ossido nitrico (NO) in sede citosolica, il cui legame sarà responsabile dell’aumento intracellulare del
cGMP. In questo caso il recettore stesso funge da enzima.
Recettori di membrana
Più numerosi sono i recettori di membrana, di cui esistono varie di tipologie. Le due maggiori classi però sono:
- i recettori associati a proteina G o metabotropici;
- i recettori ionotropici, o recettori canale: strutture in cui il recettore stesso è un canale transmembrana,
che in seguito ad attivazione da parte del ligando, si apre, lasciando passare ioni attraverso la sua struttura.
Nota: da non confondere questi ultimi con i normali canali ionici transmembrana, voltaggio dipendenti, che però
possono essere comunque modulati da farmaci.
Esistono molti altri tipi di recettori, alcuni dei quali analizzeremo di seguito come ad es i recettori per i fattori di
crescita, i recettori per l’adesione cellulare, i recettori per le citochine e i recettori con attività guanilato-ciclasica
intrinseca.
Recettori legati a proteine G
I recettori legati a proteina G (GPCR), sono costituiti da 7 α-eliche trans-membrana, con coda N-term
extracellulare, e porzione C-term interna rivolta verso il citoplasma. Sono presenti diverse anse variabili tra i vari
domini trans-membrana. Nelle anse intracellulari sono presenti diversi siti di fosforilazione. Questa è una cosa
importante, perché la fosforilazione può anche mediare l’internalizzazione del recettore e vari altri tipi di
regolazione recettoriale, anche importanti per la diversa risposta ai farmaci.
Spesso questi recettori possono variare per la lunghezza delle code intra ed extra cellulari, e ciò caratterizza le
differenze di specificità al ligando che ogni recettore possiede. Ad esempio il caso della trombina è particolare,
poiché legandosi al recettore, con un taglio netto rimuove la porzione N-terminale del recettore, così da agire su
un'altra porzione del recettore.
Inizialmente si pensava che l’unico modo con cui un farmaco potesse agire su questi recettori fosse quello di
intervenire sul sito di legame per i ligandi endogeni, in modo da agonizzare o antagonizzare l’azione del ligando.
Oggi si è scoperto che questi recettori posseggono numerosi siti di regolazione allosterici dove un farmaco può
andare ad agire modulando la funzione del recettore in maniera non competitiva.
Paratore Mattia
In precedenza abbiamo definito gli antagonisti come farmaci che di per se non fanno nulla sul sito di legame,
però sono in grado di prevenire l’azione dell’agonista. Questa azione può essere esplicata con un meccanismo di
spiazzamento (competitivo), cioè occupa lo stesso sito di legame dell’agonista, che per motivi sterici non potrà
agire. Altri antagonisti si comportano in maniera non competitiva, ovvero non spiazzano l’agonista, ma si legano
a un sito allosterico, impedendo le modificazioni conformazionali che normalmente avvengono nel recettore a
seguito del legame con l’agonista. I farmaci che agiscono in questi siti allosterici sono detti modulatori
allosterici positivi (PAM) e modulatori allosterici negativi, a seconda che potenzino o riducano l’azione
dell’agonista.
Anche i recettori accoppiati a proteina G dimerizzano in seguito all’attivazione. Da questo fenomeno partirà la via
di trasduzione del segnale. La dimerizzazione può avvenire o a seguito dell’interazione del ligando, o a
prescindere da questo durante la sintesi o l’inserimento in membrana. Esistono recettori in cui la dimerizzazione
è fondamentale, poiché una parte recettoriale (un monomero) è responsabile dell’interazione con il ligando,
l’altra è responsabile della trasduzione del segnale. Questo è il caso del recettore GABA B (tuttavia meno
importante del GABA A, che è il più diffuso).
Vie di trasduzione mediate da proteine G
La proteina G è un mediatore dell’azione del recettore, che interagisce in una regione di questo che si trova
tra la terza ansa intracellulare e la coda citoplasmatica del recettore (C-terminale). Essa è un trimero,
costituito dalle subunità, α, β e γ, dove le subunità β e γ sono saldamente legate, tali da costituire una subunità
funzionale separata da quella α.
In condizioni di riposo, quando il recettore non è unito al ligando, il trimero è unito e legato alla membrana, in
prossimità del recettore, e la subunità α lega nel suo dominio catalitico il GDP.
Quando avviene il legame ligando/recettore, il recettore cambia conformazione ed espone il sito di legame per la
proteina G che si lega a questo e in tal modo il GDP viene scalzato dal sito di legame della Gα. A questo punto il
GTP si lega rapidamente nel sito catalitico della subunità Gα. Questo legame innesca la dissociazione della
subunità Gα sia dal recettore che dalla Gβγ.
La Gα-GTP andrà ad interagire con gli effettori della cascata di trasduzione. A volte la Gβγ può determinare
risposte effettrici che accompagnano la risposta principale (anche se a volte è la subunità βγ che determinerà le
risposte principali, tipo nel recettore muscarinico dell’acetilcolina, dove determinerà l’apertura dei canali del K+,
con iperpolarizzazione della cellula cardiaca, ndc).
La Gα-GTP è dotata di attività GTPasica ed essa stessa ha la capacità di idrolizzare il GTP a GDP e arrestare la
propria funzione effettrice, andandosi di nuovo a legarsi con la Gβγ, verso cui ha maggiore affinità nella
configurazione legata al GDP.
Paratore Mattia
Ci sono proteine che regolano l’attività della GTPasi della subunità α, che possono essere target importanti per
l’azione di farmaci, che potrebbero accelerare o inibire il recupero della proteina α e quindi rallentare o favorire
la trasmissione del segnale.
Molte tossine batteriche interagiscono con le proteine G e con la relativa trasduzione:
- Tossina colerica: determina una ADP-ribosilazione della proteina Gα, che impedisce l’idrolisi del GTP che
resta legato alla subunità, determinando un’attivazione permanente di questa proteina. Questa poi
stimolerà la produzione di cAMP che andrà ad agire su canali che espelleranno ioni nel lume intestinale,
seguiti da acqua. Da qui le manifestazioni diarroiche tipiche del colera.
- Tossina pertussica: anch’essa attua una ADP-ribosilazione della subunità α inibitoria (G che vedremo
iα
successivamente) che la inattiverà. In tal modo l’effetto è sempre quello dell’aumento del cAMP
intracellulare, che porterà ad un’ipersecrezione mucosa dell’epitelio tracheo-bronchiale.
Queste tossine sono state ampiamente utilizzate sperimentalmente per comprendere i meccanismi delle
proteine G.
Esistono molti tipi di subunità βγ (alcuni che regolano la PLC e i canali per il K e Ca ), così come esistono molti
+ ++
tipi di subunità α, e conoscere questi ultimi è molto importante, poiché ci fa comprendere la risposta effettrice
delle proteine G. Sono 4 le componenti alfa fondamentali:
- α -S che è responsabile della stimolazione dell'attività adenilato ciclasica;
- α -I che è responsabile della inibizione dell'attività adenilato ciclasica;
- α -Q la cui attivazione determina l'attivazione della fosfolipasi C;
- α -12 la cui attivazione comporta l'intervento della proteina rho.
Esse mediano la maggior parte della trasduzione del segnale. Quando si agisce con i farmaci si va ad interferire
con la trasmissione mediata da queste proteine.
Nota: la specificità per il ligando da parte del recettore è data dalla presenza di sequenze aa extracellulari. Stessa
cosa per le varie proteine G nel versante citiplasmatico.
Via dell’adenilato ciclasi
Moltissimi recettori sfruttano il meccanismo di attivazione di una adenilato-ciclasi di cui si hanno 9 diverse
isoforme. L’adenilato-ciclasi è un enzima di membrana che è costituita da 2 subunità regolatorie e 2
catalitiche. Quando si ha l'attivazione da parte dell' α -S che è stimolatoria, si attiva la subunità catalitica e si
forma cAMP a partire da ATP. Se invece avviene uno stimolo di tipo inibitorio mediato da α -I si avrà inibizione
dell'attività enzimatica e di conseguenza verrà inibita la trasformazione del'ATP in cAMP. La tossina della
pertosse agisce sulla α -I quindi impedisce che si abbia la trasduzione del segnale. La somatostatina, che è usata
per il controllo del rilascio del GH, inibisce la α-I.
Il cAMP che si forma è responsabile della trasmissione del segnale nella cellula attraverso l'attivazione della
proteinchinasi A (pkA), una serin-treoninchinasi.
Il cAMP che si forma può poi essere degradato dalle fosfodiesterasi che sono enzimi in grado di degradare sia
il cAMP (principalmente fosfodiesterasi 4, 7 e 8) che c-GMP (fosfodiesterasi 5, 6 e 9).
Le fosfodiesterasi rappresentano un importante target farmacologico. Farmaci come la caffeina o la teofilina
(metilxantine) sono inibitori delle fosfodiesterasi quindi determinano aumento di cAMP. Questa capacità
delle fosfodiesterasi di modulare i livelli di cAMP è stata sfruttata in farmacologia. Sono stati creati inibitori
delle fosfodiesterasi specifiche e in particolare il Milrinone e l'Amrinone che inibiscono la fosfodiesterasi 3
e permettono un aumento dell'cAMP. Queste molecole sono state sfruttate nel trattamento dello scompenso
cardiaco perché favoriscono la trasmissione adrenergica e quindi hanno effetto inotropo positivo.
Paratore Mattia
Si può anche agire su una fosfodiesterasi di tipo 4 con il Roflumilast che inibendola determina aumento del
cAMP che porta ad una broncodilatazione marcata (mediata dai recettori beta2-adrenergici) e infatti è usato per
la BPCO.
Un altro es è il Sildenafil, inibitore selettivo della fosfodiesterasi 5 che non agisce sul cAMP ma sul cGMP. Il
sildenafil era stato sviluppato come farmaco per l’apparato cardiovascolare, per migliorare l’inotropismo
cardiaco. Oggi viene utilizzato nel trattamento della disfunzione erettile in quanto prolunga la vasodilatazione a
livello dei corpi cavernosi.
Via della fosfolipasi C
Un'altra via di trasduzione mediata dalla proteina G è quella del fosfatidilinositolo 4,5 difosfato (PIP2).
Quando arriva uno stimolo di un recettore legato a questo metabolismo, si attiva il recettore e si attiva un enzima
mediante la α-Q che è la fosfolipasi C (PLC) la quale ha come target il fosfatidilinositolo 4,5 difosfato.
L’idrolisi del PIP2 libera inositolo trifosfato (IP3) e diacilglicerolo (DAG). Le due molecole prendono due vie
diverse e saranno responsabili della trasduzione del segnale. In particolare:
- L’IP3 va ad agire su recettori che sono localizzati a livello del RE e degli organuli intracellulari liberando
calcio; questo aumento è responsabile dell' ulteriore aumento dei livelli di calcio dovuti all'apertura dei
canali calcio.
- Il DAG attiva la proteinchinasi C (pkC) che va a fosforilare substrati a valle.
L' IP3 che si forma poi viene metabolizzato da delle fosfatasi che lo defosforilano fino a farlo diventare inositolo
libero per essere recuperato. I sali di litio vanno a inibire l'inositolo monofosfatasi e quindi vanno a inibire il
passaggio da inositolo monofosfato a inositolo libero e quindi si impedisce il suo recupero e il conseguente
rallentamento della trasduzione del segnale. I sali di litio sono dei farmaci che hanno diversi meccanismi ma
quello principale, responsabile della loro azione, non è stato identificato. Essi sono usati nella fase maniacale del
disturbo bipolare anche se sono particolarmente tossici soprattutto a livello renale.
Desensibilizzazione del recettore e farmacotolleranza
Quando un farmaco viene somministrato più di una volta alla stessa dose, si possono verificare diverse
condizioni:
Costanza dell’azione farmacologica;
Accumulo: progressivo aumento della permanenza del farmaco nell’organismo con possibile comparsa
di effetti tossici;
Ipersensibilità o iperrettività acquisite;
Abitudine o tolleranza: la tolleranza o abitudine può considerarsi uno stato di desensibilizzazione
farmacologica, caratterizzata da progressiva perdita dell’effetto di un farmaco fino alla sua completa
scomparsa, dopo somministrazioni ripetute di una stessa dose.
Quindi la tolleranza consiste in una iposensibilità all’effetto di alcuni farmaci, che si stabilisce in proporzione alla
dose somministrata, al n di somministrazioni e alla brevità dell’intervallo tra queste. Per ottenere la risposta
farmacologica in questi casi occorrono dosi maggiori. Distinguiamo:
- Tolleranza falsa: se il farmaco non viene adeguatamente assorbito e si trova in concentrazioni minori nel
plasma;
- Tolleranza vera: se la via assorbente e i livelli plasmatici sono normali ma non c’è lo stesso l’effetto
farmacologico;
In base al tempo d’insorgenza distinguiamo:
- Tolleranza acuta: si instaura dopo poche dosi o nel corso della stessa somministrazione (tachifilassi);
- Tolleranza subacuta o cronica: si instaura in modo progressivo dopo la ripetizione ravvicinata e
prolungata di una serie di dosi efficaci (bradifilassi).
In base al meccanismo d’induzione distinguiamo:
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- Tolleranza congenita: è legata alle caratteristiche genetiche dell’individuo. La ridotta sensibilità è
geneticamente determinata;
- Tolleranza acquisita di tipo farmacocinetico: è caratterizzata da una progressiva riduzione delle
concentrazioni di farmaco attivo, a causa dei cambiamenti nella distribuzione o nel metabolismo. Ad es i
barbiturici stimolano l’espressione di enzimi microsomiali epatici che metabolizzano ed eliminano gli
stessi barbiturici e altri farmaci;
- Tolleranza acquisita di tipo farmacodinamico: è riferita ai cambiamenti adattivi indotti dal farmaco a
vari livelli: riduzione della densità recettoriale (down regulation), perdita dell’affinità per il ligando,
incapacità di trasdurre il segnale -> riduzione dell’effetto.
- Tolleranza appresa: si tratta di una tolleranza determinati da meccanismi di compenso che vengono
appresi che tendono a limitare l’effetto di un farmaco (ad es i soggetti con intossicazione da alcol possono
imparare strategie motorie per camminare seguendo una linea retta).
Concetto importante è che la farmacotolleranza si stabilisce verso la dose e non verso il farmaco, quindi
aumentando la dose è sempre possibile mantenere lo stesso effetto. Abbiamo distinto la tolleranza in una forma
acuta (tachifilassi) o sub acuta (cronica; bradifilassi) e abbiamo anche detto che a volte è possibile stabilire
tolleranza nei confronti di una sostanza che viene precedentemente assunta o di un suo analogo che può agire
con un meccanismo d’azione simile.
La tolleranza farmacodinamica considera tutti quei meccanismi molecolari che avvengono affinché la risposta allo stesso
farmaco somministrato si riduca nel tempo. Ecco alcuni esempi:
1. Farmaci agonisti del recettore beta-adrenergico.
Quando si stimolano ripetutamente questi recettori si attiva l’adenilato ciclasi e si forma cAMP che attiva delle protein
chinasi in grado di fosforilare il recettore. Quando il recettore è fosforilato diventa sito di attacco di una proteina che prende il
nome di beta-arrestina. La beta-arrestina si attacca quindi al recettore e favorisce la formazione endosomiale e quindi
l’endocitosi di quel tratto di membrana che contiene i recettori. Questo processo porta a una down regolation, cioè a una
riduzione del numero dei recettori espressi in una superfice. Se noi somministriamo la stessa quantità di farmaco nel tempo il
numero dei recettori sarà ridotto e la risposta anch’essa ridotta.
2. GnRH , ormone di rilascio delle gonadotropine.
Questo tipo di recettore è legato a una proteina-Gq, quindi con un meccanismo d’azione differente va in contro a
desensibilizzazione. Noi iniziamo a trattare i pazienti con GnRH e provocando un aumento della funzione dell’asse gonadico
ma se facciamo una stimolazione ripetuta con dei farmaci analoghi che hanno una maggiore capacità di stimolare il recettore,
allora questo recettore va in contro a desensibilizzazione (si riduce l’espressione del recettore proprio sulla superfice).
Questo viene sfruttato per avere l’effetto opposto al GnRH. Si sfrutta la desensibilizzazione per avere una inibizione dell’asse
e come cura ad alcune patologie dove si producono valori troppo elevati di GnRH con tutte le consegueze affini al caso.
I recettori associati a proteine G possono andare incontro al fenomeno di desensibilizzazione (o
desensitizzazione); ciò significa che quando vengono esposti costantemente a un farmaco, rispondono in
maniera sempre minore. Questo porta a una riduzione della risposta farmacologica ed è alla base del fenomeno
dell’abitudine o tolleranza farmacologica.
La desensibilizzazione dei recettori legati a proteine G può essere causata da:
- Riduzione dell'affinità del recettore per il ligando;
- Disaccoppiamento con la proteina G che deve trasdurre il segnale;
- Fenomeno della Down regulation: riduzione del numero dei recettori espressi sulla superficie.
La desensibilizzazione può essere causata dalla fosforilazione del recettore che presenta molti siti di
fosforilazione/regolazione. Un es è costituito dal recettore β-adrenergico. La desensibilizzazione del recettore
beta-adrenergico può avvenire con tutti i meccanismi prima esposti ma dipende sostanzialmente dalla
fosforilazione del recettore ad opera di una chinasi specifica detta β-ARK. Questa fosforila solo il recettore
occupato dall’agonista e lo rende attaccabile da una proteina chiamata β-arrestina che rende il recettore
inattivabile. In seguito poi questo recettore bloccato può essere internalizzato e riciclato o degradato. Quindi
quando usiamo dei farmaci β2-agonisti nel tempo può comparire una desensibilizzazione reversibile che
Paratore Mattia
scompare sospendendo il farmaco per qualche tempo.
Nel caso delle proteine G legate alla PLC, anche qui si può determinare una desensibilizzazione dovuta a
stimolazione recettoriale. Un es tipico riguarda la desensibilizzazione del recettore per il GnRH. Il recettore per
il GnRH è un recettore che va incontro a desensibilizzazione molto rapidamente. Ricordiamo che il GnRH viene
prodotto in maniera pulsatile dall’ipotalamo e ciò consente la stimolazione periodica e l’attivazione dell’asse.
Se non ci fosse questa stimolazione pulsatile ma ci fosse una stimolazione continua, anziché determinare una
stimolazione dell’asse ipofisario otterremmo un effetto opposto. Questa proprietà del recettore del GnRH viene
sfruttata nella castrazione farmacologica: utilizzando degli analoghi del GnRH che determinano stimolazione
recettoriale continua, provochiamo la desensibilizzazione del recettore e quindi il blocco della via. La
castrazione farmacologica si sfrutta come terapia in alcune condizioni, prima fra tutte il post-chirurgico del
carcinoma prostatico, laddove si vuole ottenere una riduzione della produzione ormonale (perché il carcinoma
prostatico è almeno nelle fasi iniziale testosterone e androgeno dipendente), riduzione che viene operata
spegnendo l’asse. Questo principio può essere utilizzato anche nella pubertà precoce: il bambino in questo caso
ha uno sviluppo anticipato e si possono utilizzare questi farmaci che desensibilizzano il recettore.
L’up regulation recettoriale è un fenomeno che più raramente si può verificare quando vi è un uso di antagonisti
protratti, ma non è così marcato l’effetto come nella down regulation.
Recettori canale
Sono complessi macromolecolari formati da subunità proteiche che si assemblano formando un canale idrofilico.
L’apertura del canale causata dal legame con un ligando produce un rapido e selettivo flusso ionico in entrata o
in uscita. Il passaggio di cariche induce poi una serie di eventi come la modificazione del potenziale di membrana
e/o l’attivazione di cascate enzimatiche la cui natura varia a seconda del ligando e della cellula bersaglio.
I recettori canali sono classificati in 4 diverse categorie a seconda della composizione e struttura delle varie
subunità (quelle più importanti sono i recettori delle classi I e II):
- Recettori della classe I: sono formati da un pentamero, cioè da 5 subunità, in cui ogni subunità è costituita
da 4 domini transmembrana. Di questi fanno parte:
Recettore nicotinico dell’acetilcolina,
Recettore 5HT3 per la serotonina,
Recettore al GABA-A,
Recettore per la glicina.
- Recettori di classe II: sono recettori costituiti da 4 subunità ognuna delle quali presenta 4 domini
transmembrana. Di questi il secondo dominio è incompleto e non passa la membrana completamente. Sono
caratterizzati da una grossa componente extracellulare. A questa classe appartengono i recettori
ionotropici per il glutammato che si distinguono in 3 tipi:
Recettori NMDA sensibili all’NMD aspartato,
Recettori AMPA,
Recettori del Kainato.
Sono recettori importantissimi perché il glutammato è il neurotrasmettitore eccitatorio più importante presente
nel SNC. Questi recettori sono coinvolti in tutte le patologie neurologiche o psichiatriche che conosciamo.
Purtroppo la ricerca che si è indirizzata verso farmaci in grado di interagire con questi recettori, negli anni ha
prodotto pochissimi farmaci in quanto è molto difficile, anche per le funzioni fisiologiche che questi recettori
mediano, andare ad ottenere farmaci che vadano ad interferire con questa trasmissione.
- Recettori di classe III: di questa classe fanno parte i recettori per i nucleotidi monofosfati ciclici (cAMP e
cGMP ). Sono meno diffusi ed hanno un sito di legame con i nucleotidi ciclici rivolto verso l’interno della
cellula.
- Recettori di classe IV: sono i recettori ionotropi per l’ATP.
Paratore Mattia
Cosa succede quando si ha l’attivazione di uno di questi recettori? I recettori sono essi stessi dei canali. Quando
legano il ligando si ha l’apertura del canale che consente il passaggio degli ioni (che possono essere ioni Na, Cl, K,
Ca). La struttura del recettore formato da particolari amminoacidi a carica positiva o negativa, consentirà il
passaggio di particolari ioni.
Il recettore-canale ha diversi siti di regolazioni e questo è importante i fenomeni di desensibilizzazione. Una cosa
importante è che questi recettore canale possono avere numerosi siti allosterici (mentre per il recettore a
proteina G sembrava che fosse il ligando l’unico target, in questo caso abbiamo molti farmaci che agiscono su siti
allosterici del recettore) e quindi la loro attività è estremamente modulabile.
Ad es i recettori al GABA hanno il sito per le benzodiazepine, un sito per i barbiturici, un sito per l’etanolo, il sito
per gli anestetici generali e quindi molti farmaci agiscono su quel canale non toccando il sito di legame per GABA,
ma modulando quella che è la funzionalità del canale (vd prima).
La desensibilizzazione del recettore nicotinico muscolari può essere sfruttata in terapia. Questo recettore è
presente a livello della placca neuromuscolare. Il recettore è chiuso quando non è stimolato. Se arriva l’ACh, il
recettore ne lega 2 molecole e si apre, consentendo l’ingresso degli ioni Na. Da questo stato poi il recettore non
torna subito alla condizione iniziale di chiusura, ma passa da uno stato intermedio di inattivazione: il canale si
chiude ma il recettore non è stimolabile. Oltre tutto in questa condizione abbiamo un’affinità per l’acetilcolina
che è fortemente aumentata ed è circa cento volte maggiore, quindi la capacità di legare l’acetilcolina sarebbe
aumentata però il canale non è apribile, non è responsivo. Questo tipo di meccanismo normalmente non si
verifica perché l’acetilcolina è un neurotrasmettitore che una volta rilasciato viene subito attaccato da enzimi che
sono le Ach-esterasi che la degradano subito. Questo meccanismo viene sfruttato utilizzando una molecola che
ha la capacità di legarsi a questo canale, stimolarlo in fase iniziale e rimanere legato, mantenendolo in questa
condizione di inattivazione. La molecola utilizzata è la succinilcolina, un curaro depolarizzante che ha la
capacità di comportarsi da agonista e quindi di stimolare il canale, determinarne l’apertura per poi bloccarlo
nello stato intermedio di inattivazione. Questo farmaco può essere sfruttato in anestesia per determinare il
rilasciamento muscolare. Il recettore è presente a livello della placca neuromuscolare e quindi sia per interventi
chirurgici che richiedono un rilasciamento muscolare sia nell’intubazione del paziente e in manovre che possono
essere favorite dal rilasciamento muscolare può essere sfruttato questo recettore. Anche in questo caso un
meccanismo di desensibilizzazione che viene sfruttato farmacologicamente per un intervento terapeutico.
Decoy receptor e recettori solubili
Sono recettori solubili, circolanti che rappresentano spesso la porzione extracellulare di un determinato
recettore (ad esempio di un fattore di crescita). Se il recettore di un fattore di crescita ha una struttura di singola
catena polipeptidica che attraversa una sola volta la membrana plasmatica, il recettore “decoy” sarà la porzione
capace di legare il ligando. Agisce quindi bloccando l’azione del ligando endogeno e impedendo che questo vada
ad interagire con il suo recettore, in modo da non innescare la trasduzione del segnale e quindi la risposta
biologica. Il decoy receptor va distinto da un recettore solubile. Mentre il decoy non innesca alcuna risposta
funzionale, il recettore solubile lega il ligando e favorisce l’innesco della risposta. Ad es il recettore solubile per
IL-6, lega questa citochina e la porta dal partner recettoriale per trasdurre il segnale, come se fungesse da
agonista, portando l’IL6 alla parte funzionale del recettore che è in grado di trasdurre il segnale.
Questo viene sfruttato farmacologicamente e in particolare è stato sfruttato per neutralizzare il TNF-α.
L’etanercept è una proteina di fusione, ottenuta tramite tecniche del DNA ricombinante, ottenuta dall'unione del
recettore umano p75 per il fattore TNF-alfa con la frazione Fc dell’immunoglobulina umana IgG1. La
proteina funziona da recettore solubile per il TNF-alfa e possiede un’affinità di legame per il TNF-alfa più alta di
quella degli altri recettori solubili. È una molecola complessa, dall'alto peso molecolare, che si lega
al TNFα andando ad inibire la sua attività nel processo evolutivo dell'infiammazione, sia nell'uomo sia negli
animali.
Paratore Mattia
Recettori per i fattori di crescita
I recettori per i fattori di crescita condividono una struttura di base costituita nella maggior parte dei casi da una
catena polipeptidica che attraversa una sola volta la membrana plasmatica. Possiamo distinguere diversi domini
funzionali:
- Il dominio extracellulare presenta la regione per il legame del fattore di crescita ed è la porzione più
variabile di questa classe di recettori; in base a questo dominio distinguiamo varie sottofamiglie;
- Il dominio transmembrana funge da connessione tra la parte extra e quella intracell;
- Il dominio iuxtamembrana è la regione di modulazione della funzionalità del recettore;
- Il dominio catalitico, responsabile dell’attività tirosin-chinasica, è la parte più conservata di questa classe
di recettori e anch’esso può presentare siti di regolazione.
- La coda C-term, quando il recettore è attivato, lega i trasduttori intracellulari del segnale.
Tutti questi recettori monocatenari richiedono la dimerizzazione , con formazioni di omodimeri nella maggior
parte dei casi, ma anche di eterodimeri.
Nota: fa eccezione a questo il recettore per l’insulina che si presenta come dimero anche in assenza di ligando.
Come avviene la trasduzione a livello di questi recettori?
Quando si ha il legame con il ligando, la dimerizzazione recettoriale porta al contatto della subunità catalitica dei
substrati che sono presenti sull’altra molecola e quindi si ha questa trans-fosforilazione tra le due subunità della
molecola e questa fosforilazione su siti di tirosina è necessaria perché avvenga la trasduzione del segnale.
La trasduzione del segnale avviene attraverso questi siti di fosforilazione che vanno a riconoscere dei domini
presenti su proteine intracellulari, in particolare si tratta per la gran parte dei casi di questi domini di SH2, che
sono responsabili o dell’attivazione della via delle MAP-chinasi o dell’attivazione di un fattore di
trascrizione che è STAT che si trasferisce al nucleo controllando la trascrizione genica direttamente a livello
nucleare o dell’attivazione di fosfatidil-inositolo3-chinasi che porta ad eventi intracellulari che portano
all’attivazione di una protein chinasi b (pkB), detta anche AKT, con cascata di meccanismi di fosforilazione
importanti per la proliferazione o per il differenziamento, sopravvivenza cellulare e per la capacità di movimento
di queste cellule.
La conoscenza dei meccanismi di trasduzione del segnale dei fattori di crescita e soprattutto l’identificazione
della overespressione di certi recettori per fattori di crescita in tessuti tumorali specifici, ha portato allo sviluppo
di farmaci anti-tumorali con altissima selettività.
Abbiamo fondamentalmente 2 possibilità di intervento:
- Inibitori selettivi dell’attività tirosin-chinasica: sono piccole molecole che riescono ad inibire l’attività
tirosin-chinasiche in maniera recettore specifica. Un esempio di questo è stato il farmaco Gefitinib
(Iressa) che ha come target il recettore per l’EGF ed è stato provato inizialmente per il carcinoma
polmonare a piccole cellule e poi sono venuti fuori tante molecole che riescono ad agire in maniera
selettiva sulle attività tirosin-chinasiche legate a questi recettori EGFR (o HER1). Questi sono farmaci
relativamente nuovi, da meno di 10 anni. Altro inibitore delle tirosin-chinasi che agisce su EGFR è
l’Erlotinib (Tarceva).
- Ab monoclonali che vanno ad agire su recettori specifici: questi inibiscono l’interazione ligando-
recettore; ad es il Cetuximab per il carcinoma del colon (anti-EGFR), Trastuzumab per il carcinoma alla
mammella (anti-HER2), e Bevacizumab che inizialmente venne utilizzato per il carcinoma del colon e poi
ebbe più ampia diffusione. Bevacizumab che è l'anticorpo anti-VEGF, è stato scoperto da un catanese
chiamato Napoleone Ferrara.
Paratore Mattia
Nota: oggi si cerca di fare una terapia quanto più mirata possibile e le conoscenze genetiche ci aiutano in questo
senso. Nel carcinoma del colon, prima di trattare con anticorpi monoclonali specifici, è opportuna la tipizzazione
del paziente per la proteina K-Ras. Questa proteina collega l’attivazione del recettore alla via della MAP-chinasi,
quindi il controllo della proliferazione cellulare a partire dall'attivazione recettoriale. La tipizzazione di questa
proteina è fondamentale. Se un soggetto è wild tipe il farmaco che va a bloccare il recettore potrà essere
sfruttato. Se il soggetto presenta una mutazione che attiva costitutivamente di K-Ras, anche se si blocca il
recettore non si ottiene alcun effetto. Questa è una di quelle tipizzazioni richieste prima di attuare una terapia
con farmaci monoclonali che vengono utilizzati nel trattamento del colon retto, proprio per predire quella che
sarà la responsività del paziente.
Recettori per le citochine
Per quanto riguarda i recettori per le citochine, questi possono essere suddivisi in 6 sottoclassi. Ma qui vengono
inseriti anche tutti i recettori che hanno attività tirosin-chinasica, i recettori che presentano domini di morte
(TNF), i recettori per le chemonine.
Fondamentalmente i recettori per le citochine sono rappresentati da recettori che hanno caratteristiche simili a
quelli dei recettori per i fattori di crescita ma mancano dell'attività tirosin-chinasica intrinseca, cioè non
hanno la capacità di autofosforilarsi una volta che dimerizzano, ma richiedono l'intervento di altre proteine. La
mediazione del segnale è data sempre dall'attivazione di altre proteine.
I recettori del TNF presentano il dominio di morte (death domain). Questo recettore TNFR1 quando viene
attivato è in grado di andare ad attivare tramite molecole adattatrici le vie di morte all'interno cellulare e quindi
la cascata delle caspasi che innescano l'apoptosi. I recettori per il TNF sono due: TNFR1 (P55) e TNFR2 (P75).
Per i recettori delle citochine vd immunologia.
Recettori per le molecole di adesione
L'ultima classe è quella dei recettori per le molecole di adesione. Le molecole di adesione sono proteine espresse
sulla superficie cellulare che possono interagire con proteine espresse sulla superficie di altre cellule.
L'interazione tra le due determina varie risposte cellulari. Le più importanti sono le integrine e le caderine e
oggi abbiamo farmaci che possono agire su queste molecole.
L'interazione tra proteine espresse su cellule diverse, poiché queste proteine sono in grado di interagire con
molecole del citoscheletro, è responsabile anche delle giunzioni intercellulari. Quindi anche l'interazione
intercellulare può essere regolata da queste molecole.
Inoltre queste molecole sono fondamentali per esempio nell'interazione dei leucociti con le cellule endoteliali e il
loro successivo passaggio nell'interstizio. Ciò avviene grazie alle integrine espresse sui leucociti, che vengono
attivate e cambiano conformazione, e vanno ad interagire con proteine analoghe espresse invece sull'endotelio.
L'attivazione di questi recettori porta all'intervento di una chinasi di adesione focale (FAK) che è responsabile
dell'attivazione a valle di vari meccanismi. Questa FAK è un elemento fondamentale per la trasmissione del
segnale.
Ci sono dei farmaci che agiscono sulle interleuchine. Una di queste molecole è una glicoproteina che si chiama
GP-2b3a che è presente sulle piastrine e media l'aggregazione piastrinica. Si possono bloccare queste
glicoproteine che vanno a mediare l'aggregazione, e possiamo farlo o con un anticorpo monoclonale detto
Abciximab, o altri farmaci.
Altra possibilità è quella di andare a impedire l'infiltrazione linfocitaria a livello del SNC bloccando un'integrina
espressa sulla barriera ematoencefalica che consente ai linfociti periferici di raggiungere il SNC, cosa che avviene
in una patologia di natura infiammatoria che è la sclerosi multipla.
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NEUROTRASMISSIONE
Analizziamo la neurotrasmissione adrenergica e colinergica e vediamo come possiamo intervenire
farmacologicamente su questi 2 sistemi. Questi 2 sistemi sono importanti soprattutto per l’attività del SNA ma
anche nella trasmissione del SNC svolgono un ruolo centrale.
Sistema ortosimpatico: ha origine nel tratto toraco-lombare del midollo spinale. I neuroni originano
dalle corna anteriori di tutto il tratto toracico e del tratto lombare a fino a L3. Esiste una stazione
intermedia rappresentata dai gangli prevertebrali o paravertebrali e da questi poi si dipartono le fibre
post gangliari dirette a livello dei singoli organi.
Sistema parasimpatico origina invece a livello craniale e sacrale del midollo spinale e sappiamo che a
livello craniale sono coinvolti di nervi encefalici III, VII, XI e X.
Ricordiamo che il simpatico e parasimpatico in linea di massima hanno effetto opposto sui loro tessuti target.
Quasi tutti gli organi sono innervati in linea generale da entrambi, con una componente principale l’una sull’altra
o in maniera equa, ma tutte e due hanno controlli che in genere sono opposti. Questo è molto importante da un
punto di vista farmacologico perché se vogliamo modificare la funzione di un organo possiamo agire con agonisti
verso un sistema o con antagonisti sull’altro sistema (naturalmente non sempre è possibile questo
ragionamento).
Sia nel simpatico che nel parasimpatico, i neuroni delle fibre pre-gangliari utilizzano come neurotrasmettitore
l’ACh che va ad agire su recettori nicotinici. Il secondo neurone invece, da cui origina la fibra postgangliare,
utilizza come neurotrasmettitore ACh nelle fibre parasimpatiche e noradrenalina nelle fibre ortosimpatica,
agendo su recettori muscarinici nel primo caso e adrenergici nel secondo caso.
Nota: il sistema simpatico innerva direttamente la midollare del surrene dove viene prodotta l’adrenalina. Con le
fibre pre-gangliari, rilascia ACh che stimola la produzione di adrenalina che poi va a stimolare in periferia i
recettori adrenergici dei vari tessuti.
L’ultima componente del SNA è la componente somatica, che interessa la muscolatura scheletrica e che ancora
una volta utilizza ACh come neurotrasmettitore. Questa va ad agire su recettori nicotinici presenti nella placca
neuromuscolare.
TRASMISSIONE CATECOLAMINERGICA
Le catecolamine endogene sono la noradrenalina e la dopamina che agiscono principalmente come
neurotrasmettitori nel SNA e SNC, e l’adrenalina che è l’ormone principale rilasciato dalla midollare del surrene.
NA e DA sono neurotrasmettitori rilasciati dalle fibre post-gangliari del SNA simpatico ma svolgono un ruolo
anche a livello del SNC.
Il SNA simpatico ha un’attività fisiologica diffusa e idonea a preparare l’organismo a risposte di allarme e lotta
indotte da situazioni di emergenza, stress, rabbia e/o paura. L’azione del simpatico stimola l’attività cardiaca
(effetto cronotropo, dromotropo, batmotropo e inotropo positivi), aumenta la pressione arteriosa e l’attivazione
del sistema renina-angiotensina, ha effetto broncodilatatorio, rilascia la muscolatura liscia GI e contrae gli
sfinteri, aumenta la liberazione di glucosio dal fegato e aumenta l’attività metabolica delle cell muscolari e
nervose.
Anche a livello del SNC il sistema adrenergico è coinvolto in importanti funzioni. Per quanto riguarda la NA, i
neuroni noradrenergici sono particolarmente presenti a livello del Locus Coeruleus, da cui si dipartano vie
adrenergiche che proiettano a livello della cortecce frontale, dell’area limbica, del cervelletto e che controllano
quindi funzioni differenti, tra cui anche la stessa attività del SNA nella regolazione della pressione arteriosa. A
livello del SNC la trasmissione noradrenergica è implicata nella regolazione del ciclo sonno-veglia, del
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comportamento alimentare, del tono dell’umore e nella secrezione ormonale. Queste vie infatti possono essere
un target particolarmente importante di farmaci ad azione anti-depressiva. La depressione si pensa infatti sia
legata a una riduzione delle trasmissioni catecolaminergiche. Vi sono dei farmaci che agiscono anche sulle aree
centrali che controllano il SNA con un controllo di tipo inibitorio sull’ortosimpatico a livello periferico con dei
farmaci che vengono utilizzati per esempio nel controllo dell’ipertensione.
Anche la dopamina è importante a livello del SNC. La dopamina è un precursore delle catecolamine e ha minori
effetti a livello periferico. I recettori dopaminergici mediano una vasodilatazione selettiva di alcuni distretti come
quello renale e splancnico cosa che vedremo può essere sfruttata farmacologicamente in alcune situazioni. Però
vediamo che la dopamina a livello centrale ha importante funzione. Riconosciamo 3 sistemi dopaminergici:
Sistema nigro-striatale : sistema che rilascia dopamina e ha i sui corpi cellulari a livello della
substantia nigra. Da qui proietta allo striato (caudato e putamen). Questa via è implicata nel controllo
del movimento ed è la via deficitaria quando insorge il morbo di Parkinson. La progressiva
neurodegenerazione dei neuroni dopaminergici porta alla malattia di Parkinson, caratterizzata da un
controllo del movimento alterato.
Via mesolimbica-corticale o mesocortico-limbica: che dalla base del cervello proietta verso la
corteccia o verso il sistema limbico. Questa è una via molto importante per le funzioni di gratificazione.
Fa parte delle vie maggiormente coinvolte nel piacere. Quindi tutte le sostanze d’abuso vanno a
stimolare questa via.
Via Tubero-infundibolare: che mette in connessione il cervello con la funzione endocrina in quanto la
dopamina viene rilasciata e controlla il rilascio di prolattina a livello adenoipofisario. Quindi è
importante perché sono molti i farmaci che agiscono sul sistema dopaminergico e la comparsa di
iperprolattinemia può essere data da un adenoma ipofisario ma molto più spesso è iatrogena.
Abbiamo fatto già una distinzione tra farmaci agonisti e farmaci antagonisti. Tra gli agonisti possiamo
comprendere non soltanto i farmaci che agiscono a livello recettoriale mimando l’azione dell’agonista endogeno
ma possiamo anche includere farmaci che:
- aumentano la sintesi del neurotrasmettitore ;
- impediscono che si abbia la degradazione del neurotrasmettitore a livello intracellulare;
- impediscono il Reuptake del neurotrasmettitore bloccando i sistemi di trasporto a livello presinaptico.
Farmaci che si comportano da agonisti possono quindi agire a vari livelli sulla sintesi, metabolismo e riutilizzo
del neurotrasmettitore, oltre che a livello recettoriale.
Gli antagonisti possono agire a livello recettoriale impedendo lazione dell’agonista, ma possono anche
intervenire o alterando l’immagazzinamento del neurotrasmettitore a livello delle vescicole presinaptiche o
possono favorire il rilascio del neurotrasmettitore.
Sintesi delle catecolamine
Nel caso delle catecolamine sappiamo che la sintesi inizia dalla fenilalanina, un aa presente in
grandissima quantità che viene idrossilato dalla fenilalanina idrossilasi per formare la
tirosina. Anche la tirosina viene idrossilata ad opera dalla tirosina idrossilasi e si forma la
DOPA (di-idrossifenilalanina). La tirosina idrossilasi è un enzima altamente selettivo, detto
enzima limitante di questa via biosintetica. Agendo con il farmaco alfa-metil-tirosina
(analogo della tirosina) si determinerà il blocco della via biosintetica ma non viene utilizzati
clinicamente.
La DOPA è considerato un farmaco di per se perché la possiamo utilizzare nella terapia del
Parkinson, in particolare possiamo utilizzare il suo isomero levogiro, la L-DOPA come terapia
sostitutiva. Rappresenta il trattamento più efficace che abbiamo a disposizione però è ricco di
problemi ed effetti collaterali. Non somministriamo direttamente dopamina perché la
dopamina non supera la barrire ematoencefalica ma somministriamo invece L-DOPA. Anche
se questa non supera ugualmente la barriera a causa delle sue caratteristiche, sfrutta un
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meccanismo di trasporto di amminoacidi che la capta all’esterno della barriera e la porta all’interno.
La DOPA viene prontamente metabolizzata da un enzima che si chiama DOPA-decarbossilasi. Questo enzima non
è molto selettivo tanto che decarbossila tutti gli amminoacidi aromatici. Questa sua non selettività, fa si che si
possa intervenire farmacologicamente a questo livello con diversi farmaci come ad es l’alfa-metil-DOPA. Quindi
anziché utilizzare alfa-metil-tirosina che blocca la sintesi a quel livello, si può utilizzare l’alfa-metil-DOPA che
viene definito un falso trasmettitore perchè segue tutto il percorso che farebbe la DOPA (trasformandosi grazie
ad alcuni enzimi in alfa-metil-dopamina e alfa-metil-noradrenalina). Questo farmaco viene utilizzato
clinicamente come farmaco anti-ipertensivo. L’alfa-metil noradrenalina che si forma rappresenta un falso
neurotrasmettitore.
Un problema che abbiamo somministrando L-DOPA al pz con Parkinson, è che questa viene prontamente
metabolizzata da un enzima che si chiama dopa-decarbossilasi. Questo enzima non è molto selettivo ed è
presente sia a livello centrale che periferico. Non appena diamo L-DOPA, una grande quantità di questa viene
metabolizzata prima ancora di superare la BEE in dopamina. La dopamina a livello periferico è responsabile di
una serie di eventi avversi quali ipotensione e vomito. Per avere una buona concentrazione di dopa a livello
centrale inoltre, ne dovremmo somministrare una grande quantità. In questi casi allora L-DOPA si somministra
in associazione con un farmaco che è in grado di inibire la DOPA-decarossilasi a livello periferico. Quindi questo
farmaco che non passa la barriera ematoencefalica, inibisce la dopa-decarbossilasi a livello periferico -> fa si che
ci sia più dopa che ha il tempo di passare la barriera e riduce la formazione di dopamina a livello periferico. I
farmaci che agiscono i questo modo sono la Carbidopa e la Benserazide. Questi sono due inibitori della
dopa-decarbossilasi che agiscono a livello periferico, non passano la barriera ematoencefalica. Questo fa si che
quando noi somministriamo la L-DOPA, abbiamo la possibilità di limitare il suo metabolismo a livello periferico
limitando la comparsa di eventi avversi periferici e rendere quindi più L-DOPA disponibile per il superamento
della barriera ematoencefalica e per poter raggiungere il sistema nigro-striatale dove verrà metabolizzata in
dopamina dove è necessario.
La dopamina quindi che deriva da questa reazione della DOPA-decarbossilasi può essere pronta all’utilizzo, cioè i
neuroni dopaminergici immagazzineranno dopamina nelle vescicole oppure la trasferiranno direttamente nelle
vescicole dove incontra la dopamina-beta-idrossilasi che la trasforma in noradrenalina. La noradrenalina
conclude la catena biosintetica nei neuroni che rilasciano la norepinefrina (= noradrenalina).
In alcuni particolari distretti avviene infine la trasformazione della noradrenalina in adrenalina ad opera della
fenil-etalonammina-metil-transferasi che attua una metilazione che porta alla formazione di epinefrina.
Quindi possibilità di intervento farmacologico:
- tirosina-idrossilasi
- Alfa-metil-dopa (forma un falso trasmettitore che compete con la dopa)
- Carbidopa e Benserazide (inibitori periferici della dopa-decarbossilasi utilizzati insieme all’L-DOPA nel Morbo
di Parkinson).
Metabolismo del neurotrasmettitore
Una volta rilasciate, le catecolamine vengono metabolizzate a opera di due enzimi che sono le monoamino-
ossidasi e le catetol-ortometil-transferasi. Questi enzimi sono target di farmaci.
Le monoaminossidasi (MAO) svolgono un ruolo
importante a livello pre-sinaptico. Le catetol-
ortometil-transferasi (COMT) sono localizzate a
livello post-sinaptico e sono anche presenti nel
vallo intersinaptico.
I due enzimi intervengono in serie quindi
possiamo avere sulla noradrenalina o un
primario intervento delle COMT o un primario
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intervento delle MAO. In entrambi i casi poi i prodotti intermedi che si formano vengono attaccati dall’altro
enzima e successivamente si ha in serie l’intervento o di un’aldeide deidrogenasi o di un’aldeide reduttasi. Il
prodotto finale è l’acido vanilmandelico, prodotto finale del metabolismo delle catecolamine.
Anche la dopamina viene attaccata dagli stessi enzimi, con la formazione finale di acido omovanillico.
Possiamo intervenire farmacologicamente su questi enzimi:
Le MAO si distinguono in:
MAO-A: sono ubiquitarie;
- MAO-B: sono più selettive per la dopamina.
-
1. Farmaci che agiscono su entrambe le MAO
Sono stati i primi farmaci antidepressivi, con un’attività irreversibile che oggi non si utilizzano quasi più a causa
delle loro interazioni e dei loro eventi avversi. Esiste un solo farmaco inibitore delle MAO che viene utilizzato
clinicamente come antidepressivo. Esso lega le MAO in maniera reversibile ed è di nuova generazione. Questa
molecola si chiama Moclobemide.
2. Farmaci che agiscono sulle MAO-B
Avendo l’enzima un’attività più selettiva sulla dopamina, sono farmaci che possono essere utilizzati per
migliorare la trasmissione dopaminergica e quindi vengono utilizzati nel Parkinson. Sono la Seleginina e la
Rasagilina, inibitori selettivi delle MAO-B.
3. Farmaci che agiscono sulle COMT
L’unico farmaco disponibile è l’Entacapone e viene utilizzato nel Parkinson. Agisce con un meccanismo
particolare che vedremo quando trattaremo il Parkinson.
Una volta che il neutrasmettitore è stato vescicolato, quando arriva lo stimolo si avrà un aumento dei livelli
cellulari di calcio e la successiva esocitosi, quindi il rilascio.
Una volta rilasciato, il neurotrasmettitore può agire a livello recettoriale. Può agire sia a livello dei recettori post-
sinaptici sia a livello di recettori presinaptici (detti anche autocettori) che controllano il rilascio dello stesso
neurotrasmettitore con un meccanismo a feedback.
Il neurotrasmettitore rilasciato può subire anche il reuptake grazie a dei trasportatori presenti sulla membrana
pre-sinaptica.
Recupero a livello presinaptico
Questi trasportatori che recuperano le catecolamine, prendono la noradrenalina o la dopamina dall’esterno e la
trasportano all’interno. Questi trasportatori sono sodio-cloro dipendenti, quindi si tratta di un sistema di
simporto che insieme al neurotrasmettitore porta dentro anche sodio e cloro. Questo trasportatore è costituito
da 12 subunità transmembrana. Quando si descrive questo trasportatore si utilizza come paragone una porta
girevole motivo per cui questo trasportatore è detto pure “trasportatore a porta girevole” in cui il
neurotrasmettitore viene preso dall'esterno, il sistema si modifica nella sua conformazione e rilascia il
neurotrasmettitore all'interno. Questo è importante perché esistono dei farmaci che agiscono su questo
trasportatore.
Innanzitutto distinguiamo un neurotrasportatore per la noradrenalina che si chiama NAT e uno per la
dopamina che si chiama DAT. Questi trasportatori non sono molto selettivi, come si vede infatti hanno la
capacità di trasportare dopamina e noradrenalina. Il DAT non distingue i 2 neurotrasmettitori, mentre
addirittura il NAT mostra più affinità per la dopamina che per la noradrenalina.
Paratore Mattia
Una volta reuptekeata, la monoamina può subire 2 destini:
Può essere nuovamente immagazzinata in vescicole di deposito per un nuovo utilizzo grazie ad un altro
- trasportatore detto VMAT-2;
Può essere degradata.
-
I farmaci che riescono ad inibire il NAT sono i cosiddetti antidepressivi triciclici o SNRI (inibitori selettivi dei
trasportatori della noradrenalina e della serotonina). Inibendo il trasportatore, la catecolamina rimane più a
lungo nel vallo sinaptico e ha più possibilità di stimolare il recettore. Quindi il concetto è che siccome il
soggetto depresso ha un calo della trasmissione noradrenergica e serotoninergica, aumentando la quantità di
noradrenalina che è presente nel vallo sinaptico, rafforziamo la trasmissione noradrenergica.
Perché gli SNRI si chiamano cosi? Perché i farmaci più comuni per il trattamento della depressione si chiamano
SSRI (inibitori dei trasportatori della serotonina). I farmaci che sono venuti dopo hanno preso nomi simili
seguendo la falsa riga di questi, come appunto gli SNRI.
Su questi trasportatori agiscono anche altre sostanze, tra cui la cocaina e l'amfetamina. Qual è la differenza tra
l’azione della cocaina e quella dell’anfetamina? La cocaina va ad inibire questo trasportatore, agendo non solo
su quello della noradrenalina, ma anche su quello della dopamina. L'azione euforica della cocaina è dovuta quindi
proprio alla sua azione su questo trasportatore, riducendone il re-uptake, favorendo quindi la trasmissione
aminergica. L'amfetamina e i derivati hanno un meccanismo un po' più complesso: si legano al trasportatore
come se fossero il neurotrasmettitore, ma non bloccano la porta girevole, che quando si gira la rilascia
l'anfetamina all'interno. Competono quindi con la noradrenalina. All'interno sono in grado di inibire il
trasportatore vescicolare, quello che permette poi l'inserimento del neurotrasmettitore all'interno delle
vescicole secretorie. Si ha quindi un aumento di neurotrasmettitore citosolico. Questo permette un pronto
rilascio dello stesso. Infine inibisce l'attività delle MAO, evitando la degradazione della catecolamina.
L'ecstasy è un derivato anfetaminico. È la metilen-diossi-meta-amfetamina. L'ecstasy agisce proprio con il
meccanismo sopracitato essendo un anfetaminico. Viene uptakeata anche dai terminali serotoninergici, oltre che
da quelli dopaminergici. Pare che abbia una attività tossica sui terminali nei quali viene uptakeata, provocandone
la distruzione. Una esposizione prolungata ad ecstasy può provocare quindi la distruzione di terminali sia
dopaminergici che serotoninergici.
L'MPTP ha la capacità di essere uptakeato selettivamente dal trasportatore della dopamina. Fu sintetizzata
casualmente da dei giovani di San Francisco negli anni '70 che volevano creare delle sostanze d'abuso. L'MPTP
una volta somministrato è substrato per le MAO che lo trasformano in MPP (metil-fenil-piridina). Questo
composto è in grado di interferire con la catena di trasporto mitocondriale, con conseguente formazione di
radicali liberi e degenerazione del terminale dopaminergico. L'MPTP viene utilizzato nell'animale per creare
parkinsonismo, per creare il modello per il parkinsonismo, proprio perché determina la degenerazione selettiva
dei neuroni dopaminergici.
Ricapitolando, abbiamo descritto i neurotrasportatori, questi possono essere target di classi di farmaci importanti, in
particolare: gli antidepressivi possono agire sui trasportatori, abbiamo detto un pò quali, non entriamo troppo nel merito dei
singoli farmaci, sui neurotrasportatori agiranno anche la cocaina e l'anfetamina (e i suoi derivati); abbiamo visto anche come
su questi trasportatori possono agire anche delle sostanze che, di fatto, sono delle sostanze tossiche, come: MPTP, prodotto
intermedio che è in grado di interagire con la catena respiratoria determinando una distruzione del terminale
dopaminergico; oppure abbiamo visto come la Metilen-Diossi-Metanfetamina, meglio nota come Ecstasy, ha capacità di
entrare non soltanto a livello del terminale serotoninergico, noradrenergico, ma anche dopaminergico e da qua si presume
che anche l'uso eccessivo di ectsasy nel tempo possa portare a fenomeni di parkinsonismo, ancora non c'è certezza a
riguardo, però potrebbe essere un evento avverso che nel tempo potrebbe comparire.
Una volta che il neurotrasmettitore viene reuptakeato, deve entrare all'interno della vescicola. La vescicola
sfrutta un meccanismo con una pompa protonica. Il pH all'interno della vescicola è acido, la catecolamina si
combina con delle molecole di idrogenioni e con delle proteine che si chiamano cromongranine. Questo reuptake
può essere inibito da un farmaco che si chiama reserpina che va a bloccare proprio la VMAT-2. La reserpina è un
farmaco che non viene più utilizzato perché determina, impedendo questo reuptake delle catecolamine,
Paratore Mattia
l'accumulo a livello citosolico e il rilascio di catecolamine, determinando la deplezione del … Di catecolamine nel
terminale dopaminergico e la reserpina, che all'inizio fu utilizzata come farmaco anti-ipertensivo, non viene
utilizzata sia perché ha azioni massive, sia perché dava luogo a depressione proprio perché portava a una perdita
dei contenuti di catecolamine in questo terminale.
Le cromogranine sono delle proteine strutturali e le pompe servono a creare il gradiente all'Interno delle
vescicole.
Recettori adrenergici
Abbiamo visto tutto quello che può succedere a livello pre-sinaptico e come possiamo intervenire, però il
neurotrasmettitore viene rilasciato per andare ad agire a livello post-sinaptico e andare ad agire sui recettori
adrenergici.
Come classifichiamo i recettori adrenergici? Abbiamo:
Recettori α1: sono recettori legati a proteine Gq, quindi che attivano la via del IP3 e DAG; sono
- localizzati a livello del muscolo radiale dell’iride dove determinano contrazione, a livello dello stomaco
dove determinano rilasciamento, a livello delle pareti intestinali, nel SNC. Le funzioni che ci interessano
maggiormente sono: a livello dei vasi pre-capillari, quindi a livello delle arteriole, dove gli a1 mediano
contrazione; a livello degli sfinteri, dove determinano contrazione; a livello del tratto genito-urinario,
dove determinano rilassamento della muscolatura. Le altre funzioni sono importanti fisiologicamente
però, a livello farmacologico, hanno un significato più limitato.
Recettori α2: sono recettori legati a proteine Gi, quindi inibizione dell’adenilato ciclasi con riduzione
- del cAMP; inoltre causano una ridotta permeabilità al K e al Ca. Sono recettori localizzati a livello
presinaptico, quindi controllano il rilascio della noradrenalina. Sono presenti a livello della muscolatura
vasale dove determinano contrazione. Sono presenti a livello dello stomaco, del rene, però l'azione
importante è quella a livello del SNC perché farmaci che agiscono su questi recettori sono in grado di
determinare diminuzione del tono simpatico. Abbiamo detto che a livello del locus ceruleus abbiamo un
controllo di tipo inibitorio dell'attività del simpatico che è mediata proprio da questi recettori a2 che, in
questo caso, sono recettori postsinaptici. Questo è importante perché possiamo utilizzare un farmaco
che va ad interagire con questi recettori inibendo quello che è il tono simpatico periferico. Questo è un
farmaco che viene utilizzato come anti-ipertensivo centrale, dato che agisce con questo meccanismo. Il
farmaco in questione si chiama Clonidina e viene considerato un anti-ipertensivo centrale proprio
perché agisce a questo livello (vedremo che gli anti-ipertensivi agiscono tutti a livello cardiaco o a livello
renale, hanno quindi una azione periferica).
Recettori β1: i recettori β sono tutti legati all’azione di proteine Gs. Sono localizzati a livello cardiaco
- dove controllano tutte le funzioni cardiache, quindi hanno effetto inotropo, cronotropo, batmotropo e
dromotropo positivo. È tanto importante la localizzazione cardiaca di tali recettori che, quando
parleremo dei farmaci che bloccano questi recettori, vedremo che ci sono quelli definiti cardio-selettivi.
Quindi tutte le funzioni cardiache vengono regolate per la presenza di tutti questi recettori a livello di
distretti cardiaci diversi. Una ulteriore localizzazione è a livello dell'apparato iuxtaglomerulare dove
determinano il rilascio di renina. Naturalmente questo ci fa capire che sono farmaci importantissimi per
trattare patologie cardiovascolari.
Recettori β2: sono localizzati soprattutto a livello della muscolatura liscia, di tutta la muscolatura liscia
- dei grandi organi quindi bronchiale, intestinale, del tratto genito-urinario, utero, dove la loro attivazione
determinerà rilassamento. La loro azione ha importanza relativa a livello dei piccoli vasi, dove la loro
stimolazione determinerà vasodilatazione. Altra importante azione è svolta a livello epatico dove
determineranno glicogenolisi. Questo è importante anche per eventi avversi con farmaci che vanno ad
interagire con questi recettori.
Paratore Mattia
Recettori β3: nell’uomo hanno importanza relativa perché sono stati scoperti da pochi anni. Prima
- erano stati individuati nel tessuto adiposo bruno di alcuni animali. Oggi sappiamo che la loro attivazione
determina lipolisi e si cerca di favorire la ricerca in questo senso in modo d sviluppare farmaci che
possano favorire il trattamento dell’obesità la dove non vi sono farmaci che possano intervenire.
Classificazione dei recettori dopaminergici
I recettori della dopamine sono invece recettori che vengono classificati in D1-like e D2-like. La famiglia dei D1-
like comprende i recettori D1 e D5. La famiglia D2 comprende i D2, D3 e D4. L’attivazione dei recettori della
famiglia D1 determina aumento del cAMP , mentre l’attivazione dei recettori della famiglia D2 determina
l’inibizione dell’attività adenilato ciclasica quindi riduzione della produzione di AMP ciclico.
Questi recettori sono target importanti di diverse classi di farmaci sia agonisti che antagonisti.
Farmaci che agiscono sui recettori adrenergici
Possiamo distinguere:
Agonisti (simpaticomimetici) distinti a loro volta in:
diretti: quando agiscono sul recettore;
indiretti: sono farmaci che possono:
· aumentare il rilascio delle catecolamine (amfetamina e derivati);
· bloccare la ricaptazione del neurotrasmettitore rilasciato nel vallo sinaptico (cocaina);
· inibire gli enzimi che metabolizzano le catecolamine (MAO e COMT)(entacapone).
misti: quando uniscono queste due azioni.
Antagonisti (simpaticolitici).
Simpaticomimetici
I simpaticomimetici indiretti comprendono infatti sia le amfetamine, sia farmaci che inibiscono la ricaptazione,
sia quelli che abbiamo citato prima che inibiscono la degradazione dell’amina. I simpaticomimetici misti
comprendono ad esempio l’efedrina, una sostanza che potrebbe essere utilizzata per la sua capacità di stimolare
per es i recettori α1 localizzati nei piccoli vasi determinando vasocostrizione, nel trattamento dei fenomeni
edematosi delle riniti agendo come agente topico sulla mucosa nasale. In realtà non viene utilizzata a questi scopi
perché ha meccanismi molto più complessi che comprendono effetti amfetamino-simili, quindi potenzia l’attività
catecolaminergica e ha attività stimolante a livello del sistema nervoso. È più simile all’amfetamina che ai
vasocostrittori che utilizziamo normalmente. Infatti l’efedrina è classificata come sostanza dopante.
Farmaci selettivi per la loro capacità di stimolare gli α1:
Adrenalina: farmaco di emergenza usato in caso di broncospasmo incontrollabile che non risponde ad
alcun farmaco, di shock anafilattico o in seguito ad arresto cardiaco.
Molecole ad uso decongestionante: fenilefrina o derivati imidazolinici quali nifazolina, tramazolina
ecc. tutti agiscono per via topica.
Farmaci α2 selettivi:
Αlfa-metil-dopa: da luogo alla sintesi di un falso neurotrasmettitore che è la α-metil-noradrenalina, una
molecola che ha affinità maggiore per i recettori alfa2. Siccome i recettori alfa2 sono dei recettori che
possono regolare il tono simpatico a livello centrale, è un farmaco che possiamo utilizzare per il
trattamento dell’ipertensione.
Clonidina: è il farmaco capostipite della classe degli alfa2 selettivi che viene utilizzato sia come
antiipertensivo centrale sia nei soggetti in fase di disuassefazione da sostanze da abuso in particolare da
eroina e morfina. La sindrome di astinenza determina una iperattivazione del simpatico (tachicardia,
ipertermia, sudorazione) che può essere contrastata dalla clonidina.
Paratore Mattia
Farmaci agonisti β-selettivi:
anche questi sono farmaci di emergenza ad uso ospedaliero che hanno come indicazione lo shock. Si può
utilizzare la dopamina che ad elevate concentrazioni va ad agire anche sui recettori beta. Si può utilizzare anche
un farmaco b1 selettivo che è la Dobutamina.
I farmaci che trovano più largo uso sono gli agonisti beta2 selettivi come il Salbutamolo o il Salmeterolo che
hanno indicazione specifica per il trattamento dell’asma bronchiale.
Invece la Ritodrina è un farmaco agonista beta2 selettivo che viene utilizzato nel parto prematuro perché
determina rilassamento della muscolatura uterina per far fronte alle contrazioni precoci.
Simpaticolitici
Possiamo distinguere antagonisti dei recettori α dei recettori β. Oggi gli antagonisti aspecifici dei recettori α
hanno un valore storico infatti anche se bloccando gli α1 hanno effetto anti-ipertensivo, inibendo gli autocettori
α2 aumentano la trasmissione endogena catecolaminergica annullando il primo effetto. Invece gli antagonisti α1
selettivi (prazosina, terazosina) possono essere utilizzati come anti-ipertensivi e nel trattamento dell’ipertrofia
prostatica benigna (agiscono rilassando la muscolatura liscia, inducendo un incremento significativo del flusso
urinario e migliorando i sintomi da ostruzione).
I Farmaci beta-bloccanti: si dividono in:
β-1 selettivi (o cardioselettivi, oggi non si dice più cardioselettivi);
- Non selettivi.
-
Il capostipite dei non selettivi è il Propanololo. Tra i beta-1 selettivi abbiamo l’Atenololo. In genere sono
farmaci che trovano indicazione come anti-ipertensivi e anti-aritmici. Possono anche essere utilizzati nel
paziente che soffre di angina o nel paziente che ha insufficienza cardiaca. Vengono utilizzati soprattutto per la
loro azione a livello dell’apparato cardiocircolatorio.
TRASMISSIONE COLINERGICA
I neuroni che utilizzano Ach come neurotrasmettitore sono detti colinergici e si trovano sia nel SNC che
periferico. I neuroni che utilizzano Ach sono:
I motoneuroni spinali: nella giunzione neuromuscolare l’Ach va ad agire su un recettore nicotinico;
- I neuroni pre-gangliari del SNA simpatico: l’Ach agisce su un recettore nicotinico;
- I neuroni pre e post-gangliari del SNA parasimpatico (ricordiamo il parasimpatico craniale che coinvolge
- i n. cranici oculomotore III, faciale VII, glossofaringeo IX e vago X, e il parasimpatico sacrale o
splancnico). Mentre nella sinapsi gangliare il recettore è nicotinico, la sinapsi periferica si ha tra Ach e
un recettore muscarinico.
Il primo neurone che parte dal midollo spinale dunque è sempre colinergico in entrambi i sistemi (para e
ortosimpatico) e fa sinapsi a livello gangliare con recettori nicotinici. Dai gangli poi parte il secondo neurone che
nel caso dell’ortosimpatico è adrenergico, mentre per il parasimpatico è ancora colinergico.
La midollare del surrene ha un’innervazione particolare perché è diretta dall’ortosimpatico ma sfrutta l’
acetilcolina (livello presinaptico) e poi rilascia direttamente in circolo adrenalina; quindi anche a questo livello
sono presenti recettori colinergici.
L’acetilcolina, però, è anche un importante neurotrasmettitore centrale. Ci sono neuroni colinergici distribuiti in
diverse parti del SNC. A livello del nucleo basale ci sono neuroni colinergici fondamentali che proiettano verso le
aree ippocampali e sono fondamentali perché intervengono nei processi di apprendimento e memoria. Una loro
possibile degenerazione si traduce in termini di patologia in riduzione delle funzioni cognitive (correlata alla
disfunzione di questo sistema è la malattia di Alzheimer).
Paratore Mattia
Anche a livello nigrico-striatale vi sono piccoli neuroni colinergici che
possono avere un ruolo soprattutto quando si ha ipofunzionalità del
sistema dopaminergico (come in morbo di Parkinson), in quanto si
assiste a una loro iperattività dei neuroni colinergici; ci sono farmaci
che bloccano questi neuroni colinergici vengono adoperati per
controllare la componente tremore del morbo di Parkinson.
Poi ci sono anche dei neuroni colinergici coinvolti nel controllo del ciclo
sonno-veglia e che proiettano verso le aree più rostrali.
Riassumendo possiamo dire che i neuroni colinergici del cervello anteriore hanno importanti funzioni nei
processi cognitivi (attenzione, memoria e acquisizione di informazioni), quelli del ponte e del mesencefalo
regolano il ciclo sonno-veglia e agiscono anche sul talamo e formazione reticolare, gli interneuroni colinergici di
putamen e caudato hanno un ruolo nella regolazione del movimento e in alcune forme di memoria.
Sintesi, liberazione e metabolismo dell’Ach
L’Ach viene sintetizzata dall’enzima colina acetiltransferasi, che trasferisce sulla colina il gruppo acetilico
dell’acetil-CoA, a sua volta proveniente dal metabolismo del glucosio-piruvato. L’acetilcolina viene poi
immagazzinata all’interno di vescicole e quando arriva lo stimolo si ha il suo rilascio che avviene in maniera
quantale, con meccanismo vescicolare (esocitosico). L’acetilcolina andrà poi ad agire sui vari recettori. L’Ach che
non si lega ai recettori non è soggetta a ricaptazione, come avviene invece nella trasmissione adrenergica e
dopaminergica. L’Ach che non agisce a livello postrecettoriale non viene ricaptata, ma viene metabolizzata
dall’acetilcolinesterasi (AchE) in acetato e colina.
Tossina botulinica : ha come target il terminale sinaptico; viene uptakeata mediante endocitosi e va ad agire
sulle proteine del complesso SNARE (tra cui sinaptobrevina, sintaxina), che mediano l’interazione tra la vescicola
sinaptica e la membrana plasmatica, responsabili del processo di esocitosi. Di tossina botulinica ne esistono
diverse isoforme di cui la A può essere utilizzata farmacologicamente. Essa è in grado di determinare un blocco
della trasmissione colinergica a livello della placca neuromuscolare con comparsa di paralisi flaccida. Trova
indicazione in tutte quelle condizioni caratterizzate da ipercontratture muscolari (torcicollo spasmodico,
blefarospasmo, crampi, malformazione piede -es. piede equino caratterizzato da contrazione muscolare
eccessiva-).
Tossina tetanica : diverso è il caso della tossina tetanica. Essa agisce a livello delle terminazioni presinaptiche
dei motoneuroni alfa e blocca la liberazione di neurotrasmettitore a livello della giunzione neuromuscolare,
agendo sulla sinaptobrevina II, provocando debolezza muscolare o paralisi. La tossina inoltre penetrata
nell’assone, viaggia per via retrograda fino ai corpi neuronali nel midollo o nel tronco encefalico e qui svolge la
sua azione patogenetica principale; in particolare migra nelle terminazioni nervose dei neuroni inibitori
(glicinergici o GABAergici) e blocca quest’inibizione sui motoneuroni -> aumenta l’attività dei motoneuroni ->
spasmi muscolari. La tossina tetanica non ha azione farmacologica ed è considerata tossina a tutti gli effetti.
Nota: Sul recettore per la glicina agisce anche un’altra sostanza tossica chiamata stricnina.
Come possiamo agire farmacologicamente a livello non recettoriale?
Si può agire sull’acetilcolinaesterasi.
Nota: di questo enzima ne esiste una forma analoga che si chiama butirrilcolinesterasi che ha la stessa capacità di
metabolizzare l’Ach dell’AchE ed è particolarmente espressa nel cervello del pz con Alzheimer.
Paratore Mattia
L’AchE è un enzima che può esistere in diverse forme:
• solubili (quindi ci sono delle forme plasmatiche);
• legate a membrana plasmatica;
• monomeriche;
• dimeriche;
• tetrameriche.
Questo è importante perché ci sono farmaci che agiscono selettivamente per una determinata forma di AchE che
a sua volta può essere localizzata in zone ben precise (in particolare monomeriche e tetrameriche). Questo va
considerato in relazione agli eventi avversi correlati all’uso di un determinato farmaco che possono essere più o
meno marcati a seconda della distribuzione nei vari distretti della forma coinvolta.
Sull’AchE possiamo agire con inibitori reversibili o irreversibile. L’obiettivo in ogni caso è quello di prolungare la
vita sinaptica dell’Ach, impedendo il suo metabolismo e quindi prolungando la trasmissione colinergica a livello
della sinapsi.
Nella struttura dell’Ach riscontriamo due siti: un sito anionico, che lega l’Ach (substrato a cariche pos) e un sito
catalitico, che stacca prima la colina (quindi si forma l’enzima acetilato) e poco tempo dopo si stacca anche
l’acetato. La colina che si forma da questa reazione può essere recuperata tramite un sistema di trasporto della
colina. Esiste una molecola chiamata emicolinio che è in grado di bloccare il trasportatore della colina, ma non
ha utilizzo clinico ed è un farmaco utilizzato solo a scopo sperimentale.
Il fatto che la colina sia la componente fondamentale per la sintesi di Ach, ha portato in passato allo sviluppo di
farmaci a base di colina: fosfatidilcolina, glicerofosfocolina e tutta una serie di sostanze proposte come in grado
di migliorare le capacità mnemoniche e la funzionalità cerebrale. Di fatto, però, esse non sono utili
terapeuticamente perché la colina fornita dalla fosfatidilcolina delle membrane plasmatiche è talmente tanta che
è quasi impossibile che si venga a creare una sua carenza nel SN. Questi farmaci sono ancora presenti, però non
hanno una reale utilità.
Inibitori reversibili e irreversibili dell’AchE
Un farmaco inibitore reversibile dell’AchE, compete con l’Ach, si lega all’enzima e ne determina la trasformazione
in una forma intermedia, carbamilata, che fisiologicamente dura pochissimo ma che farmacologicamente viene
prolungata. L’enzima ritornerà libero ed attivo dopo minuti per il distacco del gruppo etil-carbammato.
Gli inibitori irreversibili creano una forma intermedia fosforilata dell’AchE che rimane tale per giorni o per
sempre. Bloccando l’enzima, l’ACh rilasciata nel vallo intersinaptico continuerà ad agire senza essere rimossa.
Questo crea una condizione di tossicità e in fase iniziale (quando l’enzima è fosforilato) si può intervenire
utilizzando un farmaco chiamato pralidossima, che libera l’enzima fosforilato e ne recupera la sua funzionalità.
Questo può essere fatto entro qualche ora dall’esposizione ad agenti irreversibili. Oltre le 4-6 ore non è più
possibile intervenire ed il soggetto manifesterà grave sintomatologia con possibilità di morte.
Tra i farmaci che agiscono con meccanismo reversibile ve ne sono alcuni con il suffisso -stigmina che non
hanno più grande utilizzo e sono molto datati:
• Fisostigmina: praticamente non più utilizzata; l’unico impiego che potrebbe trovare è quello topico nel
trattamento del glaucoma, però di fatto oggi ci sono tanti altri farmaci per la cura del glaucoma che
agiscono su componenti diversi e controllano la pressione endoculare;
• Neostigmina;
• Piridostigmina: utilizzo nella miastenia grave.
Nota: in Italia un composto approvato a base di cannabis è un composto che si chiama sativex, approvato soltanto per la
spasticità della sclerosi multipla (altri usi ma non sa se sono approvato in Italia) e costituito da delta-9-Tetraidrocannabinolo
e Cannabidiolo. Un altro farmaco derivato della cannabis si chiama Nabilone ed è un antiemetico adoperato nei pazienti che
Paratore Mattia
fanno una chemioterapia molto pesante ed assumono composti fortemente emetigeni. In Italia anche l’uso di oppioidi è
ridotto rispetto agli altri Paesi occidentali.
In seguito all’utilizzo di questi farmaci possono compartire eventi avversi da iperstimolazione colinergica.
Questi sono: agitazione, ansia, vertigini e tanti altri effetti periferici (tachicardia, ipermotilità intestinale,
secrezioni intestinali, scialorrea, fascicolazioni muscolari, tremore). Unica condizione in cui possiamo ancora
utilizzare questa classe di farmaci è la miastenia grave. Questa patologia è caratterizzata da insensibilità
all’attività dell’acetilcolina (spesso per mutazioni recettoriali) quindi potenziare la trasduzione colinergica è
tuttora una delle soluzioni attuate.
Rivastigmina, Donepezil, e Galantamina sono 3 farmaci in uso che derivano dalle vecchie molecole
(fisostigmina, neostigmina), ma che sono state modificate in modo da avere buona permeabilità della barriera
ematoencefalica. Sono le 3 molecole che abbiamo a disposizione per il trattamento dell’Alzheimer nella fase
lieve-moderata, perché quando la malattia avanza perdono efficacia.
Nota: sui testi si può trovare anche la Tacrina, che è stata la prima molecola disponibile ma che essendo
estremamente epatotossica è stata ritirata.
Il problema di questi farmaci è il limite della loro azione nel tempo, in quanto non sono più efficaci se la malattia
evolve.
Tra le molecole che agiscono invece in maniera irreversibile abbiamo 2 classi di molecole che non hanno uso
terapeutico, ma sono farmaci a tutti gli effetti. A queste due classi appartengono composti del fosforo
pentavalente capaci di fosforilare l’AchE. Esse sono pesticidi (malathion, parathion) e gas nervini (sarin, soman e
tabun). Il parathion oggi non è più utilizzato per la sua tossicità, mentre il malathion ancora oggi viene
adoperato in agricoltura da personale specializzato e ad es per il trattamento topico della pediculosi. I gas
nervini possono essere usati come armi chimiche: Sarin, Soman, Tabun. Essi agiscono andando a bloccare
irreversibilmente l’AchE, causando iperattività del sistema colinergico, dando tachicardia, ipotensione,
broncospasmo, tremore, fascicolazioni muscolari, paralisi respiratoria, fino a morte (i gas nervini vengono
utilizzati a tale scopo).
Recettori dell’Ach
I recettori per l’ACh si distinguono in recettori nicotinici e muscarinici
Recettori nicotinici
Sono recettori ionotropici che si aprono quando legano 2 molecole di ACh. Il canale è piccolo e consente
l’ingresso a ioni monovalenti (Na, K). Si distinguono recettori localizzati a livello neuronale e a livello muscolare
(placca neuromuscolare). I neuronali si possono classificare in modo diverso: quelli che controllano direttamente
il rilascio dell’adrenalina a livello del surrene e quelli coinvolti in tutte le altre funzioni sinaptiche. I muscolari si
occupano della contrazione muscolare.
Recettori muscarinici
I recettori muscarinici sono recettori accoppiati a proteine G che mediano il controllo del SNA parasimpatico
sulle funzioni d’organo; si distinguono in 5 diversi sottotipi (M1, M2, M3, M4, M5), di cui il 4 ed il 5 sono poco
caratterizzati e non abbiamo farmaci specifici che vi agiscono. Riguardo agli altri sappiamo che M1 e M3 (e M5)
sono legati a Gq, quindi la loro stimolazione determina formazione di IP3 e DAG con aumento del Ca
intracellulare; M2 (ed M4) è invece legato a proteina Gi quindi ha attività di controllo negativo.
Gli M1 sono localizzati a livello della parete gastrica e hanno un’importante funzione nel controllo dell’acidità
gastrica (aumentano secrezione gastrica); abbiamo un farmaco che si potrebbe per controllare l’acidità gastrica,
di fatto però non si usa. Gli M2 mediano gli effetti vagali a livello cardiaco: inotropo, cronotropo e dromotropo
negativo. Gli M3 agiscono a livello dei vari organi facilitando vasodilaltazione, miosi, contrazione della
Paratore Mattia
muscolatura liscia a livello GI e urinario, secrezioni a livello bronchiale, salivare (importante è la scialorrea che
si può determinare da stimolazione eccessiva dei recettori muscarinici) e controllano la miosi.
Agonisti dei recettori muscarinici
Sono anche detti “colinomimetici diretti” e possono essere di origine naturale (muscarina, pilocarpina e
arecolina)o sintetici (esteri della colina e oxotremorina).
Il primo agonista muscarinico è la muscarina (“recettori muscarinici” perché stimolati dalla muscarina), un
principio attivo presente nel fungo Amanita Muscaria, responsabile della sua tossicità per l’aumento dell’attività
colinergica che determina. I sintomi di avvelenamento da muscaria sono infatti nausea, vomito, dolori
addominali, diarrea, salivazione, lacrimazione, disturbi visivi, bradicardia, broncospasmo e ipotensione.
La pilocarpina è anch’essa una sostanza naturale. Proviene dal Pilocarpus jaborandi e determina un aumento
delle secrezioni salivari e oculari, quindi può essere utilizzata nel trattamento della xerostomia che si ha in
seguito trattamenti radianti a livello cervicale, oppure nella sindrome di Sjögren, caratterizzata da xeroftalmia e
xerostomia.
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Rityanel di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Farmacologia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Catania - Unict o del prof Sortino Mariangela.
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