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ERODOTO E “LE STORIE”
Erodoto nacque ad Alicarnasso verso il 490 a.C., una città nel sud ovest
dell’Asia Minore, già colonia dorica ma anche in contatto con ambienti ionici. La
famiglia era antipersiana e si schierò contro il tiranno Ligdami perciò Erodoto fu
costretto all’esilio a Samo. Nel 454 a.C. Alicarnasso però entrava nella Lega
Delio Attica, motivo per cui Erodoto iniziò a viaggiare spinto dalla tipica
curiosità legata alla logografia ionica. Certamente visse ad Atene dove fu
amico di Pericle e di Sofocle. Sappiamo che nel 443 ricoprì un ruolo nella
fondazione di Turii, colonia ateniese di cui prese anche la cittadinanza, dopo la
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distruzione di Sibari. Una leggenda racconta che sarebbe sepolto là, ma
certamente è falso. Morì probabilmente ad Atene dopo il 430, poiché nelle
Storie racconta un episodio avvenuto quell’anno.
LE STORIE
Sono suddivise in 9 libri da Aristarco, grammatico alessandrino; ogni libro ha il
nome di una musa, mentre Erodoto li aveva chiamati lògoi, cioè “discorsi”,
dedicando ciascuno al racconto di un popolo diverso. Dalla logografia alla storia
il passaggio è lento, per finalità, metodo e stile.
historìe
_Nel proemio coniò il termine che non significa “storia, ma allude al
lavoro preliminare di stesura (prima divergenza con Ecateo e la logografia).
opsis
_ Sono 3 le fasi del metodo di ricerca: che rimanda alla necessità della
akoè,
visione diretta (autopsia), ovvero ascolto di chi è stato diretto testimone
dell’evento raccontato (anche se Erodoto raccolse diverse versioni orali per
gnòme
suffragare le ipotesi e verificare quanto scritto, infine cioè l’intervento
del raziocinio. In questa tripartizione necessaria e costante della storiografia
erodotea rimane comunque una certa arbitrarietà nella scelta delle fonti
primarie, tuttavia la metodologia seguita resta una grande novità.
_ La finalità delle “Storie” è impedire che il tempo distrugga tutto, perché la
storia è sopravvivenza della memoria (historia vita memoriae) mentre la
logografia aveva fini utilitaristici e ludici. Erodoto vuole che il passato entri a far
parte del patrimonio della grecità, sia un possesso orgoglioso dello spirito greco
per sempre.
ATENE E LE GUERRE PERSIANE
Il passo che differenzia la logografia dalla storiografia vera e propria sta nella
scelta di cogliere nelle Guerre Persiane non un evento bellico all’interno del
lògos persiano, ma il prodotto della rivalità ancestrale tra Asia ed Europa, non
insomma un momento episodico perduto nel passato fumoso del mito, ma il
risultato di una concatenazione stringente di accadimenti la cui origine non si
perde nella narrazione favolistica, ma ha la causa sua nella imposizione di
tributi alle città greche asiatiche della Ionia, da parte del re Creso di Lidia.
Ponendo le battaglie di Maratona, Platea e Salamina come avvenimenti
essenziali per la creazione dello spirito panellenico, Erodoto assurge a nuovo
aedo, nuovo Omero cioè, colui che canta le imprese davvero realizzate dal
proprio popolo in un passato assai recente: per questo motivo la figura di
Erodoto è assimilabile a quella di cantore epico moderno.
Il passaggio dalla LOGOGRAFIA alla STORIA sta anche nel riconoscimento del
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ruolo storico svolto da Atene, del compito di guida che la città attica assume
nei confronti dell’intera Grecia dopo la battaglia di Salamina: la Grecia è tutta
debitrice della propria libertà ad Atene, ma nell’affermare ciò Erodoto non
allude al regime coevo che dà lustro ad Atene in quel frangente, cioè quello di
Pericle, tantomeno vuol essere mentore di una propaganda filopericlea. Erodoto
è convintamente persuaso che la Grecia abbia un debito storico verso Atene
che l’ha salvata dalla schiavitù persiana, tuttavia ammonisce
contemporaneamente Atene a non cadere nell’errore del Gran Re, cioè quello
di un imperialismo ipertrofico ed autodistruttivo che ha rovinato la Persia e che
potrebbe rovinare adesso anche Atene la quale esercita ormai un’egemonia
esagerata nel Mediterraneo.
Erodoto instaura anche un diverso rapporto con il pubblico: quando riferisce
qualcosa di strano, di inusitato, avverte gli uditori che il racconto trascritto ha
del prodigioso; al contrario, quando afferma di credere a quanto ha riportato, è
evidente che ha ravvisato congruenze forti tra le fonti messe a confronto e
perciò il pubblico può stare tranquillo. Quando tocca la sfera del divino, però, la
pietas
sua è totale anche se capita che metta in dubbio alcuni episodi molto
strani o straordinari rispetto agli uomini o ai semidèi; in altri termini Erodoto è
del tutto ligio alla religione tradizionale, ma non crede alle superstizioni e a
quella realtà misterica e semidivina sospesa tra l’umanità e la divinità. Se
pater historiae
Cicerone coniò per Erodoto l’epiteto di ciò è dovuto non ai
risultati della ricerca, ma al riconoscimento di aver fondato l’idea scientifica di
storia e di storiografia.
LA QUESTIONE ERODOTEA
Due sono le ipotesi circa la stesura delle Storie:
1. ipotesi che la svolta dell’impianto delle Storie sia avvenuto ad Atene poiché i
primi lògoi riguardanti i popoli venuti in contatto con i Persiani secondo un
principio associativo sono in numero eccessivo rispetto a quello che è
l’argomento principale, cioè le guerre persiane. Le guerre persiane infatti
occupano meno della metà dei 9 libri come se Erodoto avesse cambiato in
itinere l’argomento.
2. Erodoto già da principio voleva fare delle guerre persiane il fulcro delle Storie
che forse sarebbero un’opera incompleta: la conclusione delle Storie è difforme
da quanto atteso dall’uditorio perché si finisce con la battaglia di Sesto
nell’Ellesponto che avrebbe avuto una certa importanza negli anni a venire, ma
che nell’immediato non ha grande significato, per cui tale finale aperto che
narra un evento avvenuto nel 478 a.C. dopo Salamina non si comprende se non
si ipotizza un finale aperto dovuto ad un’opera non finita, inconclusa, oppure,
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secondo altri critici questo finale rimanderebbe volutamente alla tradizione
rapsodica cui Eordoto era ancora vicino culturalmente.
Tuttavia nonostante queste due ipotesi, di certo si può affermare che i lògoi
sono scritti per essere narrati e letti in pubblico separatamente e già da vivo
Erodoto potè dare una sistemazione ai lògoi, così come è certo che ad Atene si
facessero spettacoli pubblici con la narrazione delle Storie, fatto per il quale
Erodoto ricevette anche una somma di denaro cospicua di molti talenti come
pagamento.
IL PENSIERO DI ERODOTO TRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE
L’esperienza culturale e umana dilatata nei viaggi intrapresi da Erodoto fa
riferimento ad una realtà assai diversificata, dove egli incontra molti popoli. La
formazione culturale erodotea è tradizionale, però con il tempo e la visone
diretta del mondo egli diventa “relativista” in campo religioso (vd.
“Agamennone” di Eschilo), infatti come farà Aristofane nelle commedie e come
si trova spesso nelle tragedie del tempo, soprattutto in Sofocle e Eschilo, gli dèi
non sono nominati con il proprio nome o epiteto, ma indicati con il generico
tò theion.
termine neutro C’è un episodio significativo in cui si incontrano i
theòs theion
lemmi e per designare due aspetti speculari della divinità greca: è
l’incontro impossibile storicamente tra Solone e Creso scritto solo in funzione
paradigmatica pur essendo un “falso storico”, per esporre la sua concezione
morale. Anche il racconto della sorte toccata al tiranno di Samo Policrate fa
luce sulla fatalistica concezione della vendetta divina come punizione della
tracotanza umana di chiara matrice ionia (alcuni episodi erodotei saranno
fthònos theòn,
ripresi da Sofocle). L’invidia degli dèi, arcaica, ovvero lo sarà
superata infatti dalla visione voluta solonico-eschilea del dio che punisce non la
l’hybris
felicità in sé, ma cioè la tracotanza, la mancanza di limite, tipica
dell’atteggiamento di certi uomini magari potenti. Gli oracoli sono lo strumento
del destino, da consultare per prepararsi ad affrontare il futuro, ma che
finiscono per essere di ostacolo all’uomo poiché egli è cieco e spesso non sa
come interpretarli al meglio. Erodoto però non distingue il limite dove inizia la
libera scelta umana e finisce l’influenza capricciosa del destino, perciò sembra
che il divino e la volontà umana talvolta si sovrappongano: l’individuo più o
meno inconsciamente può solo adempiere al proprio destino inconoscibile. Ciò
che egli progetta o compie è ciò che doveva essere compiuto e progettato, fin
dall’inizio.
GRECI E BARBARI
Dedicando le Storie alle guerre persiane, Erodoto ha svolto un’opera paideutica
proponendo alle nuove generazioni una religione della libertà come linea di
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demarcazione tra chi è padrone del proprio futuro e chi fa coincidere il proprio
futuro con la volontà del monarca, ovvero tra i Greci che sono liberi e i barbari
che sono sudditi. I Persiani nelle Storie più volte esprimono apprezzamenti per
gli Elleni in un procedimento analogo a quello di Eschilo nella tragedia
“Persiani”. Si immagini il compiacimento grondante di orgoglio di chi ascoltava
la lettura di simili passi.
LA CULTURA DEL TEMPO fùsis nòmos
Non è influenzato dalla sofistica e supera l’antinomia tra e proprio
nomoi
grazie alle conoscenze apprese lungo i viaggi: ogni popolo ha propri cioè
nòmoi
ogni popolo ha propri usi e costumi che ritiene i migliori, perciò imporre i
diversi ad altri è folle ed empio, né si può deridere e insultare le credenze
altrui. Ogni tradizione ha lo stesso valore di verità e ciò si raccorda con il
relativismo di cui Erodoto era portatore.
L’ARTE ERODOTEA
A livello formale l’opera si colloca nell’epos: la narrazione è non lineare, sono
inseriti episodi secondari per rafforzare l’argomento principale, sono in numero
maggiore le scene individuali rispetto a quelle di massa o corali.
La tradizione rapsodica è poi sottesa all’impianto generale e le Storie sono
destinate alla lettura pubblica, perciò le “nov