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L'Italia e il settore agro-alimentare

L'Italia è debole nella parte agricola, mentre è forte sulle esportazioni e in totale nell'industria alimentare delle bevande le esportazioni sono maggiori delle importazioni e considerando tutta la bilancia agro-alimentare italiana si ha un deficit però lieve di 44 miliardi di € di esportazioni contro 40 miliardi di € di importazioni. Un'altra cosa che caratterizza l'Italia sono i prodotti DOP e IGP: un prodotto viene considerato DOP se le materie prime e le trasformazioni sono fatte in una determinata zona secondo il disciplinare di produzione, mentre un prodotto è considerato IGP quando solo una fase viene fatta in un determinato territorio (speck Alto Adige è IGP perché non ci sono allevamenti maiali ma la trasformazione viene fatta lì). Il DOP è più restrittivo perché è un prodotto tradizionale con un processo produttivo storico legato alla gastronomia di una certa zona e area di.

produzione della materia prima; è circoscritto perché ad esempio il Parmigiano Reggiano è fatto con latte che proviene da allevamenti in determinate province con disciplinari di allevamento senza insalati (solo fieno o erba fresca) e deve essere trasformato con specifiche sempre nelle stesse zone. Nel caso invece dell'IGP le materie prime provengono da una certa zona oppure il processo di trasformazione avviene in una determinata zona (bresaola Valtellina), quindi è molto più blando. In ogni caso, l'Italia possiede tantissime indicazioni geografiche per alimenti e vini perché la tradizione gastronomica italiana è molto diversificata tra le regioni e questo permette di realizzare prodotti molto diversi e variegati e questa varietà ha dato origine a tanti prodotti DOP e IGP che hanno un enorme vantaggio: se si fa un prodotto DOP o IGP solo i prodotti che escono dal consorzio possono chiamarsi con quel nome, quindi

c'è una tutela sul nome; queste norme di tutela valgono solo per l'UE o in paesi per cui c'è un accordo bilaterale (Canada) e ad esempio negli USA c'è il prodotto Parmeasan in quanto la legge europea non si estende (problema Italia sounding). Il grosso vantaggio è che si dà trasparenza al mercato e tutto ciò che non rispetta il disciplinare e i canoni produttivi non può essere commercializzato con quel nome, altrimenti si hanno problemi penali. Si eliminano tutti i prodotti che non rispettano i canoni qualitativi e portano a una concorrenza sleale; inoltre, il consumatore si fida ed è disposto a pagare di più, quindi i prezzi possono essere più alti. La stessa cosa vale per i vini DOCC, DOC e IGT e vino da tavola; per le nuove denominazioni si adotta la normativa DOP e IGP. Si può mantenere la vecchia denominazione ma bisogna usare quella nuova per le nuove produzioni. I prodotti STG vanno

aproteggere il metodo di produzione ma esistono pochi prodotti. Ci sono grandi denominazioni dove ilfatturato è consistenze e piccole denominazioni come il pistacchio di Bronte e la cipolla di Tropea che a livellolocale hanno un’importanza considerevole. Anche in Francia si hanno formaggi e vini con denominazioniprotette e in Spagna, ma l’Italia possiede il maggior numero. La Germania non ha una diversificazionealimentare, quindi si hanno DOP e IGP per la birra; nel caso del Regno Unito si hanno per l’acqua minerale.

Nella tabella è rappresentata lastruttura produttiva dell’industriaalimentare europea: si tratta di datistrutturali del 2011 e riguardano ilnumero imprese, la ripartizione perclassi dimensionali e il numero dioccupai che sono valori che noncambiano molto nel tempo. Lemicroimprese sono quelle conmeno di 10 addetti (panificazione), poi si hanno le piccole imprese con 10-49 addetti che poi sonoulteriormente suddivise in due fasce, poi le

Le medie imprese sono quelle che hanno da 50 a 250 addetti.

Le grandi imprese sono quelle con più di 250 addetti.

Le SMEs (small medium size enterprise) sono tutte le imprese fino a 250 addetti, quindi non comprendono quelle grandi.

In Europa, le SMEs rappresentano il 52% del fatturato, mentre il 48% restante è delle grandi imprese. Quindi, il fatturato si divide in due, anche se attualmente le grandi imprese sono cresciute di più.

In termini di occupazione, il 64% degli occupati è dovuto alle piccole-medie imprese (ora 61%), perché le grandi imprese possono puntare sull'automazione dei processi e quindi su tecnologie labor-saving che permettono di risparmiare il fattore lavoro aumentando il fattore capitale (impianti, attrezzature, linee distributive automatizzate) grazie all'elevato grado di meccanizzazione e di automazione. Nelle piccole imprese, invece, si ha un processo artigianale labor-intensive che richiede più lavoro, manualità e artigianalità.

Nelle piccole imprese c'è più lavoro rispetto alle grandi imprese; più si va a livello dimensionale inferiore, più si trova un alto livello di occupazione, con il 17% di occupazione nelle microimprese e il 26% nelle medie imprese. Considerando il numero di imprese, è chiaro che il 79% sono microimprese, il 10% sono piccole imprese e quindi il 99% in termini di numerosità sono piccole-medie. Riassumendo, in termini di fatturato le piccole imprese rappresentano il 50%, in termini di occupazione il 60% e in termini di numerosità il 99%. A livello italiano, ISTAT effettua censimenti che distinguono tra food industry e beverage, quindi tra settore alimentare e bevande. I censimenti vengono fatti ogni 10 anni in Italia per la popolazione, l'agricoltura, l'industria e il commercio. Questi dati sono affidabili perché si ottengono informazioni sulle caratteristiche delle imprese e vengono poi restituiti ogni 10 anni, quindi quelli disponibili sono ancora del 2011. Si nota che

Nel censimento del 2011 sono maggiori quelle dell'industria alimentare con 55000 imprese e 3000 imprese nell'industria delle bevande, quindi quasi 60mila imprese. Si ha distribuzione imprese per classi di addetti con micro, piccole, medie e grandi; nell'industria alimentare in termini di numerosità, le microimprese sono le maggiori (87%) e 11% piccole imprese. A fronte di un elevato fatturato, addetti non sono elevati perché c'è di mezzo automazione. L'occupazione è legata alla dimensione dell'impresa: in Italia c'è una grandissima frammentazione e le piccole imprese raccolgono grande parte dell'occupazione con il 28% e le microimprese con il 38% per cui sommandole si arriva al 66% dell'occupazione che si localizza in micro e piccole imprese; poi si ha il 18% delle medie imprese e il 16% delle grandi. Nel caso delle bevande invece il grosso dell'occupazione si ha nelle grandi imprese con il 31%,

mentre nelle piccole imprese si ha il 17% dell'occupazione. L'industria alimentare è molto frammentata ma le piccole e le microimprese rappresentano una parte rilevante degli occupati. I censimenti vengono fatti ogni 10 anni (ultimo 2011) e questi dati sono quelli più attendibili (da ISTAT); un censimento è una rilevazione a tappeto dell'industria e del commercio. Nell'industria alimentare ci sono 55mila imprese, altre 3mila sono delle bevande, quindi in totale si hanno 58mila. La cosa più interessante è guardare la distribuzione degli addetti per micro, piccole, medie e grandi imprese per queste classi dimensionali: le piccole imprese hanno numerosità molto elevate. Gli addetti sono una variabile approssimata delle dimensioni delle imprese, quando non si ha a disposizione il fatturato sono una variabile dimensionale; si ha una grande differenza tra imprese artigianali (labour intensive) e grandi imprese (labor saving) in quanto.nelle piccole imprese si raggiunge il 29%. Anche in questo settore si ha una struttura frammentata, ma con una maggiore presenza di imprese di dimensioni medie, che rappresentano il 36% dell'occupazione. Le grandi imprese, invece, coprono il 18% dell'occupazione nel settore delle bevande. In sintesi, in Italia si osserva una struttura bipolare nel settore alimentare, con una prevalenza di micro e piccole imprese e una presenza contenuta ma significativa di grandi imprese. Nel settore delle bevande, invece, si ha una maggiore presenza di imprese di dimensioni medie.

Le piccole imprese rappresentano il 30% e le grandi imprese il 31% dell'occupazione nel settore delle bevande. Quindi, un terzo dell'occupazione nel caso delle bevande è dovuto alle grandi imprese, che hanno un peso molto maggiore rispetto all'industria alimentare, la quale è più frammentata rispetto alle bevande.

La tabella rappresenta i settori in cui si hanno le imprese di minore dimensione. Sono rappresentate le varie imprese e la percentuale sul totale dell'industria alimentare e sul totale dell'industria delle bevande. Si hanno poi il numero di imprese, la percentuale di addetti e la percentuale rispetto all'industria alimentare, oltre agli addetti per impresa che è un valore dimensionale.

La maggioranza di queste 55mila imprese si trova nella produzione di prodotti da forno e farinacei, rappresentando il 65% delle imprese. Poi si hanno altri settori dove si ha una numerosità consistente ma con valori inferiori. Togliendo la produzione di prodotti da forno, si riduce il numero di imprese fino a 20mila; gli altri settori...

sono altri prodotti alimentari come quelli latteo-caseari, oli e grassi. Andando a vedere l'occupazione nel sottosettore della panificazione si trova il 45% dell'occupazione; per quanto riguarda le bevande, si hanno circa 3 mila imprese e i sottosettori più importanti dal punto di vista della numerosità e dell'occupazione sono i produttori di vino per il 64% e poi la categoria della distillazione e della produzione di birra. I produttori di vino da uva sono quelli con le percentuali di occupazione più elevate. Guardando gli addetti per impresa, nel settore dei prodotti da forno si hanno tante imprese e il numero di addetti per impresa è 5, quindi in questo sottosettore le imprese sono molto piccole di carattere artigianale; nel settore latteo-caseario si hanno 13 addetti per impresa, nel caso della carne 16 addetti per impresa, nella frutta e ortaggi 13 addetti, quindi ci sono valori molto più alti in altri sottosettori. Nel caso dell'industria.nel settore alimentare si hanno mediamente 7 addetti, mentre nelle bevande si hanno 12 addetti per impresa e quindi le dimensioni medie sono più grandi.
Dettagli
A.A. 2020-2021
64 pagine
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SSD Scienze agrarie e veterinarie AGR/01 Economia ed estimo rurale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher alessia.perego di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Economia e gestione dell’innovazione nell'industria alimentare e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Banterle Alessandro.