Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Il tema della vita inserito nelle logiche della politica non è una cosa nuova. Gia con
Aristotele la vita umana era un presupposto naturale della politica. Bisognava
innanzitutto sopravvivere (vincere la fame, la sete e il freddo) per poi passare alla
vita buona, la quale però oggi pare essere minacciata dagli strumenti che noi stessi
abbiamo elaborato per vincere la natura e assicurare la nostra sopravvivenza.
Una "politica della vita" possiamo trovarla anche in Hobbes, il quale, come è noto,
pensa la politica, al pari delle altre scienze, come una sorta di tecnica per la
sopravvivenza e per il benessere individuale. Tuttavia non siamo ancora alla
biopolitica nel senso che si diceva sopra. L’uomo di Hobbes è ancora soprattutto
homo faber, l’uomo dotato di quella forza creatrice, per Hobbes più importante della
libertà, che ha il potere di costruire ponti, orologi e tutto ciò che è artificiale;
soprattutto è un corpo tra i corpi che è in grado di creare corpi artificiali, il più
importante dei quali è appunto il “corpo politico”, ossia lo stato, il “Dio mortale”. Il
potere dello stato è pressoché assoluto sui “corpi”, ossia sugli individui, ma non è
ancora il biopotere che si delinea oggi.
A partire dal XIX secolo incomincia ad affermarsi la pretesa di spiegare il
funzionamento della politica, la vita delle comunità umane, nonché la loro storia
sulla base delle leggi della vita cellulare e della vita biologica più elementare, ma
solo negli ultimi due decenni che la biopolitica sembra aver dispiegato il suo
carattere inquietante.
la teoria dei sistemi sociali di Luhmann, è, da questo punto di vista, assai indicativa.
La società moderna, secondo egli, si sarebbe differenziata e continuerebbe a
differenziarsi in una miriade di sistemi funzionanti in modo autoreferenziale, “chiusi”
rispetto al loro “ambiente”, del quale vedono soltanto ciò che il loro specifico codice
consente di vedere. Così la religione guarda e si costruisce il suo mondo secondo
un codice religioso (trascendenza/immanenza), la scienza secondo un codice
scientifico (vero/falso), l’arte secondo un codice artistico (bello/brutto), la politica
secondo un codice politico (potere/impotenza).Cosi anche l'uomo è semplicemente
un altro “sistema”, un “sistema psichico”, come lo chiama Luhmann, anch’esso
autoreferenziale, e quindi “chiuso” rispetto al suo “ambiente”, così come i “sistemi”
che sono nel suo ambiente sono “chiusi” rispetto a lui. Tanto è vero che Luhmann
può affermare che “l’uomo non è più il metro di misura della società”.
Il bios umano ha un valore intrinseco, pre-politico. Basti pensare alla nascita, alla
casualità naturale con quale ciò avviene. Secondo Hannah Arendt la nascita è la
condizione massima della nostra libertà, ed inibire la spontaneità naturale
assoggettandolo al nostro potere, cosa che la bioetica fa ben volentieri, equivale a
inibire la nostra libertà.
5) argomentare la differenza tra il modello d'integrazione multiculturale
(inglese) e quello assimilazionista (francese)
I modelli di integrazione sono costrutti teorici elaborati con lo scopo di gestire le
problematiche di integrazione dei migranti nella società d'accoglienza.
Il modello dell'assimilazione
In questo modello la priorità consiste nell'adattamento alla cultura della società
ospitante. I migranti debbono quindi conformarsi quanto più possibile ad essa,
mettendo in atto processi di desocializzazione, di cancellazione delle culture
d'origine e di risocializzazione rispetto ai costumi e alle norme di quella d'arrivo.
Il modello pluralista
In questo modello la diversità viene ammessa e tollerata, tanto da concepire la
coesistenza di più culture all'interno di una medesima società. Nel contempo, però,
vengono attivati processi di inclusione progressiva dei diversi gruppi etnici, che
peraltro possono conservare i propri mores e i propri costumi, a condizione che non
contraddicano o compromettano i valori generali che tengano unita l'intera società.
Il modello dello scambio culturale.
In questo modello la diversità non solo è ammessa, ma è riconosciuta come
positiva. Le diverse culture si incontrano arricchendosi vicendevolmente,
rimanendo tra loro diverse, ma anche trasformandosi tramite processi di scambio.
Il modello di fusione o melting pot
Il modello di fusione si basa sulla metafora della società come una pentola in cui si
mescolano le varie comunità presenti (melting pot). Il risultato è quello di dar vita ad
una società omogenea, frutto della fusione di tutte le culture che in essa
coesistono. Il rischio principale è quello di ridurre la società a una somma di
comunità incapaci di entrare in contatto tra loro e confrontarsi.
La Francia rappresenta l'esperienza paradigmatica del modello assimilazionista,
fondato sull'idea di uno stato laico che garantisca l'uguaglianza di tutti i cittadini di
fronte alla legge, non riconoscendo diritti e trattamenti particolari alle minoranze
etniche. I migranti sono tenuti a conformarsi completamente alla cultura e alla
società francese. Viene così esclusa dalla vita pubblica ogni espressione della
differenza. Esistono degli evidenti limiti a questo modello. Innanzitutto, le politiche
d'integrazione non dovrebbero considerare l'appartenenza etnica e il retroterra
culturale degli individui e dei gruppi. Tuttavia, nei fatti, l'elemento etnico e culturale
prevalente in una data realtà è essenziale per permettere la concretizzazione di tali
politiche. Inoltre, in molti casi l'integrazione socio-professionale dei migranti appare
particolarmente difficoltosa, nonostante l'avvenuta assimilazione culturale: i giovani
di discendenza extraeuropea sono frequentemente vittima di discriminazione e
pregiudizio, di difficoltà di inserimento lavorativo e di condizioni abitative disagiate.
L'emergere di conflitti etnici mette quindi in discussione il principio secondo cui la
cittadinanza politica e l'uguaglianza di fronte alla legge siano sufficienti a garantire
l'integrazione socio-culturale dei migranti nella società francese. Infine, la crescente
ostilità da parte dell'opinione pubblica francese nei confronti degli stranieri ha
permesso la formazione di uno dei partiti xenofobi più forti dell'intero panorama
politico europeo. Appare evidente allora la necessità di rivedere il modello
.
assimilazionista alla luce di queste considerazioni
Gran Bretagna
Il modello d'incorporazione caratteristico della Gran Bretagna affonda le sue radici
nell'esperienza coloniale del Commonwealth. Esso contempla, accanto al principio
di pari opportunità, anche il riconoscimento della diversità culturale e può essere
definito come un approccio multiculturalista. La legislazione che si è sviluppata a
partire dal secondo dopoguerra, infatti, ha preso in riferimento il modello nord-
americano, enfatizzando i temi dei diritti civili e della partecipazione al mercato del
lavoro, ponendosi come principale obiettivo la lotta contro la discriminazione su
base etnica e razziale. Nonostante questo, quest'ultima non è sparita e la difficoltà
di convivenza tra culture ed etnie diverse è spesso degenerata in conflitti urbani
particolarmente violenti. Proprio in base a questi elementi di riflessione, in tempi
recenti, la discussione sul modello multiculturalista inglese è ritornata di grande
rilevanza
Italia
Il modello d'integrazione italiano è ancora oggi in via di costruzione. I Paesi
mediterranei infatti hanno raggiunto molto lentamente la consapevolezza del loro
nuovo ruolo nel sistema migratorio internazionale e dell’esistenza di un fabbisogno
di manodopera di importazione. In Italia, un ritardo di comprensione di questo tipo,
ha rallentato l’elaborazione di un modello di politica migratoria.
La prima normativa organica in materia è stata elaborata nel 1998(Legge Turco-
Napolitano) ispirato dalla visione dell’immigrazione come elemento ormai
strutturale della società contemporanea. Essa riconosce la presenza, accanto ai
fattori espulsivi, di fattori attrattivi che hanno a che fare con il fabbisogno di
manodopera di importazione da parte dell’economia italiana, prevedendo un
preciso meccanismo di determinazione annuale di quote di ingressi per “motivi di
lavoro” e istituendo per la prima volta in Italia centri di permanenza temporanea per
gli stranieri sottoposti a provvedimenti di espulsione. Questo modello ha ricevuto
giudizi per lo più positivi da parte degli esperti in virtù dell’apertura sui diritti sociali.
Per contro, e ciò ne costituisce un limite fondamentale, essa manca di qualsiasi
apertura sui diritti politici (es., diritto di voto alle amministrative, prima previsto poi
stralciato per consentire l’approvazione in Parlamento). Uno degli aspetti negativi
più rilevanti della normativa riguarda la sua concreta attuazione, che viene
sistematicamente ostacolata dall'inefficienza della burocrazia italiana, da
un’inadeguata informazione degli attori istituzionali chiamata ad applicarla e da
un'eccessiva discrezionalità amministrativa e diversificazione territoriale nella sua
applicazione.
La legge successiva, la Legge Bossi-Fini del 2002, introduce integrazioni e
modifiche. Essa non semplifica la precedente architettura istituzionale, ma rivede in
senso più restrittivo l’ingresso e la permanenza in Italia per motivi di lavoro. Questa
legge genera preoccupazione per l’accesso alle procedure di asilo, per la
detenzione dei richiedenti asilo in violazione degli standard previsti dalla normativa
internazionale e per la violazione del principio del non-refoulement (non
respingimento) che vieta di rimpatriare ed espellere forzatamente i richiedenti asilo
verso Paesi in cui potrebbero essere a rischio di gravi abusi dei diritti umani . In
conclusione, il modello italiano di inclusione presenta alcuni aspetti di peculiarità
giuridica rispetto ai modelli di altri Paesi europei e la normativa, ma rimane in via di
definizione.
6) in che senso il dialogo tra i diversi è ben esplicito dalla metafora linguistica
della traduzione?
La forza di una cultura, e quella nostra, occidentale, forse è l'unica ad esser in
grado di possederla, sta nella capacità di relazionarsi continuamente con ciò che è
"altro", senza perdere la consapevolezza della propria identità