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Una compiuta regolamentazione di tali forme di composizione della lite alternative al ricorso al
giudice è contenuta nel Regolamento di risoluzione delle dispute (che costituisce parte integrante
Il sistema di risoluzione delle controversie, però, dev’ essere oggi
delle regole di naming italiane).
interpretato anche in relazione alle nuove regole introdotte dal d. lgs. 28/2010 (il quale ha operato
una profonda riforma del processo civile introducendo forme di mediazione sia in materia civile che
commerciale): alla luce di tale intervento legislativo, quindi, occorre contemplare, anche per le
nomi a dominio, il ricorso all’ istituto della mediazione.
controversie in materia di assegnazione di
Problema: il soggetto leso dall’ indebito uso del nome a dominio può agire anche nei confronti del
fornitore dei servizi (provider o registrar)? In altre parole, si può ritenere sussistente in capo al
fornitore dei servizi telematici un dovere di controllo circa l’ assenza non solo in Italia, ma anche
all’ estero, di marchi o di nomi a dominio simili o identici a quello di cui si chiede la registrazione?
Secondo un primo orientamento, che pare trovare conforto nella recente regolamentazione della
responsabilità del provider contenuta nel d.lgs. 70/2003, non sarebbe configurabile un simile
obbligo di controllo; secondo un altro orientamento, più restrittivo, invece, potrebbe imputarsi la
responsabilità del danno al fornitore dei servizi. Ciò che è indubbio è che il provider può essere
ritenuto responsabile del danno quando abbia agito in mala fede o con dolo nella richiesta di
assegnazione.
Qual’ è la natura giuridica del nome a dominio?
Sicuramente il nome a dominio può essere qualificato come bene in senso giuridico secondo il
combinato disposto degli artt 810 (“Sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti”) e 814
(“Si considerano beni mobili le energie naturali che hanno valore economico”) cc: infatti, è
indubbio che esso possa costituire oggetto di diritti e che, normalmente, sia suscettibile di
valutazione economica.
In particolare, esso rientra nella categoria dei beni immateriali.
La regolamentazione dei nomi a dominio esclude che i privati possano vantare un diritto di
proprietà sugli stessi; la proprietà di tali beni, infatti, è detenuta esclusivamente dalle autorità di
governo del DNS (quindi, in Italia, dalla RA). In questo modo si tutela l’ interesse pubblico a
abusi nell’ uso di nomi a dominio perché si prevede la possibilità di sospendere o
reprimere
revocare l’ assegnazione del nome qualora la registrazione non risulti meritevole.
I domain names sono segni distintivi?
Prima dell’ entrata in vigore, nel 2005, del Codice della proprietà industriale (d. lgs. 30/2005), il
problema principiale in ordine ai nomi a dominio è stato quello di stabilire se andassero qualificati
semplicemente come meri indirizzi elettronici del sito ovvero piuttosto come veri e propri segni
distintivi.
La soluzione di tale problema aveva notevoli implicazioni pratiche: infatti, se si fosse qualificato il
mero indirizzo, non si sarebbe mai potuta ipotizzare l’ eventualità di un
domain name quale
conflitto coi classici segni distintivi (ditta, insegna, denominazione e ragione sociale, titolo, testata,
rubrica) e quindi applicare la relativa disciplina.
Una discutibile posizione al riguardo fu quella presa dai giudici tedeschi i quali riconobbero la
possibilità di un conflitto addirittura tra numeri di telefono e segni distintivi; in particolare, era
accaduto che un’ impresa di spurgo utilizzasse sui propri camion il segno “5555”, rappresentante il
il nome di un’ azienda produttrice di una
proprio numero di telefono, che si dava il caso fosse anche
colonia; i giudici di merito ritennero sussistente la lamentata lesione dell’ immagine per l’ azienda e
l’ impresa di espurgo a trasferire il numero di telefono all’ impresa di colonia
giunsero a condannare
oltre che al risarcimento del danno.
I giudici italiani hanno risolto invece la questione nel senso di ritenere possibile identificare i nomi
a dominio come segni distintivi, ma solo in presenza di alcune condizioni; in mancanza di queste,
essi vanno ritenuti meri segni identificativi del sito e quindi non sottoponibili alla disciplina della
concorrenza sleale prevista dagli artt 2598 e ss cc, in quanto incapaci di entrare in conflitto coi
classici segni distintivi.
Con l’ accoglimento di quest’ orientamento e con l’ introduzione,nel 2002, delle procedure di
rassegnazione, la problematica relativa ai domain names si è spostata: i fenomeni dei cybersquatting
e del typosquatting, oramai inibiti dalle nuove norme anti- accaparramento, hanno lasciato il posto
ad un altro fenomeno che ha lucrato tantissimo, e cioè a quello della registrazione di denominazioni
generiche (es: www.mare.com) le quali sicuramente non possono qualificarsi quali segni distintivi
ma solo come segni identificativi del sito. Tuttavia, questo sistema presenta anche un handicap dato
che non è possibile, in questi casi, invocare la disciplina della concorrenza sleale, non essendoci
alcun pericolo di confusione con altri segni; inoltre, nei confronti di tali denominazioni è inibita
solo la registrazione di un nome identico (es: www.mare.it) , non anche di nomi simili.
Dal 2005 poi, il Codice del consumo ha chiarito definitivamente che i nomi a dominio aziendali,
vanno equiparati ai segni distintivi. L’ art 22,
cioè utilizzati per fini commerciali co 1, cod. prop.
Ind infatti stabilisce che “è vietato adottare come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e
nome a dominio di un sito usato nell'attività economica o altro segno distintivo un segno uguale o
simile all'altrui marchio se, a causa dell'identità o dell'affinità tra l'attività di impresa dei titolari di
quei segni ed i prodotti o servizi per i quali il marchio è adottato, possa determinarsi un rischio di
che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni”.
confusione per il pubblico
Ricapitolando: quali azioni si possono esercitare in caso di violazione dei diritti sui segni
distintivi? dall’ art 16 delle regole
Innanzitutto, è possibile esperire la procedura di rassegnazione, disciplinata
di naming (in presenza di una delle tre condizioni).
NB: le regole di naming non possono essere invocate dal giudice ordinario per la risoluzione della
lite in quanto hanno natura negoziale.
Inoltre, è possibile adire l’ autorità giudiziaria ordinaria chiedendo l’ inibizione dell’ uso del segno,
ai sensi dell’ art 22 cod. prop. Ind., oltre che risarcimento del danno e, addirittura, la restituzione
dei profitti, ai sensi dell’ art 125 cod. prop. Ind. (co 1 “il risarcimento dovuto al danneggiato è
liquidato secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1226 e 1227 del codice civile, tenuto conto di
tutti gli aspetti pertinenti, quali le conseguenze economiche negative, compreso il mancato
guadagno, del titolare del diritto leso, i benefici realizzati dall'autore della violazione e, nei casi
appropriati, elementi diversi da quelli economici (= anche danno economico), come il danno morale
arrecato al titolare del diritto dalla violazione”; co 3 “in ogni caso il titolare del diritto leso può
chiedere la restituzione degli utili realizzati dall'autore della violazione, in alternativa al
risarcimento del lucro cessante o nella misura in cui essi eccedono tale risarcimento”).
Com’ è evidente si tratta di un grande sistema di tutela, maggiore anche di quello previsto per la
tutela della persona.
Com’ è incentrato il sistema di tutela dei segni distintivi in relazione ai domain names?
In origine, il conflitto tra segni distintivi era imperniato esclusivamente sul rischio di confusione tra
beni o servizi offerti identici o affini, rischio che si determina quando il pubblico è indotto a pensare
che i prodotti o servizi che vengono messi in commercio con un determinato segno provengano
dall’ impresa titolare del segno; si cercava evitare, quindi, un errore di provenienza.
In Internet, un pericolo di confusione si determina quando il navigatore attribuisce il contenuto del
sito, contraddistinto dal nome a dominio, al soggetto titolare del corrispondente segno distintivo (es:
la titolarità del sito www.guccia.it viene attribuita a Gucci).
ha reso necessario tutelare i marchi contro l’ uso di nomi a dominio
Tuttavia, la virtualità di Internet
uguali o simili anche a prescindere dalla confusione, cioè anche al di là di questa semplice ipotesi:
infatti, mentre nel mondo reale il segno distintivo inerisce all’ oggetto, nel mondo virtuale di
internet il nome a dominio compare separatamente dall’ oggetto cui inerisce; ne deriva che se la
tutela dei segni distintivi in Internet avesse riguardato soltanto l’ ipotesi della confusione o
confondibilità non si sarebbero potute fronteggiare altre situazioni, ugualmente meritevoli di tutela
Ferrari”:
(“caso il sito www.ferrari.it era stato registrato da un macellaio; in questo caso non è
possibile la confusione col marchio Ferrari).
una tutela cd “allargata” dei segni distintivi.
Si è sentita subito quindi la necessità di
Il sistema europeo ha cercato di apprestare una soluzione a tale problema emanando la Direttiva
CEE 104/1989 (prima direttiva sui marchi) recante “Riavvicinamento delle legislazioni degli Stati
membri in materia dei marchi d’ impresa” , attuata in Italia con d. lgs.480/1992.
Tale direttiva accorda protezione ai marchi rinomati quando vi sia alternativamente un
approfittamento o un pregiudizio, al di là del periodo confusorio; cioè introduce, per la prima volta,
art 5.2 della Direttiva stabiliva che “uno Stato membro può prevedere
una tutela allargata; infatti, l’
che il titolare abbia il diritto di vietare a terzi, salvo il proprio consenso, di usare, nel commercio, un
segno identico o simile al marchio d’ impresa per prodotti o servizi che non sono simili a quelli per
però l’ impresa godi della notorietà nello Stato membro e se l’ uso
cui è stato registrato, se
immotivato del segno consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla
notorietà del marchio d’ impresa o reca pregiudizio agli stessi”. Tale previsione è oggi confluita
nell’ art 22, co 2 cod. prop.ind. il quale sancisce che “il divieto di cui al comma 1 (= il divieto di
utilizzare segni distintivi identici o confondibili) si estende all'adozione come ditta, denominazione
o ragione sociale, insegna e nome a dominio di