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LAVORO
Ruolo obbligato dalla costituzione a partire dal momento dell'incontro tra domanda ed offerta di lavoro: momento delicato in questo periodo storico, caratterizzato da tassi di disoccupazione elevati. Il record negativo è stato raggiunto nel 2013/2014: 13%. A partire dal 2014 è calato, ma è ancora molto alto (10% oggi). Si tratta in realtà di un trend che ha riguardato tutte le varie fasce di età, ma la fascia che è stata meno beneficiata dalla ripresa della disoccupazione è la fascia di età più giovane (classe 15/24 anni). Negli anni orribili del lavoro il tasso di disoccupazione giovanile aveva sfiorato il tasso del 42% (molto più elevato nel Sud). Oggi è in media del 32%. Prima del 2007, anno di inizio della crisi economico-finanziaria, il livello di disoccupazione era molto più basso: non raggiungeva il 20%.
disoccupazione giovanile e quella generale assestava sotto il 6%. La crisi è stata l'elemento significativo che ha portato al raddoppio della disoccupazione, ma anche altri fattori hanno contribuito e contribuiscono tutt'ora → tendenziale carenza di lavoro, anche se la ripresa dell'occupazione negli ultimi due anni è data dal fatto che si inizia ad uscire dalla crisi anche in Italia.
La ripresa dell'occupazione è data dal contratto a tempo indeterminato (e in parte dal lavoro autonomo) crescono i lavoratori indipendenti, mentre continua il calo dei lavoratori subordinati a tempo indeterminato; la ripresa è trainata da contratti non standard: contratti a termine.
L'attivarsi dello stato nel mercato del lavoro aveva l'obiettivo di realizzare un insieme di politiche che fossero in grado di sostenere i lavoratori durante il periodo di disoccupazione, facilitandone il passaggio da un posto di lavoro all'altro (transizioni), a
flessibilità nel rapporto di lavoro in uscita: quando viene terminato il rapporto di lavoro si vuole rendere il rapporto più flessibile nel senso che il lavoratore ha la possibilità di trovare facilmente un nuovo impiego. Questo può avvenire attraverso misure di sostegno all'occupabilità, come ad esempio la formazione professionale, l'orientamento al lavoro, l'assistenza nella ricerca di un nuovo impiego, ecc. La flessibilità-sicurezza (flexicurity) è un concetto che si propone di conciliare la flessibilità del mercato del lavoro con la sicurezza dei lavoratori. Si tratta di un approccio che mira a garantire una maggiore flessibilità nelle modalità di assunzione e di licenziamento, ma al contempo a fornire ai lavoratori una maggiore sicurezza e protezione sociale. Nel contesto delle perdite di posti di lavoro, si cerca di favorire l'occupabilità delle persone colpite, offrendo loro strumenti e opportunità per reinserirsi nel mercato del lavoro. Questo può avvenire attraverso politiche attive del lavoro, come ad esempio la creazione di programmi di formazione e riqualificazione professionale, l'offerta di incentivi per l'assunzione di lavoratori disoccupati, la promozione dell'imprenditorialità, ecc. In sintesi, la flessibilità-sicurezza (flexicurity) si propone di conciliare la flessibilità del mercato del lavoro con la sicurezza dei lavoratori, al fine di favorire l'occupabilità delle persone e facilitare la loro riassunzione presso altri datori di lavoro.flessibilità in uscita = licenziamenti rivoluzione:licenziamenti” si va ad alleggerire le sanzioni circa il licenziamentoillegittimo;
3. flessibilità funzionale riguarda l’orario di lavoro, la mansione (possibilitàper il datore di lavoro di cambiare le mansioni, anche adibendo i lavoratoridipendenti a mansioni inferiori rispetto a quelle per cui sono state assunti).
La flessibilità si può coniugare in vari modi ma, accanto alle forme di flessibilità, createper favorire la creazione di posti di lavoro, è necessario introdurre anche il versantedella sicurezza (non tanto la sicurezza del posto di lavoro, ma nel mercato ci siemployabilitypropone di tutelare la favorendo i transiti tra un impiego e il suosuccessivo POLITICHE ATTIVE DEL LAVORO: misure per favorire l’ingresso o il re-ingresso attraverso vari servizi di varia natura.
C’è un secondo versante, oltre alla sicurezza nel mercato: le
politiche passive perl'occupazione del lavoro che devono essere garantite quando il lavoro si fa più flessibile misure economiche di sostegno al reddito che l'ordinamento deve garantire attraverso sussidi di varia natura (es: integrazioni salariali, indennità di disoccupazione, ecc.) politiche passive del lavoro che completano il modello. Serve una combinazione di politiche attive e passive del lavoro nell'UE "flexicurity" Libro Verde è la parola chiave per modernizzare il diritto del lavoro: (della Commissione UE in realtà questo modello era già praticato in molti paesi UE prima del 2006, in particolare nel Nord Europa). L'entusiasmo verso la è ancora presente in molte riforme che vengono attuate in tutti paesi UE, anche se inizia a calare l'entusiasmo verso questo tipo di legislazione si sollevano dubbi circa l'impatto di queste norme nella realtà.
è un’estrema difficoltà di esportare modelli nati in contesti economici sociali diversi in paesi che li adottano senza avere quelle premesse al loro interno. L’intervento dello stato nel mondo del lavoro per la tutela dell’interesse pubblico implica la massimizzazione dell’occupazione. Questo interesse trova fondamento nell’art. 4 Cost. Al primo comma si dice che la repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro. Ormai sono più di 60 anni che si discute sull’efficacia dell’art. 4, il quale ricorre nelle sentenze della Corte Costituzionale: anche chi cerca di leggere in quella norma anche ciò che è tra le righe si rende conto che il diritto al lavoro NON è un diritto soggettivo. Questo principio sancito all’art. 4 nella scrittura della Costituzione non rientrava nei diritti fondamentali, bensì risultava tra i diritti sanciti nel Titolo III, e solo successivamente si è
Ho pensato di inserirlo nei principi fondamentali norma di principio: diritto potenziale diritto che impegna lo stato a promuovere le condizioni che possano realizzare quel diritto l'attuazione dell'art. 4 passa attraverso una organizzazione del mercato del lavoro che sia efficiente, inclusiva: le politiche attive e passive devono essere improntate a questo principio.
L'art. 4 (seconda parte comma primo) da un lato sancisce l'obbligo dello stato di realizzare una serie di interventi, tra cui una struttura amministrativa che sia in grado di agevolare l'incontro tra domanda ed offerta di lavoro (punto dolente), dall'altro implica che vengano realizzati interventi che abbiano come obiettivo la promozione dell'occupabilità (es: interventi formativi, incentivi economici alle assunzioni - esistono per particolari categorie di lavoratori o zone territoriali del paese o per tutte le assunzioni a tempo determinato ultimamente) sconti contributivi.
per assumere giovani, disoccupati, ecc. politiche che introducono incentivi economici, soprattutto in termini di sconti contributivi il datore di lavoro non deve versare contributi fino ad una certa soglia, avendo un risparmio sul costo del lavoro: politiche attive). Nell'ambito dell'attuazione dell'art. 4 rientrano anche le norme che rendono obbligatoria l'assunzione di categorie deboli (es: lavoratori con disabilità) norme che prevedono regole speciali che rientrano negli interventi che lo stato è tenuto a realizzare per attuare l'art. 4 (il quale richiede allo stato una risposta molto articolata nei confronti del fenomeno della disoccupazione (es: sussidi, sostegno economico, ecc. ammortizzatori sociali) sotto questo profilo l'art. 4 incrocia un'altra disposizione: art. 38 Cost. (considera la disoccupazione involontaria un evento meritevole della tutela previdenziale). Percorso che il legislatore ha fatto con riguardo alle
modalità di incontro tra domanda e offerta di lavoro punto di arrivo d.l. 150/2015, attuativo del Jobs Act; punto di partenza la legge 264/1949. Oggi un datore di lavoro che ha necessità di assumere un lavoratore nel settore privato si può scegliere liberamente l'impiegato un tempo non era così: c'erano molti limiti. Per lungo tempo, dall'immediato dopo guerra fino agli anni '90, esisteva un sistema pubblico, un monopolio statale, del collocamento dei lavoratori. Alla disciplina di oggi si è arrivati molto gradualmente, attraverso un processo evolutivo che ha caratterizzato anche l'ordinamento internazionale (i limiti sono caduti perché erano caduti nella normativa internazionale). L'attività di collocamento è stata per molto tempo il perno centrale del mondo del lavoro, gestito da una pluralità di operatori pubblici e privati, tra cui le organizzazioni sindacali. È stata data.un’impronta pubblicistica nel periodo corporativo. Il collocamento era affidato in via esclusiva ai sindacati dell’epoca, che erano persone giuridiche di diritto pubblico. Una volta tramontato il regime corporativo, l’impronta pubblica venne conservata e venne fatta la Legge Fanfani (264/1949), che applicava per 50 anni disposizioni che vietavano il collocamento privato. Gli obiettivi che hanno portato alla scelta di un sistema pubblico di collocamento erano che si voleva evitare la prassi discriminatoria al momento dell’assunzione e che, soprattutto, si voleva realizzare una distribuzione del lavoro che fosse equa. L’obiettivo era anche quello di controllare il mercato del lavoro da più punti di vista. La legge del ’49 concepiva il collocamento come funzione pubblica, esercitata da uffici periferici del ministero del lavoro. Erano esclusi i lavoratori di professionalità più elevata (regime di quasi monopolio) e vi era la proibizione di esercitare la mediazione privata tra.domanda e offerta di lavoro con sanzioni penali per coloro che avessero esercitato questa mediazione anche a titolo gratuito. Si imponeva ai datori di lavoro di procedere alle assunzioni solo tramite una richiesta all'ufficio di collocamento territorialmente competente nelle liste e poi la compilazione delle graduatorie erano i passaggi fondamentali per la richiesta (richiesta numerica, non nominativa, salvo alcune eccezioni) tutto ciò era conforme all'ordinamento internazionale, ma l'impianto non ha mai funzionato in modo efficace a partire dagli anni '80 si prende atto della incapacità di questo sistema di trovare un canale efficace per l'incontro tra domanda e offerta. Questa inefficienza del sistema non venne superata neanche dopo la riforma del collocamento realizzata attraverso la.