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Origine e trasmissione dei cognomi

La prima, sviluppatasi dal XII secolo, si appropria del cognome, che, diversamente dai nostri tempi, derivava la sua origine terminologica al mestiere o alla caratteristica personale (la comicità, la tristezza, la felicità, la residenza...) dell'individuo, che, in questo modo, si distingueva da tutti i suoi omonimi. In seguito, dalla personalizzazione del soprannome è stato ragionevole l'approdo alla sua trasmissione di padre in figlio e, di conseguenza, a tutti i suoi discendenti. È concettualmente più simile all'attuale patrilinearità. La seconda, invece, che della trasmissione del cognome, consta nel ricorso al patronimico, vale a dire un specifico richiamo al nome del padre per individuare il figlio. In entrambi i casi, è evidente che si è stabilizzato un legame con il padre, previa soprannome o nome proprio, da cui deriva un esplicito e diretto rapporto di filiazione; attualmente, sono ancora presenti entrambe.

Le ipotesi, a seconda delle aree geografiche di riferimento: ad esempio, mentre nelle lingue è ancora radicata l'identificazione attraverso il patronimico, la Scandinavia e la tradizione italiana hanno preferito la prima soluzione.

Sempre riferendosi all'attenta lettura degli scritti di questo storico francese, è evidente che i primi nella storia italiana ad inventare i cognomi in senso lato, in altre parole i nomi di famiglia, sono stati i notai, perché, con il trascorrere del tempo, era diventato sempre più complicato ricostituire la catena dei rapporti parentali tra membri di uno stesso nucleo familiare o di diverse casate, al fine di evitare eventuali fraintendimenti circa l'assegnazione dell'eredità o circostanze simili; di conseguenza, questa stabilizzazione amministrativa è originata dalle cosiddette classi aristocratiche, le uniche porzioni della società ad essere interessate alla trasmissione della proprietà, del

patrimonio o, almeno, del prestigio sociale. I ceti contadini, e in parte anche quelli urbani artigianali, al contrario, per ben due secoli hanno dimostrato una forte resistenza all'uso del cognome, stabilito una volta per sempre per mantenere, potenzialmente all'infinito, il rapporto tra le generazioni, fino ad allora limitato alla sfera relazionale tra genitore e filiazione. Questo atteggiamento conservatorio è stato il risultato dell'assenza delle problematiche sopra riportate e, come conseguenza, è stato molto più sovrimposto sia l'uso del cognome nel senso contemporaneo del termine sia la sua ovvia patrilinearità. La trattazione del nome di famiglia dal punto di vista giuridico, così come l'evoluzione di molti altri istituti di diritto, senza dubbio, è strettamente legata alla storia ed alle consuetudini sociali, finora ricordate. Questi fenomeni, di conseguenza, sono a tal punto radicati nella tradizione.

regolata da una semplice consuetudine, che la loro vigenza nell'ordinamento consuetudine, senza che vi sia la necessità di un'apposita disciplina legislativa scritta; spesso, può accadere che il costume sociale o l'opinione comune o le in un'ottica leggi che ne regolano le materie simili cambino e si evolvano contraria alla disciplina consolidata, innestando un processo di riforma più rapido rispetto a quello di una consuetudine vera e propria. Le ambiguità che ne derivano sono riscontrabili soprattutto negli Stati Uniti d'America nel caso del cognome della moglie e in Italia nel caso della trasmissione del cognome ai figli. Nel caso degli Stati Uniti d'America, si era affermata una regola consuetudinaria, secondo cui la moglie ricorreva al cognome del marito in tutti i talmente radicato nell'ordinamento, che era documenti legali, principio vincolante per le eventuali decisioni giurisprudenziali in materia. Famoso, a questo proposito,

È stato il caso Forbush contro Wallace del 1971, in cui si trattava di una donna che era stata obbligata ad usare il cognome di suo marito per ottenere la patente di guida; il soggetto interessato, invece, riteneva di potersi firmare con il proprio cognome. I giudici ritennero che questa richiesta non potesse essere avanzata, in nome di una legge secondo cui sulla patente delle donne sposate doveva essere trascritto il cognome del marito.

A questo punto, la donna si appellò contro la presunta incostituzionalità di questa discriminazione, ma il suo ricorso fu respinto, avendo il tribunale dichiarato che la disposizione in oggetto aveva un fondamento nazionale consuetudinario. Secondariamente, l’adeguamento a questa regola razionale da parte di tutti gli uffici competenti era stato per anni e sarebbe continuato ad essere una convenienza amministrativa: nel caso in cui fosse stata modificata la formulazione della disciplina in proposito, ne sarebbe derivato uno

scompiglioorganizzativo senza paragoni. Già da molto tempo erano state sollevate insistenti obiezioni da parte dell'opinione pubblica e, in particolare, nell'Ottocento una certa L. Stone aveva cercato, in ogni modo, di opporsi; da quel momento, negli Stati Uniti d'America erano state fondate varie associazioni, allo scopo di consentire alla donna l'assegnazione del proprio cognome, anche dopo il matrimonio. A partire dalla seconda metà degli anni Settanta, finalmente si ottennero i primi risultati anche in via giurisprudenziale. Il 1975, ad esempio, fu l'anno del caso Dunn contro Palermo, in cui l'avvocatessa Palermo aveva deciso di ricorrere, nella sua attività professionale, al proprio cognome da nubile, anche dopo essersi sposata; comunicando all'anagrafe il suo cambio di residenza, quindi, impose che fosse trascritto il nome della famiglia d'origine. Per la prima volta, i giudici accolsero questa richiesta ed ammisero cheilcommon law effettivamente aveva creato questa consuetudine, che, tuttavia, ladonna aveva la facoltà di non rispettare.Nonostante questa innovativa modalità di orientamento giurisprudenziale, laprassi ed il costume sociale americano non sono state modificate in manieraradicale, in quanto tra il 90% o il 95% delle donne statunitensi è ancoraprevalente, se non esclusiva, l'abitudine di nominarsi con il cognome del marito,quasi ad indicare un simbolo di status sociale, prima ancora che disubordinazione.Prima della riforma del diritto di famiglia del 1975, anche nel caso italiano lamoglie assumeva il cognome del marito, capo della famiglia a tutti gli effetti (ex5ART.144 Codice Civile), nonostante la Costituzione prevedesse all'ART.3 ilprincipio di uguaglianza ed, in particolare, all'ART.29 l'eguaglianza giuridica emorale dei coniugi.Questa disposizione del Codice Civile, tuttavia, rimase efficace per oltreventicinque anni dall'entratavigore della Costituzione, finché, nel 1975, fu abrogata; da questa data, infatti, nell'ART.143 bis del Codice Civile è stato stabilito che "la moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze". Attualmente, non essendoci una norma scritta ad hoc, si potrebbe dedurre che, al momento della nascita, i genitori siano liberi di trasmettere al figlio legittimo l'uno o l'altro dei loro cognomi; questo settore del diritto di famiglia italiano, al contrario, è ancora regolato dalla consuetudine, che, secondo la giurisprudenza del Tribunale di Milano nel 2001 e della Corte di appello di Milano nel 2002, potrebbe essere modificata solo dai legislatori. La questione, inoltre, è stata posta indirettamente all'attenzione della Corte relativamente alle disposizioni dell'ordinamento civile, che non Costituzionale, prevedono questa facoltà per i genitori; asua volta, la Corte, senza considerare la riforma del diritto di famiglia del 1975, ha sempre ritenuto che si trattasse di una problematica riservata alla discrezionalità dei legislatori, cui spetterebbe l'eventuale disciplina delle modalità di procedura. Dal 1983 in poi, infatti, sono stati presentati diversi progetti di legge, il più recente dei quali risale all'ultima legislatura, quando è stato ipotizzato un progetto normativo, in cui si delegava ai genitori la scelta di comune accordo circa il cognome da trasmettere ai figli, lasciando loro la libertà di stabilire se debba essere quello del padre, quello della madre o quello di entrambi. Se questa regola attualmente solo consuetudinaria fosse stabilita per legge, tuttavia, difficilmente si sottrarrebbe ad un sindacato di costituzionalità, riguardo al contrasto con i rispettivi ART.3 Cost. e ART.29 Cost.; per non sconvolgere il sistema, quindi, al legislatore conviene non intervenire.nonostante la legislazione sull'ordinamento di stato civile (finora dettata dal decreto del 1939) sia stata delegificata dalla legge del 1997, che ne ha revisionato la disciplina in uno specifico regolamento (intervenuto nel novembre del 2000 ed entrato in vigore nel marzo del 2001). Anche in questo caso, infatti, il problema della trasmissione del cognome ai figli legittimi non è affrontato; al contrario, è analizzata la questione dell'attribuzione del cognome al figlio legittimato, che alla nascita assumerà il cognome del padre, ma, una volta raggiunta la maggiore età, potrà decidere se mantenerlo o aggiungerlo a quello della madre. Secondariamente, agli ARTT.84 e seguenti, circa la richiesta del cambio del cognome, soprattutto se sia ridicolo, è stata ipotizzata una complessa procedura, che si svolge in sede amministrativa presso il Prefetto competente ed il Ministro degli Interni. Analizzando ora il caso della Francia, sempre a proposito.

Della trasmissione del cognome al figlio legittimo, nel 1985, era stabilito che chiunque fosse maggiorenne potesse aggiungere al proprio cognome quello del genitore che non glielo aveva assegnato. Questa legge è stata ancora modificata nel 2002, conferendo ai genitori la scelta di attribuire al figlio il nome del padre, della madre o quello di entrambi; in assenza di dichiarazione congiunta, il figlio acquisterà il cognome del padre.

L'ordinamento della Repubblica Federale di Germania, invece, già nel 1976 aveva stabilito che i coniugi, al momento del matrimonio, potessero indicare come nome coniugale (e, quindi, come nome di famiglia) quello del marito o quello della moglie e che lo stesso fosse poi dato ai figli; nell'eventualità in cui nulla fosse disposto, il cognome di famiglia sarebbe rimasto quello del padre.

Quest'ultima clausola residuale è stata modificata nel 1991, in quanto considerata incostituzionale dal tribunale costituzionale.

Dettagli
Publisher
A.A. 2005-2006
10 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/02 Diritto privato comparato

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher L.Agliassa di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto privato comparato e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Palici Di Suini Elisabetta.