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REGOLE DI FUNZIONAMENTO TRA I DIVERSI ENTI
Nell’ordinamento italiano oggi la PA è formata da enti statali (Presidenza del
Consiglio), regionali (Regioni ed enti strumentali), provinciali (Consiglio
provinciale), comunali e città metropolitane.
Esistono regole per il funzionamento dei rapporti tra questi enti e regole
all’interno degli enti per la garanzia dell’esercizio unitario dell’attività. Alcune di
queste regole sono scritte nella Costituzione, la quale prevede il principio
autonomistico (art. 114), il principio di sussidiarietà. Art. 118: le funzioni
amministrative fanno innanzitutto capo ai Comuni, enti più vicini alla
collettività. Il principio di sussidiarietà supera il principio del parallelismo
secondo cui ciascun ente esercitava funzioni amministrative in base alle
funzioni legislative attribuite a quell’ente. La potestà regolamentare è la
creazione della normativa secondaria: se un ente esercita potestà
amministrativa è dotato della connessa potestà regolamentare (art. 117,6).
Il principio di sussidiarietà può essere inteso in due modi:
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1. in senso verticale: il principio di sussidiarietà è il principio in forza del
quale se un ente che sta più in basso è capace di fare qualcosa, l’ente
che sta più in alto deve lasciargli spazio per svolgere la funzione
amministrativa, sostenendone l’azione. Gli enti che stanno più in alto
possono intervenire solo in via sussidiaria, solo se l’ente più basso non
sia in grado o non voglia agire per conto proprio o ci sia la necessità di
garantire una disciplina uniforme. Il principio di sussidiarietà stabilisce
che le funzioni amministrative siano esercitate dall’ente più vicino ai
cittadini (Comune). Art. 120,2: il Governo può intervenire in caso di
violazione del diritto comunitario, della normativa internazionale o di
interessi come il diritto alla salute;
2. in senso orizzontale: la funzione amministrativa viene svolta dai privati
cittadini, in forma associata o volontaristica per la cura di interessi
pubblici, cioè il cittadino si sostituisce all’ente pubblico e il pubblico deve
intervenire con la sua azione laddove l’azione dei cittadini non riesca a
garantire la cura dell’interesse pubblico. È previsto nell’art. 118,4. Si
realizza nel settore del sociale, ambientale e dei beni culturali.
Il principio di differenziazione stabilisce che nell’attribuzione delle funzioni
occorre tener conto delle caratteristiche dell’ente in questione sotto i profili
della dimensione, del numero di abitanti e delle risorse.
Il principio di adeguatezza impone di tener conto nell’attribuzione della
funzione di mettere a disposizione funzioni adeguate rispetto agli obiettivi da
perseguire.
Le regole che valgono all’interno di ogni singola PA devono garantire che
l’azione sia unitaria, che non sia contraddittoria. La capacità di agire è
esercitata dagli organi della PA, che devono interagire tra loro.
L’organo è una persona fisica o un insieme di persone fisiche che agiscono per
conto dell’ente pubblico ponendo in essere atti produttivi di effetti all’interno
dell’ordinamento amministrativo. La sua particolarità sta nel fatto che i suoi atti
sono imputati direttamente all’ente pubblico, come se fossero stati posti in
essere da quell’ente. Esiste quindi una relazione di immedesimazione
organica o rapporto organico, che è diverso dalla rappresentanza, che è
un istituto di diritto civile all’interno del contratto di mandato: l’atto rimane del
rappresentante, solo i suoi effetti si ripercuotono sul rappresentato.
L’organo è un ufficio della PA. Gli uffici che non sono organi sono unità
organizzative la cui attività non si traduce in atti giuridici amministrativi. Gli
organi attivi hanno il compito di esprimere la volontà dell’ente, mentre gli
organi consultivi e di controllo svolgono funzioni ausiliarie. Gli organi
rappresentativi sono costituiti in tutto o in parte da persone elette dalla
collettività (Consiglio regionale, comunale), mentre gli organi non
rappresentativi sono costituiti da soggetti non eletti dalla comunità. Gli
organi esterni adottano atti produttivi di effetti al di fuori dell’organo, mentre
gli organi interni adottano atti produttivi di effetti interni (esempio:
commissione giudicatrice nelle gare d’appalto). Gli organi ordinari sono
istituiti in modo permanente, mentre gli organi straordinari sono costituiti
per svolgere determinati compiti in un periodo determinato. Gli organi
monocratici sono costituiti da una sola persona fisica (esempio: segretario
comunale), mentre gli organi collegiali sono costituiti da più persone fisiche
(esempio: Consiglio regionale).
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L’organo collegiale adotta atti giuridici, frutto della volontà dei soggetti che lo
compongono. Il diritto si occupa di disciplinare la formazione di questi atti. Gli
organi collegiali possono funzionare solo in determinati periodi di tempo, le
sedute, durante le quali i componenti sono riuniti. La convocazione è il primo
atto che è comunicato ai componenti del collegio da parte del presidente del
collegio. Deve contenere data, luogo e ordine del giorno, che è l’indicazione
delle materie trattate durante la seduta collegiale e sulle quali l’organo è
chiamato a deliberare validamente. È possibile assumere delibere su materie
non contenute nell’ordine del giorno purché tutti i consiglieri siano d’accordo.
Nella fase della riunione, occorre differenziare gli organi perfetti da quelli
imperfetti. Gli organi perfetti possono funzionare, deliberare solo con la
presenza di tutti i membri. Hanno dimensioni ridotte (esempio: commissioni di
gara negli appalti e commissioni di concorso). Hanno minimo 3 persone e
massimo 5 più i supplenti, se previsti, che subentrano ai membri effettivi in
caso di assenza di questi. Se non opera con il plenum dei suoi componenti,
l’operato è illegittimo. Gli organi imperfetti, invece, possono deliberare con la
presenza di una sola parte dei componenti, purché venga raggiunto il numero
legale, che è la presenza di un determinato numero di componenti (metà + 1).
Questo è il quorum strutturale, diverso dal quorum funzionale.
La discussione è diretta dal presidente del collegio e si discute sugli
argomenti posti all’ordine del giorno.
La votazione porta alla delibera dell’organo collegiale, i cui componenti
esprimono il loro voto (segreto o palese) sulla proposta di deliberazione, che è
approvata se ha ottenuto un numero di voti favorevoli pari o superiore al
quorum funzionale, che è richiesto affinché una proposta di deliberazione
possa ritenersi approvata. Può coincidere con la maggioranza semplice (la
metà + 1 dei presenti), con la maggioranza assoluta (metà + 1 degli aventi
diritto, di tutti i componenti) o con la maggioranza qualificata (una
determinata frazione prevista dalla legge per determinate deliberazioni che
richiedono un innalzamento delle soglie).
Se l’ente pubblico ha un solo organo, questo esercita tutte le facoltà, i poteri
spettanti all’ente sulla base del rapporto di immedesimazione organica. Se
all’interno di una PA ci sono molteplici organi, i loro rapporti possono ispirarsi a
due diversi modelli organizzativi:
1. modello gerarchico: è quello tradizionale, è quel modello in cui l’organo
sovraordinato è dotato di una serie di poteri esercitati nei confronti
dell’organo subordinato. Si ispira a questo modello il ricorso
gerarchico, che è un ricorso fatto contro un atto amministrativo non
definitivo da qualsiasi cittadino e presentato all’organo gerarchicamente
sovraordinato rispetto all’organo che ha adottato l’atto. Questo porta
all’annullamento dell’atto;
2. modello della equi ordinazione: gli organi sono tra di loro in posizione
paritaria. Nessuno di essi ha una posizione di supremazia sugli altri, ma ci
deve essere qualcuno che coordina, non essendoci un superiore
gerarchico: il coordinamento si realizza con l’affidamento di questo
compito a uno degli organi o con la creazione di un organo collegiale ad
hoc di cui fanno parte rappresentanti dei diversi organi. A quest’ultimo
modello si ispira la conferenza di servizi, prevista dalla legge 241/90,
che è una modalità organizzativa volta a semplificare il procedimento
amministrativo, la cui finalità è quella di riunire in un unico contesto
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l’esame di diversi interessi pubblici coinvolti in un dato procedimento
amministrativo.
In entrambi i modelli occorre assegnare le attribuzioni in base al criterio della
competenza, che ha funzione di limite in quanto definisce i poteri spettanti a
ciascuno degli organi. Se un organo eccede la sua competenza, l’atto è
illegittimo in quanto affetto dal vizio di incompetenza.
Il ricorso gerarchico è ammesso per motivi di legittimità (l’atto può essere
sindacato in caso di violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere,
deve essere adottato in conformità al diritto) e per motivi di merito
(opportunità dell’azione amministrativa, l’atto deve essere giusto) entro un
termine di 30-60 giorni dalla comunicazione dell’atto. Il soggetto può
contestarlo. È un ricorso interno alla PA. Può essere materialmente presentato
all’organo che ha adottato l’atto o all’organo gerarchicamente sovraordinato,
che dovrà trasferirlo all’altro. L’organo gerarchicamente sovraordinato può
respingere il ricorso (l’atto rimane salvo) e il privato può ricorrere davanti al
tribunale amministrativo regionale oppure può accoglierlo e annulla
l’atto, sostituendosi all’organo subordinato per sostituire l’atto, oppure se non
fa nulla, è inadempiente e per 90 giorni dalla data di presentazione si forma il
silenzio rigetto e il soggetto interessato può ricorrere al TAR impugnando
l’atto di rigetto formatosi per il silenzio della PA.
Il ricorso viene utilizzato contro le sanzioni disciplinari, per l’impugnazione degli
atti del questore davanti al prefetto. Non è particolarmente efficace perché
l’organo sovraordinato tende a confermare l’atto amministrativo dell’autorità
subordinata. È comunque ammesso il ricorso al TAR.
DISTRIBUZIONE DEI POTERI TRA I DIVERSI ORGANI
La distribuzione dei poteri tra i diversi organi avviene attraverso il criterio
della competenza, che è la sfera di poteri e facolt&