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Difesa ambientale e sviluppo sostenibile come fattori economici Pag. 1
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La conservazione della natura consiste nella sottrazione di lembi di territorio allo sfruttamento

diretto da parte dell’uomo ed ha radici lontane, già in epoca romana esistevano ed erano molto

diffusi i “boschi sacri”, il quale veniva considerato un rifugio di divinità e di forze misteriose, e in

tempi più recenti non era infrequente la caccia in maniera esclusiva, ed anche per scopi di

godimento culturale ed estetico.

In questa maniera nacquero parchi principeschi e reali e riserve venatorie, e non caso in Italia grazie

ad alcune riserve di caccia, sono nati i primi parchi nazionali, come nel caso del Gran Paradiso.

La filosofia della conservazione della natura nasce alla fine dell’ottocento, ad opera di uomini di

cultura e di naturalisti, il quale erano preoccupati dal costante aumento delle specie animali

minacciate di estinzione, e divennero i promotori della preservazioni di lembi di terra con la loro

natura intatta ed istituirono zone protette per raggiungere il loro scopo.

Nel 1872 negli Stati Uniti venne istituito il parco nazionale di Yellowstone con lo scopo di trarre

godimento e beneficio per le future generazioni.

Oggi gli scopi che ispirano i parchi nazionali e, in modo più o meno sfumato, sono classificati in tre

fondamentali finalità:

1) Finalità scientifiche e di conservazione: che servono per proteggere alcune specie di vegetali e

Ad esempio in Italia il camoscio d’Abruzzo e l’orso

animali che sono minacciati di estinzione.

bruno Marsicano per il Parco Nazionale D’Abruzzo, lo stambecco per il parco nazionale del

Gran Paradiso.

2) Finalità educative e ricreative: In questo modo i parchi offrono la possibilità di un riposo

spirituale e fisico, attraverso l’armonia e la quiete della natura facendo evadere le persone dagli

assillanti ritmi di vita imposti dalla società urbana e rappresentano anche importantissimo

strumento di educazione naturalistica.

3) Finalità economiche e turistiche: È molto diffusa la convinzione che i valori scientifici e morali

della biodiversità siano insufficienti per proteggere gli ultimi ambienti naturali della Terra. E per

sperare di promuovere politiche mondiali che siano in grado di garantire tale conservazione si

aggiunge la validità economica.

Ed il turismo rappresenta una forma di uso sostenibile, in quanto negli Stati Uniti, per esempio il

flusso dei visitatori di parchi nazionali ha superato ormai il miliardo di giornate di presenze

all’anno, con un enorme profitto che è superiore ai costi sostenuti per la gestione e la manutenzione

del parco.

Mentre nell’africa orientale ed australe che comprendono gli Stati del Sud Africa, Namibia,

Botswana, Tanzania e Kenya, il gettito delle entrate derivanti dal movimento turistico nei grandi

parchi nazionali risulta tra le prime voci dell’economia.

Ed infine anche in Europa attraverso una ottima e mirata gestione dei parchi è in grado di portare

enormi benefici a livello economico e turistico.

Per far conciliare le esigenze di utilizzazione con quelle della conservazione ai fini economici e

turistici, in un parco si realizzano aree a diverso indirizzo che vanno dalla protezione totale fino alle

aree attrezzate per il tempo libero e la ricreazione.

Dall’ istituzione del primo parco nel 1872, nel mondo sono stati istituiti riserve e parchi ovunque.

Negli Stati Uniti sono sorti una quarantina di parchi nazionali e per quanto riguarda le aree tutelate

ne sono 391, comprendo una superficie complessiva del 3.5 % del paese.

Per quanto riguarda l’Australia ci sono oltre 500 parchi nazionali e migliaia di aree naturali , il

al 5.4 % dell’ intero paese.

quale corrispondono

Nel mondo ci sono più di 4 milioni di kmq di aree protette nel mondo secondo le cifre stimate

dall’IUCN (The World Conservation Union).

Mentre in Italia grazie alla legge quadro n. 394 del 1991 ci siamo dotati di una legge sulle aree

protette che rappresenta un importantissimo traguardo, che è stato raggiunto dopo moltissimi

decenni di battaglie da parte degli ambientalisti. E ad oggi i parchi nazionali ne sono 25 che

corrispondono ad una superficie totale pari al 10% del territorio nazionale.

Ma nonostante queste significative cifre, c’è ancora molto da fare, soprattutto nei paesi in via di

sviluppo dove molto spesso mancano i fondi per effettuare una politica conservazionistica.

E molti problemi derivano dalle continue guerriglie locali e dal bracconaggio che ha distrutto intere

popolazioni animali, soprattutto nell’Africa australe e orientale (Sud Africa, Namibia, Botswana,

Tanzania e Kenya), e con il programma Community Conservation si mira a riconciliare lo sviluppo

sociale ed economico delle popolazioni con la tutela della biodiversità e dell’ecosistema, e questo

nuovo paradigma si basa sulla premessa che le popolazioni africane accettranno la salvaguardia del

loro territorio solo se alla natura verrà contribuito anche un valore economico, competendo con le

altre forme di territorio. Lo sviluppo sostenibile

Lo sviluppo sostenibile viene definito il nuovo paradigma, e del concetto di sviluppo sostenibile se

ne parla più spesso sia a livello divulgativo che scientifico.

Anche se non possiede un corpo teorico ben solido e non sono pochi a ritenere che lo sviluppo

sostenibile possa contribuire ad una svolta radicale nel modo di concepire la società e il suo

conciliando due obiettivi che all’ apparenza sono incompatibili e antitetici che sono lo

sviluppo,

sviluppo economico da una parte e la conservazione dall’altra.

Lo sviluppo sostenibile ho trovato la sua formola enunciazione attraverso le sistemazioni

concettuali condotte durante le periodiche conferenze organizzate dall’ONU riguardanti i problemi

dell’ambiente e dello sviluppo, ed anche all’interno del programma MAB (Man and Biosphere)

dell’UNESCO.

Nel 1972 a Stoccolma si affrontarono per la prima volta in sede internazionale i problemi

riguardanti le piogge acide e l’inquinamento, ma la conferenza non portò a risultati concreti e si

limitò a formulare auspici e raccomandazioni.

E per la prima volta il problema ecologico venne riconosciuto come un problema globale.

Fu la pubblicazione, avvenuta nel 1987, del documento Our Common Future elaborato dalla WCED

Mondiale sull’Ambiente e

(World Commission on Enviroment and Development), la Commissione

lo Sviluppo delle Nazioni Unite, meglio noto come “Rapporto Brundtland”, dal nome dell’ex primo

ministro norvegese Gro Harlem Brundtland che presiedeva la commissione.

Il rapporto Brundtland individua tre ostacoli per il conseguimento di uno sviluppo che sia

compatibile con la difesa dell’ambiente.

1) La quasi assoluta dipendenza dai combustibili fossili come fonte energetica delle attività umane,

il quale è responsabile delle piogge acide, l’effetto serra eil buco dell’ozono. E secondo la

commissione le alternative in grado di condurre alla sotenibilità non state perseguite a causa dei

forti interessi economici delle grandi imprese e dei governi che controllano gli

approvvigionamenti dei combustibili fossili.

L’esplosione demografica

2) dei paesi del terzo mondo che è incompatibile con le capacità

produttive dell’ecosistema. Ed uno dei punti salienti del rapporto Brundtland in quanto collega

in maniera esplicita i problemi sociali a quelli ecologici.

L’inadeguatezza del quadro istituzionale:

3) dove non esistono, infatti, enti o istituzioni

sovranazionali dotati di potere necessario ad imporre e coordinare a livello globale le scelte di

natura economica, ecologica e tecnologica per il perseguimento di uno sviluppo sostenibile.

“Summit della Terra” tenutosi a Rio de Janeiro vennero accolte le risultanze del lavoro

Nel 1992 nel

della UNCED (United Conference on Enviroment and Development) e vi anche l’approvazione

dell’ Agenda 21 da parte di tutti i paesi partecipanti, nel quale si dettavano le linee guida di sviluppo

a livello globale, nazionale e regionale per il XXI secolo.

Nella conferenza state adottate anche altre convenzione la “Dichiarazione di Rio”, che è la carta di

principi in materia di ambiente per tutti gli stati e la “Convenzione sul Clima”, volta a contestare

l’effetto serra, la “Convenzione sulla Biodiversità”, finalizzata a riconoscere l’importanza della

conservazione del patrimonio genetico rappresentato dalle specie selvatiche di piante ed animali.

Ed infine una “Dichiarazione sulle foreste”, che non si è potuta trasformare in convenzione per

l’ostracismo dei paesi in via di sviluppo in primis il Brasile, in quanto posseggono la maggior parte

delle foreste tropicali.

Nel 2002 a Johannesburg in Sud Africa a distanza di 10 anni dal summit di Rio de Janeiro si è

tenuto un vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile, ed è emerso con molta chiarezza che i

principali problemi ambientali derivano dal sottosviluppo ed hanno posto alcuni obbiettivi prioritari

e scadenze precise tra cui la lotta alla povertà, il rispetto dei diritti umani, la protezione della salute

e l’accesso all’acqua potabile, e tra i risultati concreti le presentazione o sottoscrizione di numerose

iniziative concrete come la partnership, cioè i progetti di cooperazione ambientale tra i paesi in via

di sviluppo e i paesi sviluppati.

I principi dello sviluppo sostenibile si basano principalmente su tre obiettivi che sono:

L’integrità dell’ecosistema : che viene intesa sia come realizzazione del principio etico della

1) salvaguardia degli ecosistemi, della diversità biologica e della tutela degli aspetti estetici e

culturali che definiscono la qualità ambientale, sia come corretta utilizzazione delle risorse

naturali rinnovabili, conservazione della capacità dell’ambiente di assicurare i processi biologici

da cui dipende la vita e di assorbire rifiuti e inquinamento.

L’efficienza dell’economia: Il principio impone un profondo ripensamento dei principi

2) “convenzionali” di produttività in base ai quali un sistema economico è tanto meglio

organizzato quanto più grande è il divario tra i costi ed i ricavi. L’efficienza, invece, è tanto più

alta quanto più ridotto è l’uso di risorse non rinnovabili e quanto più intenso è l’uso di risorse

rinnovabili.

L’equità sociale che si suddivide

3) a sua volta in due tipologie:

Equità all’interno della singola comunità (o tra le diverse comunità) in un determinato

- momento storico (equità intergenerazionale), intesa come uguale diritto di tutti i popoli della

Terra di partecipare allo sviluppo.

- Equità tra le generazioni (equità intergenerazionale), la quale per la prima v

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A.A. 2015-2016
4 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-GGR/01 Geografia

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher marcomorelli1990 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Geografia della Globalizzazione e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Macerata o del prof Rovati Paolo.