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Lingua e stile:
In omaggio alla tradizione della lirica corale, la lingua di Pindaro offre il consueto impasto
artificiale di dorico innestato sulla lingua epica. Lo stile è doppio: quello pubblico delle feste e
quello privato del committente. La complessità dello stile di Pindaro, che ha creato problemi per la
comprensione della sua poesia, è una specie di codice segreto fra il poeta e il destinatario.
Metrica e fortuna:
Quasi tutti i carmi di Pindaro sono in composizione triadica (strofa, antistrofa e epodo) e circa metà
sono in dattilo-epìtriti, il ritmo inaugurato da Stesicoro che permetteva di riprendere molti elementi
dal patrimonio epico. Pindaro è stato visto subito come un poeta sorpassato e in effetti lo era per
ragioni cronologiche, filologi ed esegeti alessandrini si appassionarono alla sua poesia per il grado
di difficoltà dello stile e la ricchezza di figure retoriche.
C. Bacchilide:
La vita:
Come rappresentante di uno stesso genere letterario, Bacchilide è diverso dai due poeti quasi
contemporanei: non fu certo un innovatore come Simonide, né grandioso come Pindaro; tuttavia
sembra distinguersi per eleganza e abilità descrittive. Bacchilide, nipote di Simonide, nacque, come
lo zio, a Iuli, nell’isola di Ceo, all’incirca quando nacque Pindaro, L’apprendistato poetico avvenne
presso lo zio, insieme a lui fu ospite dei signori siciliani in concorrenza con Pindaro.
Gli epinici:
Di Bacchilide possediamo quattordici epinici, egli pur mantenendo quali elementi costruttivi dei
singoli carmi l’occasione, il mito e la gnome, si dilunga con più continuità ed estensione nella
narrazione del mito e, nelle sezioni dedicate all’attualità, mantiene uno sguardo più attento alla
prestazione sportiva e alla celebrazione della festa; proprio questa è una delle sue caratteristiche più
tipiche. Due encomi famosi sono il terzo, dedicato al mito di Creso, ultimo re di Lidia salvato dal 28
suicidio da Apollo, e il quinto, che ha come protagonisti Eracle e Meleagro e prende spunto da una
gnome pessimistica “Nessuno fra gli uomini è del tutto felice”.
I ditirambi e i carmi conviviali:
Oltre agli epinici, Bacchilide compose anche ditirambi. Fra i canti sacri della letteratura arcaica,
questi sono quelli che danno più spazio al mito: “Gli antenoridi ovvero la richiesta di Elena”,
“Eracle”, “I giovani ovvero Teseo”, “Teseo”, “Io” e “Ida”. Anche Bacchilide, considerato
comunemente poeta solo corale, compose carmi monodici per il simposio. La forma così
distesamente conviviale di questi carmi, che in epoca alessandrina ebbero il nome di “carmi
d’amore”, ha fatto parlare la critica di “poetica anacreontica”.
La poetica:
Per quanto riguarda il rapporto economico con i suoi committenti non abbiamo notizie. Tra le sue
affermazioni metapoetiche considerava “infinite” le vie degli inni per celebrare le virtù degli uomini
o i pregi di una città e al contrario di Pindaro affermava “l’uno impara la tecnica dell’altro, in antico
come oggi”.
Lingue, stile, metrica e fortuna:
Bacchilide lascia trasparire una maggiore influenza della sua origine ionica, il suo stile è ricco e
ridondante. A questi tratti corrisponde un ordine delle parole molto più lineare di Pindaro, questo
fatto è certamente funzionale alla sua impostazione narrativa. Quanto al metro, in dattili-epìtriti
sono la grande maggioranza dei suoi componimenti. Difficile ritrovare tracce della sua influenza
sulla letteratura successiva.
D. Corinna:
La vita e le opere:
A proposito di Corinna la tradizione ci ha consegnato un’immagine di poetessa strettamente legata
alle storie locali beotiche. Nacque a Tanagra, Tebe o Tespi, leggende narrano che avrebbe sconfitto
cinque volte Pindaro. Testimonianze della Suda hanno fatto credere che Corinna avesse scritto
soltanto lirica monodica, successivamente si è pensato che le sue opere potessero essere cantate da
un coro. È un fatto, comunque, che la sua lirica è narrativa come quella di Stesicoro: è quindi
probabile che, come quella di Stesicoro, la sua fosse epica lirica e quindi poesia monodica. Il
frammento più celebre narra l’agone tra i due monti della Beozia: l’Elicona e il Citerone, a
prevalere è il Citerone, che la tradizione considerava perdente.
Lingua, stile, metrica e fortuna:
Corinna scrive in un dialetto letterario che del beotico locale conserva più di una caratteristica,
evidentemente funzionale ad una recitazione che in prima istanza doveva aver luogo di fronte a un
pubblico beotico. Lo stile è chiaro e conciso. Corinna fu valorizzata a partire dal II secolo a.C.
9. La filosofia:
I presocratici: 29
La filosofia, intesa come atteggiamento del pensiero che opera liberamente alla ricerca di una
conoscenza, costituisce una delle acquisizioni fondamentali che la cultura greca ha trasmesso alla
civiltà occidentale. Gli esordi della filosofia risalgono al VI secolo a.C., la prima fase della filosofia
fu scientifica e cosmologica, dedicata alla ricerca dell’“archè”, cioè un principio capace di unificare
e dare ragione degli innumerevoli aspetti del reale. La svolta fondamentale maturo con i sofisti e
con Socrate, per questo i filosofi greci del periodo precedente sono accomunati di una definizione
complessiva di “presocratici”. la filosofia dei presocratici non è ancora un’attività specializzata e
non si discosta del tutto dalle forme della sapienza tradizionale. La maggior parte di loro furono
filosofi-poeti, scrissero in esametri ciò documenta la loro scelta di collegarsi ad Omero ed Esiodo
per la forma e lo stile. Il sapere dei filosofi Greci ebbe sempre un carattere essenzialmente laico.
Pitagora e la filosofia occidentale:
Pitagora nacque a Samo, in Ionia, attorno al 580 a.C., in età adulta si stabilì a Crotone dove fondò la
sua scuola. Questa si configurava come una società segreta, gli adepti conducevano un’austera vita
comunitaria. I Pitagorici conquistarono il favore dell’aristocrazia locale, tanto che detennero per un
certo periodo il controllo della città di Crotone; ma una rivolta di tendenze popolari provocò una
violenta reazione contro la scuola e Pitagora su costretto all’esilio. I Pitagorici fondavano il loro
insegnamento sulla matematica (assegnando tuttavia ai numeri una valenza mistica e simbolica),
sull’astronomia, sulla geometria e sulla musica. I Pitagorici credevano nella “trasmigrazione delle
anime”, secondo cui, l’anima, di natura divina e immortale, si reincarnerebbe in organismi diversi,
in base al grado delle passioni da lui raggiunto.
Età Classica
Apogeo e crisi della polis:
Il secolo V a.C., un periodo breve ma denso di eventi e di figure, è considerato l’“età classica” della
civiltà greca; fu il secolo del trionfo della democrazia. Questo secolo fu un’epoca di “boom”
economico per Atene, in cui furono profuse molte ricchezze per rendere sempre più splendida la
città, soprattutto per impulso di Pericle che fu ricostruita l’Acropoli ed eretto il Partenone. Al tempo
stesso, il secolo V fu un’epoca di profondi conflitti che sfociarono nella “guerra del Peloponneso”,
che pose fine all’età d’oro della civiltà greca. Il dopoguerra fu confuso, l’intellettuale tende a
staccarsi dalla vita pratica e a cercare risposte sul piano spirituale. A livello popolare, il disagio è
mostrato dal diffondersi di culti orientali.
La letteratura della polis democratica:
La letteratura del secolo V a.C. fiorisce in stretto contatto con l’ambiente politico e culturale di
Atene, i valori elaborati dalla città democratica e i problemi destati dal nuovo sistema politico
trovano espressione in generi specifici. Anche la filosofia, da Socrate in avanti, divenne fenomeno
ateniese. I sofisti svilupparono tecniche specializzate fondate in primo luogo sull’arte della parola, i
loro insegnamenti formarono l’élite dirigente della città. Con sempre maggiore consapevolezza, nel
corso del V secolo maturò la cognizione che scrittura ed oralità costituiscono due sistemi
comunicativi differenti. Quello fondato sulla parola rimase vitale, contemporaneamente però la città
democratica sviluppava la necessità di trasmettere conoscenze tecniche mediante linguaggi
specifici. Così il libro si conquista via via uno spazio maggiore. Con il secolo IV a.C. tramonta 30
definitivamente la figura del poeta “sophòs”, interprete e mediatore di saggezza presso il suo
pubblico, e la poesia cessa di essere la forma più vitale con cui la cultura greca elabora i suoi valori.
1. Il teatro:
La novità dell’invenzione teatrale:
Il teatro tragico e comico, è l’espressione più caratteristica della cultura ateniese del V secolo, è
un’invenzione greca. Da certi punti di vista si colloca all’interno della tradizione poetica per l’uso
del trimetro giambico, ma soprattutto perché utilizza lo stesso materiale dell’epica, cioè il mito.
Tuttavia, rispetto all’epica si verifica una straordinaria novità: i personaggi si staccano dalla trama
per agire autonomamente e sono provvisti di una propria psicologia. L’epica è narrazione, il teatro è
azione: canto, danza e recitazione. Anche l’apparato scenico contribuisce a rendere il dramma un
evento fastoso. I limiti della tragedia però sono la necessità di ritagliare un solo momento del mito e
collocarlo in un tempo e in uno spazio rappresentabili. Gli eroi tragici mostravano il loro volto al
pubblico, insieme con le passioni, con il teatro è scoperta la profondità della mente e delle
emozioni.
Il significato culturale della tragedia:
Il fine della tragedia non era soltanto spettacolare; l’esperienza teatrale, infatti, diventa l’occasione
per una sorta di psicodramma collettivo, in cui è coinvolta tutta la città. Se è vero che la materia
della tragedia viene dal passato mitico; è anche vero che il mito diventa una metafora dell’universo
cittadino di Atene. Il teatro attico fu un fenomeno di massa. La tragedia costituì un modello
universale che si suole definire il “tragico” o “la visione tragica della vita”, in essa sono ricorrenti
tre elementi principali:
Il dolore: la tragedia mette sulla scena la sofferenza di un eroe (è stato detto che solo il
mondo greco, così laico e proiettato verso la vita poteva inventare la tragedia);
La scelta: è tipico dell’intreccio tragico mostrare l’eroe da