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Riassunto esame Analisi dei contesti formativi, prof. Versace, libro consigliato La didattica dell'implicito. Ciò che l'insegnante non sa, Perla Pag. 1 Riassunto esame Analisi dei contesti formativi, prof. Versace, libro consigliato La didattica dell'implicito. Ciò che l'insegnante non sa, Perla Pag. 2
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CAPITOLO II: ALLA RICERCA DELL’IMPLICITO.

A partire dagli anni ’80 si è iniziato ad ipotizzare che l’insegnante possa essere egli stesso

produttore di un proprio personale sapere d’aula, cominciando anche a mettere a fuoco che

permane una distanza incolmabile fra pratica rappresentata e pratica vissuta e per studiare il

sapere pratico occorre cambiare punto di osservazione. L’insegnante va emergendo dalle ricerche

in corso come variabile-chiave in termini di vera e propria conoscenza di una cultura

dell’insegnamento fertile cui la ricerca dal-di-dentro della pratica comincia a dar voce. Via via si

diffondeva l’idea di un insegante attivo nella ricerca costruttore competente di una cultura che

sapeva mettere a distanza. Tutti gli studi che indagano il senso pratico e le pratiche professionali,

offrono un contributo per la comprensione degli impliciti del sapere pratico. L’insegnamento

implica un contatto diretto con le dimensioni emozionali profonde del proprio sé e di quello

dell’allievo: l’agire insegnativo si presta ad essere molto spesso contenitore di affetti. La

riattivazione costituisce il nucleo di quel contratto paradossale e asimmetrico che si pattuisce fra

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insegnante e allievo all’inizio di un percorso formativo; ma non sempre l’allievo sottostà al suo

ruolo di subordinato temporaneo in attesa di emancipazione e la forza cogente della relazione

educativo-didattica è scritta nel con-senso non-detto che l’allievo da al suo maestro e che fonda la

possibilità di qualunque apprendimento. Facendo un altro passo avanti, la clinica costituisce il

primo tentativo moderno di fondare una scienza sul solo esercizio percettivo dello sguardo,

gettando così i presupposti discorsivi di una ricostruzione archeologica dei gesti educativi. Lo

sguardo clinico fa prendere coscienza dell’esistenza dell’implicito. (classificazione Morvan pg48).

Si può anche aggiungere che il sapere è insegnato diversamente anche in base del corpo che lo

incarna. L’insegnante e lo studente necessitano l’uno dell’altro per funzionare. Il frame resta quello

della cultura pedagogica e di un apprendere dell’esperienza che attraverso le regole

dell’intransitività, dell’oggettivazione, della referenzialità, avanza un tentativo di formalizzazione

degli impliciti emersi, denominandoli dimensioni pedagogiche trasversali e assumendoli come

categorie di analisi dell’esperienza formativa. Un secondo ambito di studi per la comprensione

degli impliciti dell’insegnamento è la nascita del framework delle teorie contestuali della

conoscenza che pongono in discussione l’asserzione cognitivista di un pensiero dell’insegnante

guidato da una razionalità appresa formalmente. L’apprendimento se è definito in senso lato come

processo di cambiamento, riguarda qualsiasi attività umana e non è affatto specifico della scuola;

riferito all’apprendimento informale dell’insegnante , potremmo dire che esso non è affatto

specifico di un contesto strutturato di formazione esplicita alle pratiche dell’insegnare. Osservando

gli insegnanti al lavoro, tali studi vanno evidenziando come l’azione magistrale sia guidata da un

ventaglio di variabili raramente rese oggetto di curricoli espliciti di formazione e ancora poco

considerate dalla ricerca: lavoro emozionale, motivazione all’insegnare. Straka è il primo che

definisce l’apprendimento informale accostando la definizione a quella di insegnamento formale e

non-formale e in rapporto all’intenzionalità del soggetto che apprende e i contesti entro cui il

soggetto apprende.

Eraut ne approfondisce i tratti costruendo un modello di analisi delle tre modalità informali

dell’imparare: l’apprendimento deliberativo, apprendimento reattivo e apprendimento implicito; è

una ricerca interessante in riferimento al tema della didattica dell’implicito perché esplorando le

potenzialità e l’efficacia dell’apprendimento informale come sviluppo di conoscenze e abilità sul

posto di lavoro, conferma la prospettiva del praticantato nella formazione del futuro insegante:

l’ipotesi è che il saper insegnare si impara sul campo.

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Altri studi, come quelli danesi, evidenziano che gli insegnanti costruiscono il loro sapere pratico

grazie alle frequenti interazioni con i loro colleghi, cimentandosi nella creazione personale dei

sussidi. Il sapere tacito è incorporato nell’esperienza e solo attraverso la messa in parola

dell’esperienza è possibile coglierlo ed eventualmente formalizzarlo. L’efficacia della ricerca degli

impliciti dell’insegnamento è in gran parte legata alla scelta dello stile di ricerca. Le fonti implicite

del sapere del pratico sono classificate in tòpoi organizzatori, che attengono alla cultura

organizzativa di scuola e tòpoi interni che comprendono le variabili strettamente dipendenti dalla

soggettività magistrale.

La comunicazione d’aula è il primo ambito di studio degli impliciti essendo al comunicazione di per

sé pervasa da un’irriducibile opacità, che è solo l’effetto dell’esistenza in ogni aula di una cultura

sotterranea capace di fare la differenza fra contesti. Spesso l’esperienza comunicativa di inseganti

e alunni si accompagna allo sgradevole vissuto di sentimenti negativi. Ogni istituzione ha per

sfondo la cultura di quella specifica istituzione che svolge un’importante, duplice funzione:

conservativa dei significati istituzionali stessi e integrativo-costruttiva dell’identità personali e

professionali dei singoli: identità personale e pratica istituzionale sono immaginari speculativi che

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ci riflettono a vicenda. Se molta parte dell’implicito del sapere del pratico ha nella cultura

istituzionale le sue radici, indagando quest’ultima si può forse riuscire a comprendere qualcosa in

più del primo. Della cultura istituzionale, oltre alle tre dimensioni fondamentali storica, comunitaria

e semantica, fanno parte anche le abitudini di organizzazione del lavoro d’aula, atti ripetuti che

strutturano un sapere d’azione che l’insegnante padroneggia senza eccessiva vigilanza di

riflessività: l’abitudine non va ripresa da zero, è in sé sempre la stessa, ma il modo in cui agiata

nel contesto classe, mutua a seconda della situazione e delle relazioni di quello specifico

contesto. A volte l’insieme delle abitudini struttura teorie-in-uso e sotto-culture specifiche: quella

degli insegnanti e quella degli allievi: si tratta di regole intrinseche nella pratica d’aula, laddove

vengono apprese per il tramite di un’adesione spontanea dell’allievo a quanto l’insegante fa o

desidera e non dice. Luogo elettivo di studio degli impliciti del sapere del pratico è senza dubbio il

gesto professionale: il costrutto di gesti viene introdotto per la prima volta in ambito clinico e

schiude l’attenzione della ricerca sulle potenzialità espressive della comunicazione corporea che

parla un suo specifico linguaggio capace di dire l’ineffabilità dell’essere. I gesti sono intenzionali,

spontanei e riescono ad esprimere l’implicito con una dimestichezza che alla parola manca. Ogni

gesto ha una sua propria grammatica, capace di dire la soggettività professionale. Con credenze

epistemologiche si intende ciò che il singolo soggetto crede in merito alla organizzazione della

conoscenza, alle fonti del sapere, al grado di verità delle informazioni, alle modalità di

acquisizione delle conoscenze; costrutti implicati in tutti gli eventi della vita ordinaria. I modelli di

sviluppo del pensiero possono essere raggruppati in livelli: pre-riflessivo ( la conoscenza è

concreta, data dalle credenze personali), quasi-riflessivo ( la conoscenza è contestuale e

soggettiva e filtrata da criteri di giudizio personali), riflessivo (la conoscenza viene costruita sulla

base di più fondi e la soluzione è valutata sulla base di ciò che è più ragionevole). Le

epistemologie ingenue sono casi individuali basati sull’esperienza personale, e non sono

immutabili. Si può parlare di miracolo della parola anche nella relazione tra insegante e allievo;

ma quando la parola viene meno o quando nello spazio comunicativo molte parole restano non

dette cosa accade? Le parole-non-dette hanno un senso e spesso parlano di malesseri

inesprimibili, di sofferenze che paiono superiori alle forze necessarie per tollerarle; è proprio il

dolore che sblocca le parole. E poi ci sono i silenzi ambivalenti che originano dalla difficoltà

dell’insegnante di disgiungere i livelli della relazione con gli allievi, associativo e affiliativo. Una

relazione educativo-didattica dovrebbe costruirsi sulla base di empatia, cooperazione e

solidarietà. Diventa cruciale a tal punto conoscere le strutture interattive informali che governano

le relazioni d’aula perché è all’interno di queste strutture che prendono corpo i non-detti delle

relazioni. Il posto occupato da ciascun allievo all’interno di queste strutture, influisce in modo

significativo sulla percezione di integrazione che egli ha rispetto alla relazione con l’insegnante e

con il gruppo-classe e sullo stesso andamento di socializzazione e apprendimento perché tocca le

dimensione dell’autostima. Moltissime parole di insegnanti restano non dette perché pochissime

sono le scuole che sono comunità di discorso. Nel sapere implicito del pratico, un’influenza

inconsapevole viene esercitata dalle memorie maturate nella storia di vita dell’insegante. A questo

ambito possiamo far risalire le memorie specificatamente scolastiche che costituiscono un genere

narrativo nuovo e quanto emerge dai testi commuove, angoscia, incanta. Ma oggetto di ricerca è

anche diventato il ruolo del corpo nello spazio classe: il corpo è lo specchio della mente,

l’espressione immediata dell’implicito. Dichiarare a parole quanto non viene detto o confermato

dai gesti, diventa un virus pericolosissimo in educazione: un insegante non intenzionale passa

anche attraverso una mancata coerenza fra parole e gesti. Il gesto è la prima forma di didattica

dell’implicito. I campioni affettivi di carica dell’implicito sono tre:

• IMPLICITI DELLE RELAZIONI INSEGNATE ALLIEVO azioni necessarie ad

orientare/spostare l’affettività dell’allievo dalla relazione con l’insegante ai saperi da

apprendere: amare il sapere affinché gli allievi percepiscano la coerenza tra il dire e il fare

del loro maestro;

• AMBIVALENZE DELL’INSEGNARE si annidano nei comportamenti di dedizione, cura;

• MOTIVAZIONI INCONSAPEVOLI ALLA SCELTA MAGISTRALE.

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Publisher
A.A. 2013-2014
9 pagine
5 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PED/03 Didattica e pedagogia speciale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher fefffy di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Analisi dei contesti formativi e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Messina o del prof Versace Alessandro.