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L’Antigone
Antigone non contrappone al decreto di Creonte la sua coscienza: una prima lettura della tragedia
contrapponeva Antigone, l’anima bella, la coscienza, alla legge ingiusta, ma questa chiave di
lettura non si lega alla cultura antica, in quanto la coscienza è un concetto moderno. La
contrapposizione è invece quella di due leggi: la legge divina della tradizione non scritta e la legge
umana dell’autorità legittima. Quando Sofocle scrive la tragedia ad Atene vigeva la democrazia,
ma comunque una democrazia di pochi: Sofocle vuole dunque mandare un messaggio agli
ateniesi, vuole mettere in guardia il demos. Antigone si trova di fronte a due leggi antinomiche,
quindi di fronte a una scelta tragica fra il rispetto della legge e il rispetto dei defunti, della legge
della famiglia.
All’inizio della tragedia avviene uno scontro fra Ismene ed Antigone: Ismene fra le due leggi sceglie
quella dell’autorità, l’editto di Creonte, e cerca di persuadere Antigone della bontà della scelta di
non seppellire con una motivazione culturale, l’inferiorità della donna, per natura incapaci di lottare
contro gli uomini per la concezione greca. Questa è l’υβρις, la tracotanza, l’andare oltre i propri
limiti.
Il coro dà dei giudizi riguardo il comportamento dei personaggi e all’inizio sta dalla parte di
Creonte, condannando l’atteggiamento tracotante, insolente e ribelle di Antigone. Creonte chiede
ad Antigone se conoscesse il suo editto, fornendole forse una via di uscita, un escamotage: dal
loro dialogo emerge un certo imbarazzo, non solo perché Antigone è sua nipote, ma anche perché
è promessa sposa del figlio. Antigone però afferma di conoscere il decreto, noto a tutti e si
presenta a Creonte con un atteggiamento “sbruffone”, senza nessuna reverenza (il figlio Emone si
presenterà con molta più reverenza) e con un’attitudine non dialogante: avrebbe potuto chiedere la
grazia, ma si pone invece in modo arrogante. Creonte perderebbe legittimazione e autorevolezza
se non applicasse la sanzione perché Antigone è una parente; se non fa rispettare la legge,
soprattutto a un familiare, l’ordine si tramuta in anarchia. Questa diventa, in questo modo, una
questione di stato, fondamentale per la πολις. Emone, pur non mettendo in discussione l’autorità
del padre, cerca di aprire una breccia nell’animo del padre, cerca di persuaderlo a non applicare la
condanna. Emone parla sì di autorità ma anche di ragione, invitando il padre ad ascoltare la voce
della ragione e del popolo, che dà un giudizio negativo al suo comportamento e pensa che sia
condannata per un’azione invece degna di gloria. Il figlio cerca di far capire al padre che agendo in
questo modo si delegittimerà agli occhi dei sudditi; che chi pensa di essere sempre nel giusto in
realtà nel profondo è una persona vuota: cambiare atteggiamento e imparare non è mai
disonorevole; che non importa se lui è più giovane perché contano le azioni, non gli anni. Creonte
non ascolta più nessuno: non ascolta il figlio, Antigone e nemmeno il popolo: “Dovrei regge lo stato
per conto degli altri senza ascoltare me stesso?”.
Tiresia dice a Creonte che la causa di tutti i mali della città di Tebe è Creonte stesso.
Creonte si ravvede ma quando ormai ha perso il καιρος, il momento propizio. Il sapere pratico è la
φρόνεσις, in latino prudentia, il retto discernimento. Creonte non ha avuto questo retto
discernimento, non è stato prudente. Alla fine lui stesso riconosce la sua superbia.
L’insegnamento di Sofocle va al demos: quando discute le leggi in assemblea deve far sì che la
legge sia persuasiva, non deve essere imposta con la forza. Il demos deve rispettare la seconda
dimensione del diritto, le leggi fondamentali, i valori che vengono dal cuore, dalla famiglia, i valori
oggi scritti nella Costituzione. Se non lo fa, questo sarà la rovina della πολις. Bisogna far in modo
che le due leggi, le due dimensioni del diritto, dialoghino e siano in tensione fra di loro. Lo stato
cade in disgrazia se una delle due dimensioni prende completamente il sopravvento sull’altra.
Giustizia e politica sono in tensione ma la società è sana se queste dimensioni esistono e sono
sempre in confronto, senza che una prevalga.