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CHIMICA
La chimica è la scienza-sperimentale che si occupa della materia basando la propria indagine sul metodo scientifico, così schematizzabile:
- osservazione del fenomeno;
- semplificazione del fenomeno a modello e raccolta di dati sperimentali;
- formulazione della legge e di ipotesi;
- sperimentazione;
- se l’ipotesi trova conferma empirica, si procede con la formulazione di una teoria che da esauriente spiegazione della legge;
- realizzazione di ulteriori esperimenti.
Il modello è una rappresentazione semplificata e idealizzata dell’oggetto di indagine, identificato da caratteristiche salienti e privato di quelle non interessate dall’analisi scientifica.
La materia è tutto ciò che occupa uno spazio e possiede una massa: in natura si presenta in tre forme; stato gassoso, uno stato di comprimibilità e senza forma né volume, stato solido, in cui la materia è incomprimibile e ha una sua forma e volume, e nello stato liquido, lo stato intermedio in cui la materia è incomprimibile e ha un suo volume ma non una sua forma. Essa è osservabile al livello macroscopico, in base alle trasformazioni e proprietà che sono caratterizzate dai sensi. La materia subisce delle trasformazioni sia fisiche, non cambiando la entità, sia chimiche, cioè alterando l’identità chimica che dipende dalla composizione dell’oggetto. Essa, inoltre, se ha proprietà fisiche-chimiche uniformi allora sarà una miscela omogenea caratterizzata da una fase e i componenti non sono distinguibili tra loro. Le miscele omogenee quando sono separabili per processi fisici allora sono dette soluzioni altrimenti sono le sostanze le quali al loro volta, se sono separabili con processi chimici allora saranno dei composti altrimenti saranno degli elementi. Al livello microscopico, è caratterizzata in base alla composizione che determina com’è fatta la materia, cioè da quali entità è costituita, e in base alla struttura, cioè come sono organizzate le entità nella materia. Le entità sono oggi gli atomi che sono stati nominati per la prima volta da Democrito, il quale riteneva che la materia fosse composta da piccole e indivisibili entità che lui chiamava atomos, cioè “indivisibile”. Questa idea fu confermata da Dalton nel 1807 il quale formulò 3 postulati:
- La materia è costituita da particelle chiamate atomi
- Gli atomi della stessa specie chimica sono uguali tra loro
- Gli atomi di un elemento non si trasformano durante una reazione né si creano e né si distruggono
La chimica si basa su tre leggi fondamentali:
- Legge della conservazione della massa (Lavoisier); la somma dei reagenti è uguale a quella dei prodotti
- Legge delle proporzioni finite(Proust); il rapporto delle masse è fisso e costante
- Legge delle proporzioni multiple(Dalton); rinchiude le prime due leggi e quindi, le masse che possono combinarsi sono tra loro in un rapporto di numeri piccoli e interi
L’atomo, però a sua volta è formato da particelle subatomiche; elettrone, con carica negativa, protone, carica positiva e neutrone, carica neutra. La disposizione di quelle particelle nell’atomo fu oggetto di studio
per Thomson, il quale vedeva l'atomo come una sfera omogenea in cui sono immersi elettroni e protoni a modo di panettone ma la teoria fu smentita da Rutherford, il quale, volendo provare la teoria di Thomson, bombardò con dei raggi a particelle positive, una lamina d’oro notando che alcuni raggi passavano indisturbati la lamina, altri venivano completamente deviati mentre altri erano leggermente deviati. Egli concluse che l’atomo era formato da un nucleo formato da protoni e neutroni, intorno al quale vi erano gli elettroni. Questo modello fu in atto fino a metà seicento, quando l’oggetto di studio divenne la luce. Essa infatti è un’onda elettromagnetica poiché l’unica che si propaga nel vuoto e come un’onda è caratterizzata da una lunghezza, la distanza che intercorre tra due massimi o tra due minimi, la frequenza il numero di cicli d’onda, e la velocità che nel vuoto corrisponde a 3*108m/s.
Nel frattempo, Einsten e Planck nel 1905, arrivano alla conclusione che la luce aveva, non solo una natura ondulatoria, ma anche corpuscolare: essi infatti colpirono una lamina di metallo con un raggio luminoso e notarono che la lamina diventava caricamente positiva, cioè perdeva i suoi elettroni che venivano emessi in base ad una frequenza che supera un valore detto “soglia” che dipende dai metalli. Einsten assimilò l’onda elettromagnetica ad un flusso di pacchetti di energia chiamati fotoni, ciascuno costituito da un quanto che rappresenta l’energia. Di conseguenza si determina che l’energia cinetica è quantizzata e dipende dalla frequenza E=hν. L’energia quindi assumeva una nuova proprietà: la quantità di moto, responsabile degli urti tra materiali. L’effetto fotoelettrico veniva sintetizzato come un insieme di urti tra i fotoni e gli elettroni del metallo durante il quale il fotone cedeva parte del quanto a un elettrone del metallo provocando l’estrazione. E(fotone)=E(cinetica elettrone emesso)+E(estrazione)=h(v-v0). Tra i fenomeni in cui la luce interagisce con la materia manifestando la sua natura corpuscolare ci sono gli spettri di emissione. Esso consiste in un gas attraversato da una scarica elettrica emettendo luce di colore caratteristico in serie di righe colorate corrispondenti a una determinata lunghezza d’onda e, quindi, anche ad una ben precisa frequenza(spettro di emissione a righe); ciò consiste nel fatto che l’elettrone emette e assume energia a pacchetti in modo non continuo ma quantizzato. Sulla base degli spettri di emissione, specialmente per l’atomo di idrogeno, Bohr formulò un nuovo modello atomico basato su due postulati:
- L’elettrone si muove con momento della quantità di moto intorno al nucleo su orbite circolari caratterizzate da specifici livelli energetici detti stazionari perché dotato di una particolare stabilità nel quale l’elettrone non emette né assorbe energia. Potendo occupare solo determinati livelli energetici, l’energia dell’elettrone è quantizzata ed è tanto maggiore quanto più l’orbita su cui giace è lontana poiché risente di minor attrazione da parte del nucleo
- L’elettrone emette o assorbe energia solo transitando da un livello energetico ad un altro; nel specifico modo, se transita in un livello energetico più vicino al nucleo allora emette energia, viceversa se assorbe energia passa in un livello più esterno ΔE=hν
Intorno all’atomo coordinante però sono spesso presenti coppie di elettroni che non si legano (coppie di non legame), le quali esercitano un effetto distorsivo sulla geometria molecolare poiché esercitano una forza di repulsione più forte di quelle delle coppie di legame con un effetto di compressione sugli angoli di legame. Per esempio, l’angolo delle molecole d'acqua è in realtà intorno a 105°
La teoria VSEPR giustifica la geometria molecolare ma non è in grado di spiegare come si sovrappongono gli orbitali atomici, così si ricorre all’ibridizzazione. Essa è una combinazione matematica delle funzioni d’onda mediante la quale più orbitali di poca energia vengono mescolati e poi ridivisi in un pari numero di orbitali ibridi isoenergetici. Prima di formare un legame, gli orbitali atomici possono combinarsi per formare nuovi orbitali atomici equivalenti che prendono il nome di orbitali ibridi. Il numero di orbitali ibridi uguaglia il numero di orbitali atomici mescolati. Ci sono diversi tipi di ibridizzazione:
Orbitali sp: mescolamento di un orbitale s e uno p.
In esempio prendiamo la molecola BeF2: Per la teoria VSEPR la molecola avrebbe una geometria lineare ma dalla configurazione elettronica di F (1s22s22p5) sarebbe possibile che forma legami solo se passa ad uno stato in cui un elettrone di 2s viene promosso in 2p con spesa di energia formando due orbitali sp.
Orbitali sp2: mescolamento di un orbitale s e due p.
In esempio prendiamo la molecola BF3: porta alla formazione di tre orbitali ibridi sp2.
Orbitali sp3: mescolamento di un orbitale s e tre p.
In esempio prendiamo la molecola di CH4
Dalla sovrapposizione degli orbitali fino ad ora descritti danno origine a legami nei quali la nuvola di carica elettronica è addensata fra i due nuclei lungo l’asse di legame, cioè l’asse internucleare.
Legame σ è un legame che si forma per sovrapposizione frontale di due orbitali atomici dove la sua densità elettronica si concentra nella regione internucleare
Legame π formato dalla sovrapposizione laterale dove la sua densità elettronica si concentra in due regioni distinte e simmetriche
Le molecole possono essere polari o apolari, ovvero dare luogo o meno a un dipolo elettrico, ossia un sistema di due cariche uguali in valore assoluto ma di segno opposto e separate dalla distanza di legame. L’intensità di un dipolo è data dal suo momento dipolare, cioè una grandezza vettoriale la cui direzione coincide con quella di legame, il verso va dalla carica negativa a quella positiva e il modulo è uguale al prodotto delle cariche per la distanza μ=d*δ: se il risultato è NON NULLO allora può definirsi molecola polare. La polarità delle molecole è una caratteristica che influisce in modo determinante sulle interazioni tra molecole e quindi sulle proprietà chimiche delle sostanze cui le molecole danno luogo. Per stabilire tale polarità, dobbiamo tener conto della polarità dei singoli legami e della geometria molecolare, ovvero dell’orientazione reciproca che i legami e i loro dipoli assumono nella struttura. Considerando le molecole biatomiche, nelle quali polarità del legame e della molecola coincidono, condizione necessaria e sufficiente affinché questa sia polare è la presenza dei legami covalente polare. Non è così per le molecole poliatomiche, in cui la presenza di legami covalenti polari è condizione necessaria ma non sufficiente, ciò impone che ad un legame covalente polare non corrisponde necessariamente la presenza di un dipolo sulla