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(PDB).
La caratteristica fondamentale di questa di tecnica sono i tipi di cristalli che possono essere
analizzati. Infatti, i cristalli macromolecolari come, ad esempio, i cristalli proteici, permettono alle
proteine di disporsi esattamente come se esse fossero in soluzione. Questo permette di
identificare in modo corretto le macromolecole sottoposte a spettroscopia. Importante
accorgimento, tuttavia, è quello di mantenere i cristalli ad una temperatura di circa -150 °C in
quanto le elevate temperature possono danneggiare le molecole.
Il grado di disordine all’interno dei cristalli presenta, però, alcune difficoltà in ambito analitico
legate alla risoluzione del cristallo. Le risoluzioni possibili sono tre: 5 Angstrom, 3 Angstrom e 2
Angstrom. La prima permette di identificare la forma generica della molecola, la seconda permette
di tracciare la catena polipeptidica e la terza di distinguere le catene laterali e, talvolta, gli atomi
all’interno.
Oltre a questo importante limitazione, esiste, inoltre, la necessità di conoscere l’ampiezza della
fase di ciascun raggio diffratto, in modo tale da poter calcolare la densità elettronica su ogni
molecola. A questo proposito vengono utilizzati due metodi di calcolo: il Molecular Replacement
(MR) e il Multiple Isomorphous Replacement. Il primo si basa sull’utilizzo di una molecola di
riferimento con struttura simile a quella della molecola da identificare mentre, il secondo, prevede
l’impiego di nuovi centri di diffrazione all’interno del cristallo come, ad esempio, metalli pesanti.
Saccaridi
Si definiscono saccaridi (o glucidi o carboidrati) dei composti organici formati da C, H e O. Essi sono
fondamentali nell’organismo in quanto sono una indispensabile fonte energetica e strutturale.
I saccaridi si dividono in monosaccaridi, oligosaccaridi e polisaccaridi.
I monosaccaridi sono suddivisi in base al numero di atomi di carbonio che li compongono.
Possiamo infatti avere triosi, tetrosi, pentosi, esosi ed eptosi. Sono composti che contengono
gruppi aldeidi e chetoni; per questo motivo si dividono ulteriormente in aldosi (glucosio) e chetosi
(fruttosio). Strutturalmente essi si dispongono formando degli anelli a cinque o sei atomi di
carbonio. Gli anelli a cinque termini vengono detti furanosi mentre quelli a sei piranosi.
Per quanto riguarda gli oligosaccaridi, essi si formano per reazione di due unità di monosaccaridi
mediante legame glicosidico.
Infine, i polisaccaridi sono formati da più unità di monosaccaridi e sono delle macromolecole.
Queste macromolecole sono tenute insieme dai legami glicosidici che si formano tra le subunità di
monosaccaridi e hanno svariate proprietà biologiche. Sono, infatti, una riserva energetica (ad es.
amido e glicogeno) e una notevole risorsa strutturale (ad es. cellulosa e chitina).
I polisaccaridi si dividono i omopolisaccaridi (amido, cellulosa, chitina) e eteropolisaccaridi. La
differenza sostanziale tra questi due gruppi riguarda la loro composizione: i primi sono composti da
lunghe catene dello stesso monosaccaride, i secondi sono composti da diversi monosaccaridi
tenuti insieme per mezzo di legami glicosidici.
Molto spesso, in biologia, si ha a che fare con dei composti che nascono dalla reazione di proteine
e di saccaridi. Questa classe di composti, le glicoproteine, sono molto importanti dal punto di vista
biologico in quanto la presenza di un saccaride su una proteina è in grado di modificare la sua
polarità e solubilità, di influenzare i successivi legami con altre proteine e di proteggere le proteine
dall’attacco di enzimi proteolitici. Da questo punto di vista, le lectine e le selectine sono delle
proteine molto importanti. Esse, infatti, mostrano una grande affinità nel legarsi con i saccaridi e
svolgono dei compiti biologici essenziali quali il riconoscimento dei polisaccaridi presenti sulle
membrane cellulari o la risposta infiammatoria di una determinata regione dell’organismo.
Enzimi e catalisi enzimatica
Gli enzimi sono importantissimi catalizzatori nella stragrande maggioranza delle reazioni
metaboliche del nostro organismo. Senza di essi, infatti, molte reazioni non avverrebbero in tempi
ragionevoli. In quanto catalizzatori, essi non cambiano né la costante di equilibrio delle reazione né
la quantità di energia consumata o liberata. Semplicemente, aumentano la velocità di reazione e
agiscono sull’energia di attivazione abbassandola.
Il principio su cui si basa un enzima è molto semplice: esso lega a se i due reagenti su un sito detto
sito di attivazione e li fa reagire liberando il prodotto desiderato. Questo tipo di comportamento
permette ai reagenti di trovarsi in prossimità e quindi di formare il prodotto con molta più facilità
rispetto a quanto avverrebbe senza enzimi. In sostanza, essi abbassano il grado di entropia del
sistema.
Esistono due metodi che regolano l’interazione enzima-substrato: il modello chiave-serratura e
dell’adattamento indotto. Il modello chiave-serratura prevede che la forma dell’enzima e del
substrato sia perfettamente complementare mentre, il secondo, ammette la modificazione del sito
attivo dell’enzima che si adatta al tipo di substrato che deve ospitare.
La cinetica delle reazioni catalizzate da enzimi è molto varia. Essa può essere modificata agendo su
parametri quali l’aggiunta di substrato da far reagire, l’innalzamento di temperatura, l’aggiunta di
enzimi, il pH. Agendo sulla temperatura si può avere, infatti, l’aumento della velocità di reazione;
tuttavia, temperature molto elevate denaturano gli enzimi disattivandoli. Anche il pH agisce in tal
senso: una variazione della concentrazione protonica in soluzione può portare ad un aumento
della velocità di reazione ma bisogna tener presente che ogni enzima possiede un pH ottimale in
cui è attivo. Infatti, gli amminoacidi presenti sull’enzima possono essere ionizzati decretando
l’inattività del catalizzatore.
L’equazione che mette in relazione tutti questi parametri, fornendo una valida descrizione della
cinetica delle reazioni enzima-catalizzate, è l’equazione di Michaelis-Menten:
Gli enzimi possono, inoltre, essere inibiti. L’inibizione enzimatica può essere reversibile o
irreversibile. Gli inibitori reversibili possono essere competitivi, non competitivi e acompetitivi.
L’inibizione irreversibile, invece, presenta solo gli inibitori suicida.
Agendo su alcuni parametri, è possibile pianificare un controllo dell’attività enzimatica. L’attività
enzimatica può essere modificata agendo sul pH, sulla concentrazione enzimatica e sulle
regolazione allosteriche. Quest’ultime, mediante la formazione di un legame di una molecola con
l’enzima, possono portare alla maggiorazione dell’attività enzimatica (in tal caso saranno dette
regolazioni positive) o alla disattivazione dell’enzima (regolazioni negative).
La catalisi enzimatica può essere di tre tipi: catalisi acido base, catalisi covalente e catalisi ad opera
di ioni metallici. La prima riguarda la donazione o la sottrazione di protoni, la seconda la
formazione di un intermedio covalente enzima-substrato e, la terza, si basa sulla stabilizzazione
delle cariche dei reagenti ad opera degli ioni metallici.
Le catalisi acido base sono definite generali o specifiche in base alla presenza di vari tipi di ioni o
della sola acqua. Una reazione di catalisi acida avviene, ad esempio, nell’idrolisi degli esteri , dove
la presenza di un amminoacido, la lisina, sull’enzima, permette la donazione di protoni alla
molecola con formazione di acido carbossilico.
Una reazione di catalisi basica riguarda sempre l’idrolisi degli esteri in cui, questa volta, abbiamo la
presenza di ioni idrossido in soluzione. La velocità di questa reazione dipende, inoltre, dalla
concentrazione di imidazolo in soluzione che è in grado di accettare protoni dall’acqua per
formare, appunto, lo ione idrossido. Il protone rimosso viene, nuovamente, addizionato sulla
molecola formando un buon gruppo uscente e, quindi, generando l’acido carbossilico
corrispondente.
Sempre per quanto riguarda le reazioni di idrolisi degli esteri, la catalisi enzimatica in presenza di
ioni metallici avviene ad opera dello zinco presente sull’enzima. Esso agisce come acido di Lewis,
coordinando gli elettroni di non legame del carbonile e inducendo una separazione di cariche,
rendendo il carbonio più elettrofilo e quindi più suscettibile ad un attacco nucleofilo.
Viceversa, la stessa reazione in presenza di zinco può svilupparsi diversamente. Infatti, lo zinco può
rendere un potenziale nucleofilo (come l’acqua) un buon nucleofilo che attacca il carbonile
portando alla formazione di acidi carbossilici.
Infine, un esempio di catalisi covalente, è il meccanismo d’azione della chimotripsina. Il residuo
amminoacidico presente sull’enzima agisce come nucleofilo attaccando il carbonile della proteina
da idrolizzare e vi rimane attaccato durante la reazione. Il legame peptidico, grazie a questo
legame, si rompe e l’acqua prende parte alla reazione concludendo l’idrolisi. Similmente, l’acetoato
decarbossilasi catalizza l’idrolisi di acetoato a acetone e anidride carbonica. La lisina presente
sull’enzima forma un legame temporaneo con il carbonile che viene sottoposto a idrolisi liberando
anidride carbonica e acetone.
Sintesi di peptidi
La sintesi di peptidi viene effettuata legando tra loro gli amminoacidi secondo un ordine ben
definito. Questo tipo di sintesi può avvenire per motivi chimici, ad esempio riguardanti la ricerca, o
per motivi farmaceutici, ovvero per la sintesi di nuovi farmaci ad uso comune.
La sintesi di un peptide di quattro o più amminoacidi può avvenire per allungamento graduale della
catena, ovvero per aggiunta di un amminoacido alla volta, o per condensazione di segmenti,
ovvero si ha dapprima la formazione di vari segmenti di peptidi che vengono poi fatti condensare
insieme ottenendo il peptide corrispondente.
La sintesi di peptidi si basa, essenzialmente, sulla formazione di un legame peptidico di un gruppo
carbossilico di un amminoacido con il gruppo amminico di un altro. Poiché gli amminoacidi sono
molecole polifunzionali, è fondamentale non solo che si formi il legame ammidico desiderato ma
anche che non si formino gli altri legami. Per questo motivo, la sintesi presenta moltissime
difficoltà.
Un modo per ridurre la reattività dei diversi siti degli amminoacidi, così da rendere attivi solo i due
siti specifici, è l’utilizzo di gruppi protettori. I gruppi protettori sono delle molecole in grado di
reagire, rispettivamente, con il gruppo amminico del primo amminoacido e con il gruppo
carbossilico del secondo, in modo che il gruppo carbossilico