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COME NACQUE LA VITA?
A questa domanda non abbiamo ad oggi una risposta precisa. Quello che sappiamo fare però è
differenziare due tipi di cellule: le cellule procariote e le cellule eucariote.
Possiamo dire con certezza che le prime sono le più semplici e quindi le più antiche. Rispetto a quelle
eucariote, questo tipo di cellule presenta alcune differenze: la loro dimensione è ridotta, non posseggono
una membrana nucleare, hanno un numero limitato di organuli citoplasmatici e hanno un solo cromosoma
di forma circolare.
Sappiamo che la Terra si venne a formare circa 4,5 miliardi di anni fa; grazie a studi di geologia su rocce
antichissime solidificate in questo periodo deduciamo che l’atmosfera del nostro pianeta aveva alte
concentrazioni di ammoniaca, di anidride carbonica e di metano (era quindi un’atmosfera riducente, non
ossidante: una sostanza riducente cede elettroni e il suo numero di ossidazione aumenta, mentre una
sostanza ossidante acquista elettroni e si riduce alla diminuzione del suo numero di ossidazione), e che
inizialmente sulla superficie terrestre non era presente acqua liquida, ma solo sotto forma di vapore
acqueo.
Verso gli anni Trenta del Novecento si inizia a ragionare dal punto di vista scientifico anche sull’origine della
vita, cercando di andare oltre la teoria creazionista che era diffusa a quel tempo; fu così che si ipotizzò che,
non essendo presente ossigeno nell’atmosfera primordiale, le prime forme di vita sul nostro pianeta erano
anossiche (moltissime specie che vivono sui fondali marini o nelle profondità del terreno sono tutt’oggi
anossiche: i lombrichi possono vivere fino ad un metro sotto terra, dove l’ossigeno è quasi del tutto
assente; alcuni batteri, come il clostridium tetani ed il clostridium botulinum, sono anossici).
Lo scienziato russo Oparin fu il primo a ipotizzare che le condizioni primordiali della Terra potrebbero aver
favorito la formazione di composti organici a partire da reazioni chimiche fra composti inorganici.
Grazie agli studi condotti si scopre che 4 miliardi di anni fa la temperatura del suolo terrestre si era
abbassata al di sotto dei 100°C, il che permise al vapore acqueo di liquefarsi.
La presenza di acqua allo stato liquido sulla superficie terrestre può sembrare scontata, ma ha alcune
conseguenze importantissime sullo sviluppo della vita, a causa delle proprietà peculiari di questo
elemento:
1. La tensione superficiale: oltre a permettere a molti animali (gerridi) di “pattinare” sulla sua superficie,
questa proprietà dell’acqua permette il suo trasporto all’interno delle piante fino alle foglie, sede della
fotosintesi; le particelle aderiscono infatti alle pareti dei vasi dei vegetali in modo da risalire senza
bisogno di pompe.
2. L’acqua, inoltre, essendo una molecola molto polare, è un ottimo diluente per tutte le altre molecole
polari (prendiamo il cloruro di sodio NaCl: gli ioni di sodio positivi vengono attratti dagli atomi di
ossigeno parzialmente negativi, mentre gli ioni di cloro negativi vengono attratti dagli atomi di
idrogeno parzialmente positivi. Questi ioni di sodio e cloro vengono separati e circondati da molecole
di acqua: si dicono ioni idratati).
Negli anni Cinquanta, lo scienziato statunitense Urey ed il suo allievo Miller, partendo dalla deduzione che i
primi organismi viventi del pianeta fossero eterotrofi (o almeno non fotosintetici, a giudicare dalla
mancanza di ossigeno nell’atmosfera), riprodussero in laboratorio le condizioni dell’atmosfera primordiale
con acqua distillata a formare i mari, una combinazione di gas riducenti per l’atmosfera e alcuni elettrodi
per simulare le scariche energetiche presenti.
I risultati dell’esperimento furono stupefacenti: nell’acqua distillata furono ritrovate alcune molecole
organiche; il composto formatosi prese il nome di “brodo primordiale”.
Nonostante questa scoperta sensazionale bisognava ancora capire come era possibile che le molecole
estremamente instabili trovate da Miller avessero potuto aggregarsi e originare la vita. Prende forma la
famosa teoria del “clay honeycomb” secondo cui alcuni minerali (come le argille) potrebbero essere stati
abbastanza densi e porosi da ospitare e proteggere i composti formatisi e catalizzarne la polimerizzazione
fino ad ottenere molecole più complesse.
Le teorie di Oparin, Urey e Miller sono affascinanti ed interessanti, ma, tornando ai sette pilastri della vita,
non danno una spiegazione chiara sull’origine del progetto.
Un modo che può aiutare a spiegare l’origine della vita anche da questo punto di vista è la paleontologia,
cioè lo studio dei fossili.
Questo metodo di studio della vita è però più complesso, dal momento che i fossili utilizzabili sono quelli
racchiusi nelle rocce sedimentarie non metamorfosate, poiché il calore subito da rocce metamorfosate o
ignee distrugge ogni traccia di vita.
I microfossili più antichi ritrovati appartengono a rocce datate fra i 4 e i 3,5 miliardi di anni fa, il che
suggerisce che la vita potrebbe essersi formata molto precocemente, non appena fu disponibile l’acqua
liquida.
I primi organismi trovati somigliano parecchio ai cianobatteri, procarioti in grado di vivere in ambienti
acquosi anche a temperature di poco inferiori a 100°C; nel Deserto di Atacama, in Cile, i cianobatteri
vivono nell’acqua che si raccoglie attorno ai geyser.
Successivamente, si vengono a formare sistemi di batteri che interagiscono fra loro: gli stromatoliti sono
biocostruzioni simili a ciottoli formate da batteri fotosintetici ed eterotrofi stratificati, e attualmente
barriere di stromatoliti si possono trovare a Shark Bay, in Australia. Gli stromatoliti sono esempi di forme di
vita che, sviluppandosi, cambiano l’ambiente.
Una prova delle prime reazioni chimiche avvenute nell’atmosfera terrestre sono alcune rocce,
caratterizzate da una struttura chiamata “banded iron formation”, BIF. Quando i cianobatteri iniziarono a
produrre ossigeno attraverso la fotosintesi, questo reagiva con gli ioni di ferro nei mari ossidandolo,
l’ossido di ferro, non essendo solubile, precipitava sui fondali marini dando una colorazione particolare alle
rocce che si trovavano lì che appaiono striate di rosso.
Per molto tempo ancora l’atmosfera rimase anossica poiché le continue reazioni di ossidazione non
permettevano all’ossigeno di concentrarsi nell’aria; fra i 3,5 e i 2 miliardi di anni fa l’ossigeno inizia a
concentrarsi nell’aria, perossidando le membrane cellulari dei cianobatteri (cioè degradando i fosfolipidi di
cui sono formate).
A questa situazione gli organismi reagiscono in due maniere differenti:
1. Alcuni organismi si rifugiarono in ambienti anossici (fondali marini, come il Mar Nero; profondità della
terra).
2. Altri organismi si “attrezzarono” in modo da produrre un pattern enzimatico capace di trattare
l’ossigeno nascente ed evitare l’irrancidimento delle membrane. Questi organismi dettero vita ai primi
metabolismi aerobi: il metabolismo anaerobio non utilizzava l’ossigeno (quindi non si avvaleva della
capacità ossidatoria del ciclo di Krebs), ma l’energia fornita bastava solo per scindere una molecola di
glucosio in due molecole di ATP, mentre il metabolismo aerobio, con sede nei mitocondri, è in grado di
demolire completamente la molecola di glucosio e ricavarne ben 38 molecole di ATP.
La cellula eucariotica si venne a formare circa 2 miliardi di anni fa ed una ricercatrice statunitense
suggerisce che sia il risultato di un fenomeno cooperativo fra batteri eterotrofi che hanno inglobato batteri
autotrofi e ne hanno sfruttato le funzioni di produzione di energia (teoria simbiotica). Le prove che
sostengono questa teoria sono:
1. I cloroplasti, sede della sintesi proteica, possiedono un proprio cromosoma di forma circolare,
esattamente come gli organismi procarioti, che è indipendente da quello della cellula in cui sono
contenuti.
2. Sia cloroplasti che mitocondri, sede del metabolismo ossidativo, possiedono due membrane. Il che è
compatibile con un tentativo della cellula eucariote di fagocitarli (durante il processo di fagocitosi si
forma una membrana intorno all’organismo da digerire, il cosiddetto vacuolo alimentare).
I primi fossili di cellule eucariote risalgono a circa 1,5 miliardi di anni fa e derivano dal deserto australiano,
ma a fine Ottocento non sono ancora stati ritrovati fossili che possano aiutare a ricostruire il grande vuoto
che si ha fra questi primi esempi di eucarioti e gli scheletri di dinosauri e altri grandi animali.
È in questo periodo che Walcott Scott, direttore dello Smithsonian Institution, decide di avviare parecchie
campagne in Canada, British Columbia, in modo da cercare i primi esemplari di metazoi e metafiti.
Nell’affioramento di argillite di Burgess Shale la squadra di Scott trova uno strato fossilistico risalente al
periodo precambriano (circa 500 milioni di anni fa) in cui, sorprendentemente, sono presenti tutti i grandi
gruppi animali da noi oggi conosciuti, oltre ad alcuni gruppi estinti.
La particolarità di questo ritrovamento sta nel fatto che, sotto ad uno strato fossilistico ricchissimo di ogni
specie, non viene rinvenuta traccia di altri organismi; è in quest’occasione che nasce l’espressione di
“esplosione precambriana”.
In Australia vengono successivamente trovate tracce di faune ediacariane di metazoi più antiche rispetto a
quelle di Burgess Shale ma che, a differenza di queste, si presentano uniformi su una vasta area e poco
diversificate per quanto riguarda le specie.
Comparando i dati che provengono dagli scavi archeologici del Novecento possiamo dire che i metazoi si
formarono 1 miliardo di anni fa con faune molto povere e che fra 550 e 600 milioni di anni fa si verifica
un’esplosione di biodiversità; dopo l’esplosione Cambriana, la storia della vita è stata una serie di
proliferazioni alternate ad estinzioni dovute a cambiamenti climatici, cambiamenti del livello degli oceani,
impatti di asteroidi e dell’azione dell’uomo.
LE MOLECOLE DELLA VITA
La biochimica può essere definita la chimica del carbonio tetravalente (cioè che forma quattro legami);
quest’unico atomo è alla base delle molecole fondamentali della vita:
1. I carboidrati, o zuccheri, sono composti ternari (formati da carbonio, idrogeno e ossigeno). Gli zuccheri
base hanno sei atomi di carbonio (come il glucosio). I carboidrati si dividono in due principali categorie:
gli zuccheri energetici liberano energia grazie alla rottura dei legami del glucosio, e vengono
immagazzinati in polimeri (gli organismi vegetali li immagazzinano sotto forma di amido, un polimero
lineare, gli animali li immagazzinano sotto forma di glicogeno, nel fegato, un polimero piuttosto
ramificato); gli zuccheri strutturali sostengono