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ELABORAZIONE DELLE ESPRESSIONI FACCIALI
A differenza di quello che abbiamo detto prima, pazienti che non sono in grado di riconoscere le emozioni
esistono ma hanno lesioni in diverse aree cerebrali, non in STS.
Un lavoro di Adolphs ha rilevato delle lesioni nelle regioni somatosensoriali.
Uno studio di Heberleion, Padon, Gillihan, Farah e Fellows ha rilevato delle lesioni orbitali e ventromediali
delle cortecce frontali; questo studio è stato compiuto nel 2008 e ha come titolo “Ventromedial Frontal Lobe
(= “Il lobo frontale ventromediale ha un ruolo critico nel
Plays a Critical Role in Facial Emotion Recognition”
riconoscimento delle emozioni facciali”). I pazienti reclutati avevano una lesione ventromediale, in altre aree
prefrontali o non avevano lesioni di alcun genere.
Per dimostrare il ruolo della corteccia ventromediale è stato utilizzato un compito di riconoscimento delle
emozioni piuttosto sensibile (questo significa che non troppo né facile né troppo difficile); nel database di volti
di Ekman e Friesen sono raccolte le foto di una serie di volti mentre esprimevano le emozioni di base o un volto
neutro. Per rendere il compito più sensibile ed evidenziare possibili differenze tra i pazienti, i ricercatori hanno
una o l’altra in percentuali
effettuato un morfing tra la foto neutra e quella delle diverse emozioni, utilizzando
diverse (90% emozione, 10% neutro - 50% emoz, 50% neutra - 10% emoz, 90% neutra).
Per ogni volto che veniva presentato, a prescindere dall’emozione con il quale era stato creato, veniva chiesto di
giudicare l’intensità dell’emozione espressa, per tutte le emozioni di base, in una scala likert da 0 a 10 punti.
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Di norma i soggetti sani, all’aumentare dell’intensità dell’emozione, assegnano un rating maggiore riferito a
quell’emozione: mano a mano che l’emozione cresceva nel volto, il soggetto affermava di percepirla
maggiormente; questo pattern di risposta è mantenuto anche in soggetti che hanno una lesione prefrontale non
ventromediale. Nei soggetti con lesione ventromediale, invece, non si nota una differenza nella distribuzione dei
punteggi riferiti all’emozione realmente presente e le altre 5: questo dimostra che essi confondono le emozioni
tra di loro e che quindi la regione ventromediale è critica per il riconoscimento delle espressioni facciali.
non si fermava con il core system, ma prevedeva l’extended system, un sistema
Il modello di Haxby e Gobbini
esteso che sembra avere un ruolo particolarmente importante nel riconoscimento, nell’interpretazione e nella
comprensione delle emozioni altrui.
Questo riconoscimento avviene attraverso vari sistemi tra cui la Motor Simulation; in realtà non è solo la Motor
Simulation, ma è in generale un meccanismo di simulazione quello candidato a comprendere cosa sta provando
una persona che si trova di fronte a noi. SIMULATIVI NELL’ELABORAZIONE DELLE
IL RUOLO DEI PROCESSI
ESPRESSIONI FACCIALI “Quando desidero scoprire
Che cosa significa simulazione? Edgar Allan Poe lo suggerisce con queste parole:
quanto sia saggia, stupida, buona o malvagia una persona, o cosa stia pensando in un dato momento, atteggio
il mio volto, con la maggiore accuratezza possibile, nella stessa sua espressione, quindi aspetto di vedere quali
pensieri o sentimenti sorgono nella mia mente o nel mio cuore, complementari o corrispondenti
all’espressione”. Egli parla di una simulazione ante litteram, quello che oggi i neuroscienziati ritengono essere il
meccanismo alla base della comprensione delle emozioni altrui.
LA TEORIA DELLA SIMULAZIONE
Vediamo un po’ meglio cosa significa.
Fondamentalmente la teoria della simulazione, una tra tante ma pare essere quella con il maggior numero di
evidenze a sostegno, sostiene che il riconoscimento di un’espressione facciale e l’attribuzione di un’emozione/di
dell’osservatore dello stato
uno stato mentale avviene attraverso la simulazione o la riproduzione da parte
mentale altrui: io simulo dentro di me, utilizzando vari meccanismi ed in modo automatico, l’emozione altrui.
Questa simulazione interna ed automatica fa in modo che io capisca cosa sta provando la persona che ho di
fronte. Ovviamente vi sono alcune differenze individuali nel modo in cui tale meccanismo si attiva dovute al
grado di empatia, al genere o differenze relazionali (tutti i fattori interni alla relazione tra osservato ed
in risonanza e si simula l’emozione altrui).
osservatore, regolano il modo in cui si entra
Vi è una stretta corrispondenza tra produzione/esperienza in prima persona e riconoscimento di un’emozione: i
meccanismi di un’emozione si attivano anche solo in parte nell’osservatore; siamo in grado di riconoscere
un’emozione altrui solo perché al nostro interno la stiamo esperendo in qualche modo.
Il meccanismo di simulazione afferma proprio questo: per capire l’amozione dell’altro, la simulo a mia volta.
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IL RUOLO DEL FACIAL FEEDBACK E DELLA MIMICA FACCIALE
Se questa teoria della simulazione è vera possono essere fatte una serie di previsioni, ad esempio si può
immaginare che per poter simulare un’emozione una persona debba anche un po’ contrarre i propri muscoli
facciali utilizzando quelli associati all’emozione che si sta guardando.
Lundqvist e Bimberg hanno dimostrato che i muscoli utilizzati per produrre una determinata espressione
facciale si attivano anche semplicemente osservandola. studi dimostrano che un’espressione facciale
La cosa interessante è quindi il ruolo del facial feedback: alcuni
può attivare a “ritroso” alcune aree cerebrali associate a quell’espressione, convincendo il “cervello” che si sta
provando tale emozione.
Su questo meccanismo sono stati svolti alcuni studi: uno ha utilizzato il golf tees (il chiodino per tenere ferma la
pallina da golf), attaccati in mezzo alle sopracciglia. Al soggetto veniva richiesto di tentare di avvicinare il più
possibile tali chiodini, ottenendo così un’espressione corrucciata; quando gli veniva chiesto come si sentisse, il
partecipante aveva un livello di rabbia più elevato.
Un altro studio ha dimostrato che tenendo la penna in bocca in due modi differenti (bloccata con le labbra
oppure con i denti) faceva in modo che venissero attivate delle emozioni differenti, nel primo caso tristezza e
nel secondo caso felicità. Il grado di “allegria” veniva valutato grazie alla presentazione di alcune vignette di cui
i soggetti doveva valutare poi il “divertimento”: quelli in cui si attivava lo zigomatico (muscolo del sorriso)
valutavano le vignette come più divertenti rispetto a quelli in cui il muscolo veniva inibito.
Il facial feedback consiste proprio in questo.
Tuttavia noi stavamo parlando di una cosa affine ma leggermente diversa: il riconoscimento dell’emozione
altrui. L’idea è che riconoscendo l’espressione dell’altro tendiamo ad attivare gli stessi muscoli.
Uno studio di Wood e Niedenthal ha dimostrato che per riconoscere l’espressione e l’emozione altrui usiamo la
nostra mimica facciale. Quando la mimica facciale viene inibita, siamo meno esperti nel riconoscerle.
Cos’hanno fatto per bloccare la mimica facciale? Hanno utilizzato, su una parte di campione, un gel indurente
che permetteva di “bloccare” i movimenti facciali (tipo maschera per il viso); facendo questo, se la teoria che
c’è alla base è vera, dovrebbe risultare più difficile riconoscere le espressioni facciali.
Il paradigma sperimentale era quindi il seguente: il campione veniva diviso in due gruppi, uno a cui veniva dato
il gel indurente ed uno a cui veniva dato un semplice siero. Successivamente venivano somministrate alcune
prove di riconoscimento: ai soggetti venivano fatti vedere alcuni volti con una determinata espressione facciale
e, dopo un breve intervallo, venivano presentati due volti. Il compito del partecipante era quello di decidere
quale dei due fosse il target, quello precedentemente visto.
Le espressioni facciali che venivano presentate erano un po’ difficili da distinguere, anche in questo caso i
ricercatori avevano utilizzato la tecnica del morfing per rendere il compito più sensibile: se si rendono gli
stimoli più difficili da elaborare, è più probabile che io faccia sì che alcuni meccanismi (in questo caso quello
della facial mimicry, la mimica facciale) vengano innescati.
Come si può vedere in figura, il morfing dei volti
veniva effettuato partendo da un volto arrabbiato ed
uno triste della stessa persona, presenti in percentuali
differenti. I volti che venivano poi presentati erano
scelti seguendo lo schema della riga tratteggiata
(veniva saltato un volto tra i due che andavano
presentati).
La condizione di controllo utilizzata era quella della
riga sottostante, in cui il morfing veniva svolto
utilizzato l’immagine di un cavallo e di una mucca.
In questa condizione il paradigma era lo stesso.
Sulla base della simulation theory e delle implicazioni dell’utilizzo della mimicry cosa ci si potrebbe aspettare?
Quali sono le ipotesi? Ci si aspetta che non siano differenze tra il gruppo “gel” e quello “non gel” nella
ma che vi sia una differenza a favore dei soggetti “non gel” nel riconoscimento dei
condizione di controllo,
volti; questo è esattamente quello che accade: il gel blocca la mimicry impedendo il riconoscimento delle
espressioni facciali e quindi delle emozioni altrui, ma questo non implica nessun effetto nel riconoscimento di
animali/oggetti per i quali la mimicry non ha alcun ruolo.
I risultati quindi mostrano come i due gruppi siano equiparabili nella condizione di controllo, ma come il gruppo
presenza del “blocco” nel riconoscimento delle espressioni facciali e, di
gel risentisse fortemente della
conseguenza, nel discriminare il volto target da quello distrattore.
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Questo risultato è fortemente a favore del fatto che quando ci troviamo davanti ad una persona che esprime
un’emozione con suo volto utilizziamo i muscoli facciali per comprenderla ed interpretarla.
Ai giorni nostri questo risulta molto importante poiché vi sono delle evidenze sperimentali che dimostrano come
le persone che fanno uso di botulino (che blocca i muscoli) sono meno esperte nel riconoscere le espressioni
facciali e le emozioni ad esse collegate.
Il problema alla base di questi dati è che bisognerebbe chiedersi se chi fa utilizzo di botulino è già in partenza
un test sull’empatia e sulla capacità di interpretare e
una persona poco empatica: andrebbe quindi svolto
comprendere le emozioni altrui sia pre-operazione che post-botulino; questo studio permetterebbe di
comprendere se la empatia sia già presente o sia dovuta ad un effetto del botulino, che agisce