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Il Giudice liquida in E 20.000, in favoredell’appellante, sulla base dei precisati criteri diliquidazione, inclusa la Tabella di Milano,considerando le circostanze del caso, i giorni disopravvivenza, le lesioni riportate.
Il Giudice accoglie il terzo motivo di ricorso:incongrua liquidazione del danno non patrimoniale.Si lamenta la perdita del rapporto parentale,l’incisione degli interessi giuridici della sfera degliaffetti, della solidarietà familiare, dell’esplicazionedelle attività realizzatrici della persona all’internodella formazione sociale familiare (art 2, 29, 30 Cost.).
La liquidazione del danno non patrimoniale derivantedalla lesione di interessi di rilievo costituzionale siattua ai sensi dell’art 2059 c.c. e si fonda su criteriobiettivi, capaci di valorizzare le variabili del caso,l’apprezzamento del giudice della gravità del fatto,delle condizioni soggettive, dell’entità della sofferenzae del turbamento.
dello stato d'animo. Questo garantisce l'adeguata valutazione del caso e l'uniformità di giudizio di casi analoghi, nel rispetto dell'art 3 della Costituzione (Cass. 20895/2015).
La vittima aveva 76 anni quando è morta, il vincolo affettivo e familiare era intenso, non c'erano incomprensioni o divisioni in famiglia. I membri di quella famiglia vivevano nella stessa palazzina.
Il Giudice ridetermina il danno patrimoniale iure proprio in € 220.000 per la figlia della vittima - sulla base della Tabella di Milano del 2014 - e in € 80.000 per il suo unico nipote, appena quindicenne alla data del decesso - sulla base della Tabella del Tribunale di Roma del 2014.
Il quarto motivo di ricorso è rigettato. Non c'è, a sostegno il benché minimo elemento di prova del fatto che il de cuius avrebbe certamente accantonato dei risparmi.
Il quinto motivo è fondato per la parte relativa al mancato riconoscimento delle spese.
funerariesostenute dalla appellante e documentate. Le siliquidano rivalutate in E 2.470.
Il motivo è infondato nel resto, anche qui poiché non provate.
Il sesto motivo è infondato poiché le spese legali giudiziali, quando segue un giudizio, formano oggetto di liquidazione con la nota delle spese (art 75 disposizioni attuative c.p.c.) se trovano adeguato compenso nella tariffa delle prestazioni giudiziali, altrimenti possono formare oggetto di domanda di risarcimento nei confronti dell'altra parte, quando necessarie e giustificate. Queste condizioni si desumono dalla possibilità del giudice di escludere dalla ripetizione le spese ritenute recessive o superflue.
Il settimo motivo è infondato in quanto la rinuncia del difensore al mandato ricevuto dalla investitrice in primo grado non osta alla liquidazione cumulativa delle spese. Il riparto attiene al rapporto interno tra la parte e il difensore rinunciatario.
Il Giudice condanna le Generali al pagamento
infavore della figlia della vittima di E 186.649 e infavore del nipote di E 68.835,79 (sorta capitaleriliquidata alla attualità che residua dopo la sottrazionedella somma riconosciuta in primo grado con interessilegali), oltre che al pagamento degli interessi legali sudette somme devalutate dal 15 dicembre 1999 alsoddisfo.
Il danno è risarcito nei limiti dei massimali indicatinella tabella A della legge 990/69 (art 21.4 della leggestessa). Il diritto al risarcimento in tale ipotesi ènormativamente delimitato (Cass. 7247/2006).
L’ottavo e il nono motivo di ricorso sono assorbiti inquanto la parziale riforma della sentenza di primogrado determina un nuovo regolamento delle stesse daparte del giudice d’appello (principio proceduralecivile dell’effetto espansivo interno).
Le Generali sono condannate alla rifusione delle spesedi lite del primo grado e lo sono anche, in solido conl’investitrice, alla rifusione delle spese di questogrado, liquidate
In E 12.450. Per quanto riguarda la maggiorazione del 20% dell'onorario per l'assistenza e la difesa di più parti comportante l'esame di questioni identiche, essa è rimessa al potere discrezionale del giudice, con obbligo di motivazione. Non si ravvisano ragioni che giustifichino l'invocata maggiorazione, che non costituisce un minimo inderogabile della tariffa (Cass. 2254/2007).
COMMENTO ALLA SENTENZA:
1. Introduzione
In tema di responsabilità civile connessa alla circolazione dei veicoli, ex art 2054 Cod. civ., quando il danneggiante, in violazione della Legge 990 del 1969 (Assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti), non risulta assicurato, a coprire le spese per il risarcimento del danno è l'Impresa designata, per la Regione in cui è avvenuto il sinistro, dal Fondo di Garanzia Vittime della Strada.
Il risarcimento del danno da morte può diramarsi
indiverse voci. 2. Sul risarcimento del danno biologico Si opera una suddivisione del tempo che intercorre tra l'evento lesivo e la morte in breve ed apprezzabile. L'immediatezza del decesso è un concetto legale, non fisico. Chi muore sul colpo, da quando questo si verifica a quando subentra la morte, seppur per pochi istanti, fosse anche una frazione di secondo, soffre. Soffre e, per dirla, al contrario, con le parole delle Sezioni Unite di Cassazione 15350/2015, esiste come "soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio". In questo senso il Tribunale di Venezia, 15 giugno 2009. "Al riguardo si osserva che tra l'evento, la lesione all'integrità psicofisica e il decesso non può mai esservi una piena coincidenza sul piano temporale, ma vi è sempre, per quanto ristretta, una divaricazione." I diritti vivono in uno spazio logico "tra fatto edirittoesiste una relazione logica (istituita dall'ordinamento),ma non una relazione temporale".Sono poche le morti indolori, che siano letteralmenteimmediate, è fisicamente impossibile.Non senza spazio temporale alcuno, tra la lesione e lamorte, esistiamo e poi non esistiamo più.Possono esistere morti a breve e brevissima distanzadall'evento lesivo, non istantanee.L'apprezzabilità in ordine al lasso di tempo è rimessaalla giurisprudenza.C'è un precedente che non lo considera sufficiente,per il riconoscimento del danno non patrimoniale iurehereditatis, nel caso sia di soli 45 minuti. Tribunale,Piacenza, sentenza n. 458 del 29 giugno 2010.Apprezzabile è quello che è pari a qualche giornosecondo la sentenza n. 3549/2004 della Cassazione, enon solo a mezz'ora (Cass. n. 13585/2004).È una scelta di sistema, criticabile.3. Sul mancato riconoscimento del danno morale.La motivazione del Giudiceconsiste nel fatto che la vittima rimase in coma fino al decesso e non riacquistò lucidità, in base a questo si esclude uno stato di sofferenza d'animo per la consapevolezza delle proprie condizioni cliniche. Questa condizione di lucidità del soggetto, di pensare o di sapere, a seconda di quanto ne sa di anatomia, di essere in attesa della fine, è stata sancita dalle Sezioni Unite della Cassazione con sentenza 26972/2008. Si può citare anche il precedente della Cassazione, 28/11/2008, n. 28433. Io ritengo che il danno morale non dovrebbe essere escluso per il fatto di essere entrati in coma. Prima che ciò accada, una persona deve essere sconvolta. Entrare e uscire dal coma (quando va bene) non deve essere l'esperienza emotivamente più facile del mondo. Non c'è motivo per cui chi ha causato il coma non si debba fare carico di questi disagi non meramente fisici. È mio parere che la Corte, seppur nel quadro della giurisprudenza maggioritaria,abbia deciso male nel non riconoscere il danno morale. 4. Sulla negazione del danno iure proprio da perdita della vita La capacità giuridica si perde al momento della morte. Si ragiona tradizionalmente, in maniera molto netta, sui diritti che nascono prima di questa. Il defunto, in proprio, non può acquistare alcun diritto dopo il decesso, "... non è concepibile che taluno acquisti e trasmetta un diritto, il quale non può più essere nato prima che sia intervenuta la morte di lui.", Cassazione di Palermo 31 dicembre 1918. Ora, non si fa una regola base come quella sulla perdita della capacità giuridica pensando che tutti i consociati moriranno venendo brutalmente uccisi; si fanno nell'ottica della morte naturale, pensando che il consociato non passerà a miglior vita per fatto illecito altrui ma naturalmente. Dopo che questo accadrà, il consociato, da morto, non potrà più compiere negozi giuridici, ovviamente. Nel caso in cui laMorte sia causata da un fatto illecito altrui, la vittima dovrebbe acquistare per se stessa un diritto che non nasce né prima, né dopo la sua morte, che nasce con essa. Non perché possa riscuoterlo personalmente. "... le regole di responsabilità civile non sono importanti soprattutto perché compensano quella particolare vittima, ma in quanto trasferiscono il costo dell'incidente su un soggetto diverso da quello che ha subito il danno ... Se il problema fosse semplicemente quello di compensare la vittima, si potrebbero ideare sistemi più rapidi, e più economici, che non quello delle Corti di Giustizia." Umberto Izzo, Le funzioni della responsabilità civile, Corso di Diritto Civile, Università degli Studi di Trento.
Neppure per il fatto che l'assassino debba pagare (monetariamente) per quello che ha fatto, ma perché il danno si sposta da dove cade a prescindere e in base alla sensibilità sociale.
del momento storico. In netta contrapposizione con la posizione della Sezione Terza di Cassazione nella sentenza n. 6754 del 2011: "Pretendere che sia data 'anche' al defunto corrisponde, a ben vedere, solo al contingente obiettivo di far conseguire più denaro ai congiunti, non essendo sostenuto da alcuno che sarebbe in linea col comune sentire o col principio di solidarietà che il risarcimento da perdita della vita fosse erogato agli eredi 'anziché' ai congiunti (se, in ipotesi, diversi) o,