vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
PALEANTROPOLOGIA
Per affrontare i problemi posti dalla frequentazione umana in un sito preistorico, l'approccio analitico e interpretativo
non possa che essere di carattere “interdisciplinare”, una varia integrazione dei dati di varia natura in quadro
interpretativo unitario. Lo studio del passato dell'uomo è perciò una disciplina di sintesi che (integrando fra loro le
informazioni ottenute dall'antropologia fisica con quelle dell'archeologia preistorica, ma anche con dati di natura di
zoologia, geologica, ecologica, etnologica... ) consente di individuare una dimensione tridimensionale della variabilità
umana. SI configura cosi con il nome Paleoantropologia, una scienza storica che trae dai frammenti di ossa e denti
fossili l'informazione di base su cui elaborare ipotesi e teorie.
La comparsa sulla Terra di esseri viventi che possano dirsi “umani” è inanzi tutto un argomento di biologia
evoluzionistica basato su dati paleontologici (processo storico-evolutivo). La biologia evoluzionistica si basa sulla
nozione di “selezione naturale”, da Darwin in poi si ritiene che gli organismi viventi siano stati sottoposti a un opera di
selezione dell'ambiente, che ha favorito le forme più adatte alla sopravvivenza e alla riproduzione, modificando nel
tempo la composizione genetica e consentendo l'evoluzione della specie. Tra le discipline che si occupano di evoluzione
un posto centrale è occupato dalla paleontologia umana ( paleoantropologia). La paleontologia produce ricostruzioni più
o meno articolate del fenomeno che chiamiamo evoluzione. E una scienza di tipo storico e si basa su evidenze rare e
frammentarie. La paleontologia è forse la disciplina che più ci consente di osservare l'evoluzione all'opera e di far luce
sul fenomeno evoluzionistico. Una delle sfide poste dalla documentazione fossile alla Paleoantropologia sta nella
possibilità di riconoscere la specie estinte sulla base della lacunosa documentazione fossile. Riconoscere la specie è un
problema centrale in paleoantropologia perché è proprio su queste basi che si fonda qualunque scenario.
Negli ultimi decenni si è sempre più liberato il campo dall'ipotesi dell'esistenza di una sola specie di ominidi in
evoluzione nel tempo. Esistono due scuole di pensiero a riguardo: c'è chi vede la sequenza evolutiva con poche specie
(lumpers) e chi invece favorisce un maggior frazionamento del record fossile (splitters). Si può ritenere che il
riconoscimento della specie sia uno degli obiettivi prioritari della ricerca in Paleontologia e solo nel momento in cui
possiamo diagnosticare l'esistenza di una specie esistita nel passato possiamo concludere di aver raggiunto una
comprensione effettiva del fenomeno evoluzione.
Gran parte dell'organizzazione anatomica e funzionale di un essere umano è comune a quella dei primati, più in
generale a quella dei mammiferi e dei vertebrati. Siamo organismi caratterizzati da visione binoculare stereoscopica
( 3dimensioni) e con arti mobili che terminano con 5 dita, in cui l'opponibilità del pollice consente la presa degli
oggetti; queste caratteristiche sono quelle che più particolarmente ci fanno partecipi del mondo dei primati. Una storia
comune che possiamo mettere in relazione a una dieta insettivora, combinata con l'abitudine a vivere in un contesto
forestale e a varie forme di locomozione. I primati sono rappresentati da un gran numero di specie viventi, distribuite
nella fascia tropicale della Terra. La documentazione fossile ci indica che la storia che abbiamo avuto in comune con
proscimmie, scimmie e scimmie antropomorfe risale ad almeno 65 Ma/80 Ma; alla fine del Mesozoico si distaccarono
dal ceppo degli altri mammiferi per dare inizio alla radiazione dei primati. Da quel momento, attraverso la
colonizzazione, i nostri antenati si svilupparono in una miriade di forme, nella frazione più recente la radiazione
adattiva diede luogo nel 35 Ma e 5 Ma (Oligocene e Miocene) a una affermazione di scimmie antropomorfe. Di questo
gruppo la super famiglia Hominoidea: i gibboni asiatici; le antropomorfe africane (scimpanzé e gorilla), quella asiatica
(l'orangotango) e noi stessi.
Le distanze genetiche si sono rivelate estremamente utili nell'indicare i tempi della principali divergenze evolutive. In
base a una serie di assunzioni e semplici algoritmi, le distanze genetiche possono tradursi in una valutazione del tempo
intercorso dalla divergenza di due o più forme viventi; un procedimento che ha preso il nome di “orologio molecolare”,
in quanto si basa su una valutazione delle divergenze evolutive a partire dal dato molecolare. Su queste basi un ipotesi
formulata da Charles Darwin si è rivelata fondata, le origini dell'uomo darebbero stare da ricercare in Africa, visto che
sono proprio le grandi scimmie antropomorfe africane ad essere più simili a noi Sappiamo cosi che l'antenato comune
fra scimpanzé e uomo deve essere vissuto intorno a 6 Ma, è dunque esistita in Africa, una scimmia antropomorfa che
per qualche motivo si frazionò in popolazione e queste divennero specie diverse, che a loro volta diedero origine alle
rispettiva traiettorie evolutive dello scimpanzé e uomo.
Di ominidi estinti se ne conoscono oggi una ventina che vengono riuniti in un numero elevato di generi, tra i quali i più
importanti e consolidati rimangono tuttavia tre: il genere Australopitthecus, il genere Paranthropus e il genere Homo.
Le specie più antiche hanno una distribuzione geografica limitata alla fascia sud-orientale del continente africano: dal
Corno d'Africa fino al Capo. A nord-est, l'areale ( cioè la regione di distribuzione geografica) degli ominidi si estende
lungo la traiettoria segnata dalla Great Rift Valley. E questa una regione costellata di siti paleontologici con fossili di
ominidi, essi sono caratterizzati dalla sedimentazione intercalata di livelli fluivo-lacustri e di livelli vulcanici, utilissimi
questi ultimi per la possibilità di ottenere datazioni assolute con metodi di decadimento radioattivo. In Sudafrica, però i
giacimenti sono di natura carsica, dove le datazioni non sono facili. Tutta quest'area orientale e meridionale del
continente ha risentito in modo particolare del progressivo deterioramento climatico che ha caratterizzato la storia
dell'intero pianeta negli ultimi 10 milioni di anni e in questo scenario paleoambientale in continuo mutamento le più
antiche forme di Australopitthecus sono datate fino a poco più di 4 Ma. Tuttavia, negli ultimi dieci anni si sono
affacciati sulla scena alcuna ominidi che coprono un intervallo di tempo compreso fra circa 7 e 4,4 Ma. Si tratta di tre
nuovi generi: Sahelanthropus, Orrorin e Ardipithecus.
Nel 1944 Tim D. White annunciava la scoperta dei resti di una nuova specie del genere Australopitthecus poi attribuita
ad Ardipithecus. La specie veniva denominata ramidus- Ardipithecus ramidus- ramid (radice); l'ominide più “antico”.