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La tecnica del rigatino
Brandi spiega qui la tecnica del rigatino, soluzione sviluppata dall'ICR per ovviare al problema della ricomposizione dell'immagine. Chiaramente, si tratta di una tecnica applicabile alla sola superficie pittorica e lascia aperto il dibattito su altre tecniche artistiche. Da un lato si accusa la patina d'essere un concetto romantico, di non consistere che in sporcizia e in vernici ossidate e ingiallite: si sostiene perciò il diritto di arrivare al puro colore restituendo il dipinto come era quando fu eseguito. Dall'altro lato si oppone che l'alterazione dei colori col tempo è assolutamente innegabile e che qualsiasi pretesa di ritrovare i colori come erano al momento della loro stesura è priva di controllo storico e quindi di fondamento. La questione della patina è sicuramente una delle più discusse, anche per via della sua irreversibilità: la sua rimozione porta via anche solo una minima parte dell'originale.che generalmente causa scandalo nell'opinione pubblica. In una serie di articoli critici, Brandi accusò gli inglesi di "pulire troppo", mentre questi descrivevano gli italiani come "amanti della patina". Brandi, tuttavia, provò che la maestria di un artista consiste anche nella sua capacità di prevedere le variazioni che i pigmenti da lui usati subiranno nel corso del tempo.
5. 1963 | Pubblicazione di "Teoria del restauro"
Il volume viene edito da De Luca negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, in un periodo in cui il concetto di ricostruzione assume quindi particolare importanza. In questo momento storico emerge la necessità di distinguere i falsi dagli originali, per il quale si instaura uno stretto rapporto tra arte e scienza.
Ancora oggi, il testo di Brandi conta numerose traduzioni e continua ad essere uno dei principali punti di riferimento, pur essendo un testo piuttosto difficile da decifrare. Si tratta dell'unico.
Coraggioso tentativo di formulare una teoria il più possibile univoca del restauro. Pur essendo consapevole dell'incodificabilità della disciplina, Brandi traccia le domande che è fondamentale porsi di fronte a un'opera da restaurare. Sottile rimando a John Ruskin e alle sue teorie che, per Brandi, sono assolutamente incondivisibili.
Per anni la direzione degli istituti di restauro, seguendo la teoria di Brandi, è stata affidata agli storici dell'arte. Questo perché egli sposta il baricentro dall'azione del restauro alla teoria dello stesso: "Il restauro costituisce il momento metodologico del riconoscimento dell'opera d'arte, nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità estetica e storica, in vista della sua trasmissione al futuro". Nel momento stesso in cui si stabilisce che un oggetto è un'opera d'arte, quindi, si sta già effettuando un'operazione di
restauro.In questa teoria vengono fissati alcuni punti chiave:- Si restaura solo la materia dell'opera d'arte, non l'immagine. Ciò significa che si interviene esclusivamente sul prodotto dell'artista, senza reinterpretazioni. Piuttosto, come è avvenuto nell'Annunciazione di Antonello Da Messina, si possono rimuovere le ridipinture "false", lasciando le lacune a vista. L'aspetto e la storia dell'opera si appoggiano quindi alla sua componente materiale, come anche l'autografia dell'artista.
- Il restauro deve ristabilire "l'unità potenziale dell'opera d'arte", purché ciò sia possibile senza commettere un falso artistico o storico e senza cancellare ogni traccia del passaggio dell'opera d'arte nel tempo. Alcune parti possono essere suggerite, senza però fingere di poter restituire l'opera "al suo antico
Il restauro deve essere reversibile, per quanto possibile: il nostro intervento non è infallibile e un domani potremmo possedere tecniche migliori. Il restauro stesso è un atto storico, che può essere analizzato criticamente e ripensato.
Il restauro deve essere riconoscibile, ossia distinguibile dall'opera originale (da tutti, non solo dagli esperti del settore), in modo da consentire la lettura e il senso della composizione senza commettere un falso storico.
1972 | Carta del restauro
Essa si rifà alle teorie di Brandi. Ancora oggi ci si appella ad essa per le linee generali.
Le teorie di Brandi oggi
Dagli anni '60 in poi, in tema di restauro si apre un grande vuoto teorico: possiamo parlare di "effetto Vangelo", poiché l'impianto metodologico di Brandi è apparentemente così solido che nessuno ha più osato metterlo in discussione o fornire alternative. Tuttavia, sono ormai
moltele soluzioni da lui proposte che si rendono inapplicabili:• Bisognerebbe sottrarre all'artigiano il dominio sul restauro per darlo allo storico dell'arte, che dovrebbe però mantenere uno stretto contatto con la materia di studio. Tuttavia, oggi gli storici dell'arte non sono educati al patrimonio, poiché osservano le opere senza entrarvi realmente in contatto. Per contro, i restauratori stanno compensando questo gap specializzandosi sia sul piano pratico che teorico, con il rischio di delegare anche le scelte storiografiche.
• La valutazione diagnostica di un'opera d'arte, nell'organigramma di Brandi, è affidata allo storico dell'arte, ma di fatto in pochissimi sono oggi in grado di fornire pareri di carattere scientifico. Il 3+2, introdotto alla fine degli anni '90 (e, con esso, anche l'insegnamento di Storia del restauro), ha comportato l'introduzione di una struttura più rigida e
meno trasversale, dalla quale sono state escluse le materie scientifiche.
Negli anni '50 - '60, l'arte non aveva ancora raggiunto un livello di riproducibilità estremo, per cui il rapporto con l'unicità dell'opera era ancora molto stretto. Gli strumenti di integrazione dell'epoca di Brandi sono diversi da quelli che abbiamo oggi disponibili: è quindi necessario eliminare i restauri o è meglio lasciarli visibili, andando a formare una sorta di "storia del restauro" visibile al pubblico?
Michele Cordaro
La fine del XX secolo nel restauro
Durante la seconda metà del '900, il restauro ha ricevuto un forte impulso dalle calamità verificatesi: nel 1966 ci fu l'alluvione di Firenze, negli anni '70 i terremoti in centro Italia... Per questa ragione, dal 1970 si verifica un'apertura della storia dell'arte in ambito territoriale. Nel 1995, a Bergamo si tiene il
Convegno dei restauratori e del restauro, dedicato a Giovanni Secco Suardo. Si tratta quindi di un atto critico nei confronti della storia del restauro, un tentativo di storicizzare e rivedere anche figure che precedentemente erano state considerate secondarie o addirittura ininfluenti. In questo momento la storia dell'arte allarga il suo sguardo, ampliando il binomio artista-opera ad altre figure chiave, come mecenati, committenti e collezionisti. Lo stesso accade quindi con la storia del restauro e con le scelte ad esso connesse. Si può notare quindi uno spartiacque tra il periodo che va dal 1963 al 1999, e quello che va dal 2000 ad oggi. Negli ultimi anni, inoltre, si sta andando verso una sempre maggiore accettazione delle integrazioni mimetiche nel restauro. La nuova definizione di "restauro" per Treccani Nel 1994 Michele Cordaro, nuovo direttore ICR, viene incaricato di riformulare la definizione di restauro per l'Enciclopedia Treccani, doveafferma:8Urbani ha colto inoltre l'importanza di una programmazione degli interventi, fondata sull'ordine delle priorità e sul dimensionamento correlato delle risorse finanziarie e professionali, individuando anche gli aspetti quantitativi e qualitativi della formazione dei tecnici qualificati.
Cordaro cita qui il Piano Pilota per la conservazione programmata dei beni culturali, testato inizialmente in Umbria e poi esteso in forma di legge. In questi anni si diffonde infatti la convinzione che sia necessario focalizzarsi sulla preservazione nel tempo dell'opera d'arte (Cordaro impiega la definizione di Urbani di "scienza della conservazione").
Fa inoltre riferimento alla rivoluzione tecnologica, per la quale a metà anni '90 si passa, ad esempio, al microscopio elettronico. In questo periodo si inizia inoltre a riflettere sull'inquinamento e sul suo impatto sulla "salute" dei beni culturali.
Per aver
affermato che è possibile il "ristabilimento dell'unità potenziale" dell'opera d'arte, Brandi è ritenuto responsabile della disinvolta pratica distruttiva del restauro; la sua distinzione tra ''aspetto'' e ''struttura'' dei materiali costitutivi dell'opera comporterebbe inevitabilmente il sottovalutare i principi funzionali dell'organismo architettonico e favorirebbe la non considerazione, e l'alterazione, di importanti elementi della storicità del manufatto architettonico. In questa frase si può leggere anche tutta la problematicità del restauro di alcune opere contemporanee, realizzate in modo da essere sono volutamente deperibili. Cordaro riconosce quindi l'importanza di Brandi, ma allo stesso modo prende atto della necessità di modernizzare la teoria del restauro. Lo accusa inoltre di aver pensato esclusivamente alla pittura, senza