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Poi ci si accorgerà che il mercato non ha tutta questa capacità di redistribuire al meglio la ricchezza e le risorse
economiche (stato astensionista nel 1800). L’evoluzione successiva è il 1900, con la Prima Guerra Mondiale muore
lo stato liberale: l’evento bellico determina un cambiamento radicale della società perché è un conflitto che
coinvolge anche la popolazione determinando alti livelli di disoccupazione, povertà, distruzione e c’è anche un
aspetto sociale: finita la guerra chi ha sacrificato tutto per lo Stato pretende che gli sia riconosciuto un ruolo
diverso, avendo fatto tanto per la patria: i partiti di massa cominciano a veicolare questa richiesta. Compaiono i
partiti comunista, socialista, cattolico (partiti popolari, di massa. Nel 1800 sono considerati gruppi elitari, club
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Eleonora Biffi
esclusivi). Complessivamente le strutture dello stato liberale non sono più adeguate per dare risposta a una società
che è cambiata, che non è più quella di prima della guerra. L’evento che determina una rottura dello stato liberale
è la crisi economico-finanziaria del ‘29 che mette in ginocchio le economie capitalistiche. Vengono a mancare gli
strumenti istituzionali per dare risposte adeguate a questa nuova situazione. Definiamo così nel 1929 la forma di
stato attuale che è lo stato sociale: si supera la concezione astensionista e si passa alla concezione opposta in cui
lo stato deve intervenire, non può più astenersi. La teoria keynesiana prefigura strumenti per espandere l’economia
e portarla fuori da una crisi: lo stato non può più stare a guardare perché il mercato non ce la fa a creare un’ottimale
distribuzione delle risorse, il mercato fallisce quando non distribuisce equamente le risorse. I pubblici poteri non
possono ignorare le situazioni di disuguaglianza, devono adottare delle misure per eliminare le disuguaglianze che
non si possono accettare. Ciò che sta al centro a partire dal 1929 è l’obiettivo di raggiungere l’uguaglianza e
garantire a tutti uguali opportunità di vita. Lo stato sociale si consolida nella prima metà dello scorso secolo, si
sviluppa tanto in paesi come l’Italia che ha attraversato una fase di regime totalitario ma anche nei paesi
democratici come il Regno Unito. L’obiettivo centrale dello stato sociale è il perseguimento dell’uguaglianza
attraverso strutture e strumenti; per classificarlo si parla di stato interventista: strumenti di diretto intervento dello
stato nel sistema economico, lo stato non è più neutrale di fronte all’andamento economico ed è chiamato a
intervenire e correggere l’andamento economico se esso non genera benessere per tutti. È chiaro che lo stato
presenta dei fallimenti e non riesce ad allocare da solo le risorse economiche: dove non riesce lo stato, devono
intervenire i pubblici poteri. Lo stato entra con il suo capitale in imprese che altrimenti rischierebbero di fallire e
fallendo verrebbe meno il lavoro di una parte della popolazione, lo stato entra dove prima c’erano dei privati
assumendo il ruolo dell’imprenditore. Entra con capitale pubblico e diviene soggetto in grado di dare lavoro: quota
di economia pubblica: una buona parte del SE è nelle mani dello stato o di soggetti che dallo stato sono finanziati
(gli enti pubblici). Lo Stato diventa imprenditore e compete sui mercati con gli operatori economici (privati e
pubblici) come operatore pubblico, una buona parte delle banche verranno nazionalizzate. Nasce l’IRI: basi per
presenza quasi esclusiva dello stato nel credito. Un altro ruolo che caratterizza lo stato sociale è l’avvio di
programmi di creazione di infrastrutture per il paese che alzano il benessere economico e il livello di occupazione
(es. bonifica delle terre del Lazio con il fascismo, per creare nuovi posti di lavoro). È uno stato che comincia a
erogare prestazioni per le persone: in una prima fase molto casualmente (anni ‘30 e ‘40), successivamente allarga
il servizio dell’istruzione e garantendola a una fetta più ampia di popolazione (si parla di istruzione obbligatoria)
e si sviluppa il diritto alla previdenza (copertura finanziaria nella fase della vecchiaia che vada garantita ai
lavoratori; idea che i pubblici poteri coprano la vecchiaia a livello finanziario in un sistema di assicurazioni
obbligatorie che diventeranno una struttura pensionistica) che oggi è una grande voce nella spesa pubblica italiana.
Finalità dell’uguaglianza: lo stato non può ignorare il fatto che tutti gli individui non godano delle stesse condizioni
di vita e non hanno uguali opportunità di crescita umana, quindi c’è l’idea che lo stato deve fare qualcosa per
garantire a tutti uguali possibilità di crescita individuale. Uguaglianza sostanziale: fondamento dello stato sociale
del 1900. Stato sociale: forma di stato la cui principale finalità è garantire l’uguaglianza tra le persone e per
realizzarla occorrono misure e interventi da parte di tutti i pubblici poteri che fanno sì che esso sia interventista.
Quanto è interventista? Gli stati occidentali continuano a perseguire l’obiettivo dell’uguaglianza tra le persone ma
non è stata perseguita con la medesima intensità nel corso degli anni perché dipende molto dalle risorse che si
possono utilizzare; fasi in cui si potevano dedicare tante risorse allo stato sociale (anni ‘60 e ‘70 di massima
espansione, sì definì “stato assistenziale” anche se mancavano le risorse per erogare così tanti servizi),
successivamente fase discendente (anni ‘80 e ‘90) in cui gli interventi sono più limitati: si fa una scelta dei bisogni
da soddisfare in base alle risorse necessarie e disponibili. Lo stato sociale è variato nel tempo, c’è un livello alto
di prestazioni pubbliche e presenza nell’economia (fino al 1980), ma esso si ritira anche dall’economia con le
privatizzazioni (dal 1980 ha ceduto ai privati ed è uscito, non è più imprenditore nella stessa misura in cui lo era
quarant’anni fa. Lo Stato è uscito dalla diretta produzione di beni e servizi destinati al mercato assumendo un ruolo
nuovo. L’obiettivo dello stato è sempre quello di garantire l’uguaglianza tra le persone. Rapporto basato sul
riconoscimento di diritti di varia natura, questi diritti vengono riconosciuti a tutti indistintamente; l’elemento della
cittadinanza non è la regola per il riconoscimento di questi diritti (ad esclusione del diritto di voto). È una forma
di stato di diritto: stato nel quale il potere, che può essere esercitato dalle istituzioni, è limitato dalla legge e da
norme costituzionali. Il potere incontra sempre un limite sia da fonti costituzionali che da fonti primarie; il potere
deve essere limitato. 6
Eleonora Biffi
Le altre forme di stato sono:
a) Gli stati totalitari: forma di totalitarismo nel ‘900, stati autoritari che vedono la persona in funzione dei
pubblici poteri. Si afferma l’idea dello stato etico: la potenza dello stato è il fine a cui le persone sono
subordinate; lo Stato viene prima della persona, i diritti delle persone si possono eliminare e non c’è obbligo
a rispettarli.
b) Lo stato socialista (1917 a 1989): l’obiettivo fondamentale è creare uguaglianza tra gli individui che ha
potenziato al massimo i pubblici poteri tanto da eliminare la libertà dei singoli; si è ritenuto di eliminare alcuni
diritti di libertà delle persone e quindi lo stato aveva come obiettivo quello di dare a ciascuno secondo i suoi
bisogni eliminando la proprietà privata ed economica ed espandendo la sfera pubblica.
Forme di governo
Descrive il rapporto tra gli organi di vertice, tra i quali si distribuisce il potere. Finché il potere non si distribuisce
non riusciamo a distinguere una forma di governo (es. forma di stato assoluto in cui il potere era concentrato nel
sovrano, egli era il giudice di più alto livello e tutte le funzioni pubbliche erano concentrare nella sua figura e nel
suo potere). Quando lo stato di diritto si afferma dopo la Rivoluzione francese nel 1800 riusciamo a vedere questa
ripartizione dei poteri distinti: c’è un sovrano che detiene il potere esecutivo e che rimane al vertice del corpo dei
giudici, gli viene tolto il potere legislativo che viene dato ai parlamenti. Nel 1800 la distinzione fondamentale sia
tra repubblica o monarchia, che sono le due forme di governo alternative. Nel 1800 esistono tante monarchie: la
monarchia è la forma di governo dove c’è un potere trasmesso in via ereditaria, la repubblica invece è la forma di
governo in cui il popolo elegge il capo dello stato. Oggi la classificazione repubblica-monarchia non è decisiva
per capire come si ripartiscono i poteri. La classificazione che oggi si applica, invece, vede tre tipologie di forme
di governo. Le forme di governo servono per capire che rapporti intercorrono tra tre organi, che sono l’organo
rappresentativo (Parlamento), l’organo esecutivo (Governo) e l’organo capo dello stato. Tutto si origina
dall’organo sovrano da cui parte tutto che esprime la propria volontà: il popolo. Quattro funzioni pubbliche: la
quarta è la funzione di garanzia che è stata attribuita al capo dello stato. Le tre forme di governo sono:
a) Parlamentare: forma attuale nostra; si basa su uno strumento assente nelle altre forme di governo che è
peculiare, particolare rapporto che si instaura tra governo e parlamento, è il rapporto di fiducia (istituito della
fiducia: rapporto che per forza deve instaurarsi in questa forma di governo). Due concetti: controllo e
responsabilità; i poteri, secondo Montesquieu, si controllano e si limitano reciprocamente; in questo governo
questo controllo si forma sulla base della fiducia che il governo ottiene dalla maggioranza parlamentare. Nella
forma parlamentare c’è un particolare rapporto che lega governo e parlamento (rapporto di fiducia che svolge
la funzione di un controllo del parlamento sull’operato del governo ma al tempo stesso il governo risponde al
parlamento del suo operato, concetto di responsabilità delle proprie azioni). Come si formano questi organi?
La logica è che il corpo elettorale, il popolo, scelga solo ed esclusivamente i suoi rappresentanti in parlamento
a cui delega la sua sovranità; solo il parlamento ha una legittimazione popolare, il governo invece no perché è
il parlamento che lo esprime ed individua la maggioranza che sosterrà l’esecutivo (con cui si instaurerà il
rapporto di fiducia). Rapporto di fiducia tra maggioranza parlamentare ed esecutivo: l’opposizione della
minoranza è fuori da questo rapporto. Maggioranza parlamentare: frutto di una negoziazione politica