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La Costituzione italiana prevede un sistema di giustizia costituzionale accentrato, con un giudice ad hoc, ad
accesso indiretto, che prende il nome di Corte costituzionale.
Composizione
La Corte costituzionale è composta in totale da quindici giudici.
Di questi giudici, cinque sono eletti dal Parlamento in seduta comune, cinque sono nominati dal Presidente
della Repubblica e cinque sono eletti dalle supreme magistrature ordinarie e amministrative: in particolare,
tre sono eletti dalla Corte di cassazione (magistratura ordinaria), uno dal Consiglio di Stato ed uno dalla Corte
dei conti (magistrature amministrative).
Possono essere eletti giudici costituzionali i membri delle supreme magistrature, gli avvocati con più di venti
anni di professione, o i professori ordinari di Università in materie giuridiche.
La carica di giudice della Corte costituzionale ha una durata di nove anni, e non è ammessa la rielezione, per
cui uno stesso giudice non può essere rieletto più di una volta. La Corte costituzionale, infine, elegge al suo
interno il proprio Presidente.
Pregi e rischi della composizione
Si può osservare che la Corte costituzionale è un organo misto, e non composto totalmente da magistrati.
In genere, solo un terzo della Corte è composto, come si è visto, da magistrati professionisti: gli altri due terzi
sono invece eletti o nominati dall’organo legislativo e dal Capo di Stato, a propria discrezione. L’obiettivo di
una composizione mista è scongiurare la possibilità di corporativismo: si vuole evitare, cioè, che sia il potere
giudiziario ad avere il controllo totale sulla legislazione.
D’altra parte, la promiscuità dell’organo comporta dei rischi: il Parlamento, in genere, tende ad eleggere a
membri della Corte quei professori o quegli avvocati che hanno manifestato e praticato una certa sensibilità
politica, e che dunque abbiano una maggiore probabilità di approvare indiscriminatamente le sue leggi.
Per questo, i cinque membri nominati dal Capo di Stato esercitano la funzione fondamentale di ristabilire gli
equilibri politici all’interno della Corte: in genere, il Presidente della Repubblica nomina i propri cinque giudici
in modo che tutte le correnti politiche siano rappresentate più o meno equamente.
Si osservi dunque come la Corte costituzionale rappresenti, in realtà, anche un organo prettamente politico.
Giudizio di legittimità
La Costituzione attribuisce alla Corte costituzionale un insieme di funzioni: la trattazione seguente si focalizza
ad ogni modo solo sul giudizio di legittimità.
Giudizio di legittimità (definizione)
Il giudizio di legittimità è l’attività processuale con cui la Corte costituzionale verifica se una norma giuridica
sia o meno in contrasto con la Costituzione.
La Corte costituzionale è garante della supremazia della Costituzione come fonte di diritto: le è attribuita cioè
la funzione fondamentale di salvaguardia del criterio gerarchico fra le fonti. Questa funzione è esercitata
con una autentica attività processuale (in cui l’imputato è un atto normativo), che si conclude con un giudizio.
Il giudizio di legittimità è dato in via incidentale od in via principale: la seconda riguarda i rapporti tra Stato
e Regioni, e non è trattata in questa sede.
Giudizio in vita incidentale
Come già osservato, in Italia è previsto un sistema di giustizia costituzionale ad accesso indiretto: ciò significa
che la possibilità di richiedere un controllo costituzionale è preclusa ai normali cittadini.
D’altra parte, l’ordinamento italiano non prevede (al contrario di quello francese) alcun controllo preventivo
di costituzionalità: una funzione simile è attribuita al Presidente della Repubblica, che (se riscontra evidenti
vizi di incostituzionalità) può rinviare (per al massimo una volta) una legge alle Camere.
In Italia è previsto, al contrario, un giudizio in via incidentale, in cui la questione di legittimità costituzionale
è cioè sollevata nel corso di un giudizio di fronte ad un giudice.
Con questione di legittimità si intende, generalmente, una richiesta relativa alla legittimità costituzionale di
una norma giuridica: se esiste cioè un dubbio relativo al possibile contrasto di una norma con la Costituzione,
questo è sollevato nel corso di un processo, in via appunto incidentale.
Se nel corso di un processo si solleva una questione di legittimità costituzionale, questo incorre in una
sospensione: l’impossibilità di stabilire se una norma di riferimento sia costituzionale o meno inficia, cioè, la
capacità di giudizio del giudice.
Il giudizio di fronte ad un giudice è dunque la mediazione dei cittadini nel ricorso alla Corte costituzionale:
solo quando l’eccezione di incostituzionalità è risolta (attraverso la pronuncia della Corte) si può procedere
al giudizio.
Rischi legati all’incidentalità
L’incidentalità del giudizio di legittimità garantisce che siano sottoposte a giudizio della Corte solo norme che
abbiano prodotto i propri effetti, compresi eventuali problemi. D’altra parte, essa presenta almeno due rischi.
Il primo riguarda la possibilità che una legge non giunga mai di fronte al giudizio della Corte. Se nessuno crea
infatti l’eccezione di incostituzionalità nel corso di un processo di fronte al giudice, una legge potrà non essere
mai portata al giudizio di fronte alla Corte.
Il secondo rischio consiste nella possibilità di abuso delle parti delle questioni di legittimità: la sollevazione
di un’eccezione di incostituzionalità potrebbe infatti essere strumentalizzata per ritardare la sentenza.
Ammissibilità della questione
Per scongiurarne l’abuso, la Costituzione impone limiti all’ammissibilità della questione di legittimità: si tratta
di condizioni che la questione deve rispettare affinché possa essere ammessa al giudizio di legittimità.
Legittimazione (I)
Il primo, fondamentale requisito della questione è la cosiddetta legittimazione del giudice a quo: ciò significa
che la questione deve sorgere come eccezione di incostituzionalità nel corso di un giudizio di fronte ad un
giudice, detto appunto il giudice a quo.
Questa regola prevede delle eccezioni: in alcuni casi, ad esempio, si ammette che la questione sorga nel corso
di un giudizio ma non di fronte al giudice (se il sostituto del giudice è il Consiglio superiore della magistratura),
in altri si ammette che essa sorga di fronte ad un giudice ma non nel corso di un giudizio (ad esempio, l’attività
di verifica dei conti da parte della Corte dei conti è un sostituto del giudizio).
La giustificazione per queste eccezioni è che, semplicemente, se non ci fossero alcune norme giuridiche non
avrebbero modo di giungere al giudizio della Corte costituzionale.
Fonti primarie (II)
Il secondo limite richiede che l’oggetto della questione di legittimità sia una norma giuridica prodotta da una
fonte primaria del diritto oggettivo.
Questa regola prevede un’unica eccezione: i regolamenti parlamentari, che pur essendo fonti primarie non
sono ammessi al giudizio della Corte costituzionale.
D’altra parte, se la questione ha ad oggetto una norma che non è fonte primaria di diritto, si dice che la Corte
declina la propria giurisdizione (cioè non può esprimere giudizio): il controllo di legittimità costituzionale è
in questo caso svolto da un altro giudice, che si occupa in modo specializzato di fonti secondarie (in genere,
di regolamenti governativi) e che valuta la costituzionalità della norma attraverso un giudizio amministrativo.
Parametro (III)
Nel sollevare la questione di legittimità, il giudice a quo specifica alla Corte quale norma giuridica egli ritiene
sia stata violata dalla norma sottoposta a giudizio: tale norma giuridica, che si ritiene sia stata violata, è detta
parametro.
Il limite richiesto è che il parametro sia una norma costituzionale, o alternativamente una norma prodotta
da una fonte europea del diritto oggettivo.
Petitum autonomo (IV)
Nel processo, il petitum è la richiesta che chi agisce in giudizio fa di fronte al giudice. In questo caso, il vincolo
è che il petitum del giudizio a quo e quello del giudizio di legittimità siano autonomi, cioè non coincidenti:
se i due petita potessero coincidere, ci sarebbe infatti accesso diretto alla Corte.
Si incontra una eccezione notevole a questa regola nel caso del giudizio sulle leggi elettorali. Dopo la sua
approvazione, il Porcellum fu impugnato da un comitato di elettori di fronte ad un giudice ordinario: il
petitum era in quel caso la dichiarazione di incostituzionalità della nuova legge elettorale, e dunque lo stesso
che fu presentato alla Corte costituzionale da parte del giudice a quo.
Formalmente, la Corte avrebbe dovuto respingere la questione (per la mancanza di autonomia fra i petita):
in realtà, dopo una sentenza di II grado in cui la Corte d’appello declinava la propria giurisdizione, la Corte
costituzionale dichiarò incostituzionale il Porcellum, accogliendo la questione.
Ancora una volta, l’eccezione è giustificata dall’assenza di un giudice di legittimità costituzionale per una
legge come quella elettorale.
Rilevanza (V)
La questione di legittimità deve essere rilevante, e cioè indispensabile per la pronuncia del giudice a quo in
merito al giudizio in cui la questione è stata sollevata.
Nel linguaggio tecnico, si dice che la questione debba essere pregiudiziale rispetto alla sentenza del giudice
a quo: ciò significa, ancora una volta, che senza la sentenza della Corte costituzionale il giudice a quo non
può esprimersi, e dunque non può terminare il processo.
Il giudizio a quo non può essere dunque indipendente dalla decisione della Corte costituzionale.
Non manifesta infondatezza (VI)
La questione sollevata dal giudice a quo davanti alla Corte non può essere manifestamente infondata, ossia
assolutamente implausibile.
Il dubbio di incostituzionalità deve, in altre parole, avere un fondamento: la sollevazione di fronte alla Corte
di una questione palesemente infondata potrebbe nascondere infatti intenti dilatori sul sistema giudiziario
(potrebbe cioè esserci il sospetto che sia stata sollevata solo per ritardare una sentenza).
La fondatezza della questione è dichiarata dalla Corte costituzionale in sede di accoglimento della questione:
se la questione è dichiarata infondata, infatti, non c’è giudizio di legittimità, e la norma posta a giudizio viene
conservata; se invece la questione è dichiarata fondata, significa