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ART 47: ERRORE SUL FATTO
ART 5: ERRORE DI DIRITTO
NB: l’errore esclude il dolo
Art. 5 codice penale ERRORE DI DIRITTO: l’ignoranza della legge non esclude la punibilità. L’errore
di diritto, ossia la non conscenza della norma, non esclude la punibilità. La norma ha subito degli
aggiustamenti dopo la sentenza della corte costituzionale 1988, con la quale si teneva conto del
basso tasso di istruzione.
Art. 47 c.p. ERRORE SUL FATTO: Quello che dice il codice penale non vale sempre all’interno del
decreto 74/2000. Una di queste cose è l’ERRORE. Ci sono però delle norme comuni tra cui l’art.15.
Al primo comma recita: l'errore sul fatto che costituisce il reato esclude la punibilità dell'agente,
cioè c’è una diversità tra il fatto voluto e rappresentato e il fatto descritto dalla norma. C’è un
errore naturalistico: il soggetto agente non percepisce il disvalore della propria condotta, quindi
non percepisce la realtà per come essa è. Per errore s'intende una falsa rappresentazione della
realtà materiale (errore di fatto) o normativa (errore di diritto). Alla prima categoria appartiene il
caso del soggetto che coltiva una pianta che ritiene ornamentale, ma che è marijuana, mentre si
ritene errore di diritto quello in cui un soggetto cade ritenendo che le pasticche che detiene sia
una droga non considerata vietata dalla legge.
L'errore qui disciplinato è quello che incide sul processo formativo della volontà, che non deve
essere confuso con l'errore che riguarda l'esecuzione della pena (aberratio) disciplinato dagli
articoli 82 e 83.
Al secondo comma: “Non di meno, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è
esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo”.
L'errore di fatto, incidendo sul momento rappresentativo, esclude la punibilità a titolo di dolo. Nel
caso, però, lo stesso fatto possa essere punito anche a titolo di colpa, in quanto previsto come
reato colposo, il soggetto sarà chiamato a rispondere, previa valutazione della scusabilità o meno
dell'errore. L'errore scusabile si realizza quando nessun rimprovero, nemmeno di semplice
leggerezza, può essere mosso all'agente caduto in errore, mentre si dice errore inscusabile quando
è stato determinato da negligenza, imprudenza od imperizia dell'agente e, quindi, da sua colpa.
Bisogna vedere se il reato nasce solo come doloso oppure sia doloso che colposo.
Se io sono convinto di fare una dichiarazione dei redditi conforme alla normativa e poi per un
errore umano invio un documento sbagliato dell’anno prima, si applica l’art.47. Ci sarà
sicuramente un procedimento penale.
L’errore sul fatto scusa, limitatamente al comma 1, a meno che l’errore non sia dovuto da colpa e
la condotta sia conforme ad una fattispecie colposa prevista dall’ordinamento.
Errore di diritto: abbiamo già visto l’art.5 (errore sul precetto o sull’interpretazione della norma),
ora vediamo l’errore di dirtitto di cui al comma 3 dell’art 47: “L'errore su una legge diversa dalla .
legge penale esclude la punibilità, quando ha cagionato un errore sul fatto che costituisce il reato”
La legge diversa dalla legge penale sono tutte le norme al di fuori dal codice penale o altre leggi
penali cui fa rinvio e che diventano parte integrante del precetto oppure a cui la norma fa un
diretto rinvio senza incorporarle. Possono essere le norme amministrative, civili o tributarie.
NB: Tutti i reati tributari sono a dolo specifico perché viene detto “…al fine di omettere/evadere le
imposte”.
La dottrina tradizionale ha distinto tra norme integratrici cioè quelle sull’errore di diritto sul
precetto, che danno maggiore concretezza al precetto penale precisandolo (art. 5 c.p. – non
scusa), e norme autonoma, categoria residuale in cui rientrano tutte le altre norme extrapenali
(errore di diritto sul fatto, art. 47 co.3 c.p. - scusa)
. La norma extrapenale incorporata ha
trasformato lo stesso articolo in articolo uguale al 5, cioè errore di diritto sul precetto. Se non sono
incorporate non ricadono nell’errore di diritto sul precetto (però praticamente non esistono).
Adesso vediamo invece cosa fa il decreto 74/2000 all’art.15: violazioni dipendenti da
interpretazione delle norme tributarie. Nel diritto tributario penale vale questo.
Al di fuori delle ipotesi di cui all’art. 47 comma tre (ERRORE DI DIRITTO SUL PRECETTO) non c’è
punibilità solo se:
L’errore deve ricadere su una norma tributaria (leggi, decreti legge, D.Lgs e decreti
ministeriali)
L’errore deve derivare da una obiettiva condizione di incertezza sulla loro portata e sul loro
ambito di applicazione, cioè su dati oggettivi. Non si considera più il livello di istruzione del
soggetto agente, ma il dato normativo oscuro dovuto alla continua stratificazione della
normativa che viene colmato da circolari interpretative dell’Agenzia dell’entrate, pareri di
professionisti, ecc.
Pertanto l’art. 15 fa riferimento all’art. 5, cioè all’errore di interpretazione della norma che può
scusare, ma dall’altro lato dice anche che se si ha un elevato livello di istruzione non si è chiamati a
rispondere, a meno che non si è un conoscitore della norma (es. avvocato o commercialista).
RIPASSO: avevamo parlato dell’art.2 per definire le fatture inesistenti e avevamo anche parlato
dell’art. 8 che punisce l’emittente di fatture per operazioni inesistenti. L’emittente è punito
quando emette, mentre l’utilizzatore è punito quando presenta la dichiarazione fiscale che tiene
conto della fattura falsa. Il problema che presenta l’art.9 per concorso dell’emittente con
l’utilizzatore e viceversa.
Fattura per operazioni oggettivamente inesistenti emetto fattura per 10 anche se non ho reso
nessuna prestazione oppure emetto fattura per 10 ma ho reso prestazioni solo per 7, 6, 5,
comunque inferiore.
Fattura per operazioni soggettivamente inesistenti c’è un soggetto che fa la prestazione ma
c’è un altro soggetto diverso che emette la fattura. Tizio compra ferro da Caio ma la fattura a Tizio
la fa Sempronio. Fenomeno delicato perché Caio vende in nero (senza fattura), Sempronio emette
la fattura per prestazioni mai rese e Tizio che utilizza questa fattura per documentare una
prestazione che nella realtà esiste ma è stata resa da un soggetto diverso da colui che ha reso la
fattura. Non c’è dubbio che Tizio usi una fattura falsa punibile ai sensi dell’Art. 2. Il problema è se
viene indicato un elemento passivo fittizio in dichiarazione. C’è la fattura falsa, ma questo non mi
porta a elementi passivi fittizi perché Tizio ha effettivamente speso i soldi per acquistare il ferro,
quindi la prestazione effettivamente c’è. Per questo, è intervenuta la cassazione a dire che “per le
operazioni soggettivamente inesistenti l’utilizzatore non commette reato ai sensi dell’art.2 per la
sola imposizione diretta (IRES e IRAP)”. In sostanza: l’utilizzatore non evade nulla, perché il costo
l’ha effettivamente sostenuto ed è inerente. Nella prassi, però, diventa molto difficile da far valere
in giudizio perché l’imputato dovrebbe dimostrare che esiste un soggetto che gli ha venduto in
nero tutta quella merce che risulta dalla fattura emessa dalla cartiera.
Il problema si pone per l’IVA: il fatto che ci sia divergenza tra colui che fornisce la prestazione e
colui che ha emesso la fattura rende indetraibile l’IVA che ha corrisposto Tizio. Quindi se Tizio
inserisce in Dichiarazione IVA una fattura per operazioni soggettivamente inesistenti non può
detrarre l’IVA, perché l’IVA è una imposta che segue il principio formalistico, pertanto una fattura
con profilo di irregolarità comporta la non detraibilità dell’IVA.
Le imposte sui redditi, invece, seguono il principio sostanzialistico, nel senso che il costo viene
riconosciuto ed è fiscalmente rilevante se opportunamente dimostrato.
Nella prassi, se nella fattura c’è scritto 100, 95 sarà costo e 5 sarà di provvigione per la cartiera.
Quindi spesso si ha sia il profilo oggettivo sia il profilo soggettivo (oggettivo, perché i 5 sono un
costo indeducibile in quanto i costi per commettere reato sono indeducibili, e soggettivo perché
fattura e prestazione sono effettuate da soggetti diversi).
Art.3 portata residuale rispetto all’art.2
Riguarda sempre la presentazione della dichiarazione non conforme alla verità e c’è sempre un
elemento fraudolento a supporto. L’elemento ingannatorio in questione è di più ampia portata, si
dice che “la dichiarazione mendace deve essere supportata da comportamenti fraudolenti che
devono ostacolare l’attività di accertamento e devono dare luogo a falso contabile”.
Condotta trifasica:
1. Comportamento fraudolento
2. falso contabile
3. dichiarazione mendace.
Ci devono essere tutti e tre per essere punibili secondo l’art.3. Non può essere commesso
da chiunque, ma solo da chi ha obbligo di tenuta delle scritture contabili. Non sono molto
frequenti i casi di art.3.
In passato si riteneva che fosse rilevante ex art.3 chi utilizzava la fattura falsa “auto-costruita” dal
contribuente: la fattura è materialmente falsa perché proviene da un soggetto diverso da quello
che appare come emittente. Ad esempio: il contribuente copia il formato (comportamento
fraudolento) della fattura di un negozio e ne cambia l’importo. Se poi si fa un controllo incrociato
tra le fatture del negozio quella fattura in realtà non c’è, ma ci sono la dichiarazione mendace e la
contabilizzazione falsa.
Da qualche anno, la Cassazione ritiene che anche questa condotta ricada nell’art.2. L’art.2 è più
severo dell’art.3: la pena è la stessa ma l’art.3 prevede una soglia di punibilità di 30.000€ che l’art.
2 non ha. Indubbiamente i due reati hanno capacità ingannatoria diversa.
COSA RICADE NELL’ART. 3?:
Nell’art.3 ricade, per esempio, il caso in cui si fa il contratto di associazione in partecipazione, con
il quale un soggetto apporta un contributo, di capitale o di lavoro, e ottiene in cambio un diritto di
percepire un compenso (di solito una partecipazione agli utili). Per motivazioni inspiegabili, questo
tipo di contratto ha delle agevolazioni fiscali a condizione che vi sia un apporto d’opera. La
normativa fiscale prevede che nel con