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DISCIPLINA RADIOTELEVISIVA
La disciplina della televisione è uno dei momenti essenziali della democrazia perché
televisione generalista
secondo i dati la è il principale (se non l’unico) strumento
d’informazione.
Non è tanto importante come strumento d’informazione, che è una parte marginale tutto
sommato, ma come strumento d’influenza di mode, costumi, idee della società.
diritto della televisione
Per studiare il si deve partire da lontano, il primo fattore è
tecnologico che ha permesso lo sviluppo della televisione, la tecnica consentiva 1-2
canali televisivi e la disciplina ivi adottata non è adatta alla possibilità odierna di avere
accesso a strumenti e programmi su piattaforme diverse, non lineari (ma on demand); la
vecchia disciplina non ha più alcun senso.
principi
Rimangono dei di fondo:
principio del pluralismo informativo: pluralismo interno, impone soprattutto alla
concessionaria del servizio pubblico (RAI) l’obbligo di garantire la pluralità di voci
pluralismo esterno,
presenti nel Paese, e impone in primo luogo al legislatore di
garantire la presenza di più operatori in una posizione di concorrenza (nessuno in
una posizione dominante nei molti mercati che insieme rappresentano il settore
della radio televisione).
Questi principi sono stati ricavati dalla Corte Costituzionale dall’art 21 Cost, principi che
definiscono la cornice nella quale si situano i mezzi di comunicazione. L’art 21 non parla
di mezzi di comunicazione a parte la stampa, non accenna alla prospettiva informativa
della libertà di espressione, se non accennando agli obblighi di trasparenza dell’editoria,
non prevede un diritto/interesse ad essere informati (come prospettiva passiva), è
miope incapace di guardare avanti e vedere cosa sarebbero stati nei decenni successivi i
temi più importanti del diritto dei media. L’interpretazione della Corte ha permesso di
supplire alla mancanza di mezzi d’informazione in Costituzione, ma ha sostanzialmente
fallito per permettere al legislatore di dare attuazione concreta a questi principi.
radio
La nascita della si ha negli anni ’30, in Italia sotto il regime fascista; la TV comincia a
trasmettere nel ’54. radio e
In entrambi i casi, e in tutti i Paesi Europei, la radio e televisione nascono come
TV di Stato cioè affidate dallo Stato (con una legge) a una società a capitale pubblico.
Questo a differenza degli altri mezzi di comunicazione, come i giornali, i quali nascono e
rimangono sempre privati (pochi casi di giornali controllati da enti pubblici - fine anni ’50
ENI Mattei fonda “Il Giorno”). ragioni di ordine
La TV nasce come televisione di Stato, televisione pubblica, per
tecnologico, in quanto la possibilità di trasmettere segnali era molto limitata dalla
ragioni di ordine politico.
scarsità di risorse e frequenze, e per
La legislazione vietò con norme penali a soggetti non autorizzati (chiunque non stabilito
dalla legge) la possibilità di trasmettere segnali radiotelevisivo.
La questione venne subito posta nel dibattito pubblico in quanto un gruppo di soggetti a
Telebiella,
fine anni ’50 provarono a trasmettere su scala locale dei segnali radiotelevisi:
antenne poste sui case alte che arrivavano nel raggio di un quartiere.
Tali soggetti vennero processati per la norma penale prima indicata che vietava a tutti di
trasmettere via etere, e si pone alla Corte Costituzionale la legittimità di quella norma,
chiedendosi se il monopolio pubblico (e l’autorizzazione concessa dallo Stato) fosse
compatibile con l’art 21 Cost in quanto se riguardasse la stampa sarebbe
incostituzionalissima, perché comportava divieto generale alla libertà di manifestazione; la
Corte Costituzionale 59/1960 comincia a porre una serie di temi che rimarranno in tutta
la giurisprudenza della Corte.
1) Ci si trova in un sistema caratterizzato da scarsità di frequenze, non c’è spazio per
numero alti di soggetti, né a livello nazionale, né a livello locale, per questo motivo la TV
non può essere un mezzo ad accesso libero come la stampa.
pervasivo, penetrazione
2) Il mezzo è assai alta capacità di nelle case assolutamente
superiore a qualsiasi altro mezzo di comunicazione, “entra in casa senza bussare”. È il
mezzo più capace di influenzare i costumi e di incidere nel processo democratico (ai
tempi esisteva solo un canale che trasmetteva poche ore al giorno 18-22).
Allo stato della tecnica, l’unico soggetto che può garantire in qualche modo che la TV non
sia controllata da un potere eccessivo in mano a qualcuno è lo Stato (la Corte dichiara
infondata la questione e mantiene il monopolio pubblico).
Nel 1974-1976 la medesima questione torna alla Corte, rimesso in discussione il
monopolio della RAI, cambiando un po’ opinione con Corte Costituzionale 225/1974 e
226/1974 che riguardano le modalità di organizzazione del servizio pubblico, e 202/1976
che riguarda prima parziale apertura del sistema ai soggetti privati. Queste due sentenze
sono i due grandi pilastri che scrivono la storia della radiotelevisione per i decenni
successivi.
Prima sentenza Corte Costituzionae 225-226/1974.
L’affidamento esclusivo allo Stato è legittimo? La RAI, così come è organizzata, rispetta i
principi costituzionali?
La Corte conferma il monopolio pubblico, non ci sono le condizioni tali per cancellare il
monopolio e comunque dovrebbe farlo il legislatore (in quanto la Corte ha funzione di far
venire meno nell’ordinamento una disposizione, non di riscrivere la disciplina della
materia).
La Corte dice però che il modo in cui il servizio pubblico organizzato non rispetta la
Costituzione perché la RAI era sotto controllo del Governo, come tutti gli Enti Pubblici;
servizio pubblico essenziale
infatti la RAI è un che ha come funzione quella di garantire
che la pluralità delle voci presenti nella società possano essere conosciute dai cittadini,
diritto dei cittadini ad essere informati in modo completo, imparziale e plurale. La
pluralismo
RAI adempie ad una funzione, non opera in regime di libertà, garantire il
interno.
Per questo motivo l’organizzazione della RAI non può rimanere totalmente in capo al
Governo, non può essere né la nomina della grande parte degli organi di governo della
RAI (governance della RAI), né influenza indiretta negli indirizzi della RAI, nelle scelte
industriali o culturali che la RAI propone. L’obiettivo del pluralismo interno deve realizzarsi
separazione tra RAI e suo azionista.
attraverso una pluralismo interno, no controllo governativo.
Decalogo della Corte: 103/1975)
1 anno dopo il Parlamento approva la prima legge di riforma della RAI (L che
principio di indipendenza del
dà attuazione ai principi posti dalla Corte: specifica il
servizio pubblico principio del
(sia dal potere politico sia dai poteri economici),
pluralismo, principio dell’obiettività del servizio pubblico.
Tale legge attribuisce le funzioni di nomina, indirizzo e controllo del servizio pubblico al
commissione vigilanza RAI.
Parlamento, cioè a una commissione istituita detta
Si sottrae al Governo il controllo sul servizio pubblico, ma le forze politiche non
rappresentano l’intera società e poi la RAI subì il fenomeno della lottizzazione (spartizione
dei canali della RAI). La DC mantenne presa su RAI 1, e gli altri altri canali.
In pratica il principio del pluralismo venne interpretato come pluralità di programmi
partigiani, venne meno il principio d’indipendenza, più programmi che rappresentavano
ognuno una fazione politica; venute meno esigenze d’imparzialità e servizio pubblico
enunciate dalla Corte Costituzionale.
La RAI sicuramente è più plurale, ma sicuramente sotto il controllo della sfera politica
(oltre che della sfera pubblica).
Il Consiglio d’amministrazione della RAI divenne un organo molto ampio (15-20 membri)
eletti dalla Commissione di Vigilanza secondo un sistema proporzionale: il Consiglio
d’Amministrazione della RAI divenne un parlamentino che rispecchiava la composizione
proporzionale del Parlamento, al fine di lottizzare.
Sentenza Corte Costituzionale del 1976.
Sempre nel biennio 74-76 Corte conferma il monopolio pubblico, viene chiamata a
Corte nel ’76
pronunciarsi nuovamente la ma ci fu un grande innovamento tecnologico.
A livello nazionale solo il legislatore può introdurre una normativa che disciplini il sistema
radiotelevisivo secondo il principio del pluralismo esterno, della garanzia della presenza di
più soggetti del mercato.
A livello locale invece questo problema non è più presente nel nostro ordinamento: i costi
d’accesso sono minori, la tecnica consente la presenza di più soggetti e dunque il
monopolio accezione al principio dell’art 21 non ha più ragion d’essere. Pertanto la Corte
dichiara incostituzionale la norma che vietava la trasmissione di segnali radiotelevisi per
radio locale
quanto riguarda la (anche per quanto riguarda le televisioni straniere di
trasmettere in Italia). Si televisione nazionale, no televisione locale, per il pluralismo.
Questo comportò la nascita di una miriade di radio e televisioni a livello locale.
network,
Alcune televisioni locali cominciarono a consorziarsi, cioè erano tante televisioni
locali ma nei fatti erano un’unica televisione che trasmettevano lo stesso programma, la
stessa pubblicità. Grazie all’intervento della Corte e nell’inerzia del legislatore, mancava
qualsiasi regolamentazione delle frequenza: l’etere è un bene pubblico pertanto dovrebbe
essere disciplinato il suo uso, dopo la sentenza della Corte (non disciplinando l’uso delle
frequenze) le varie televisioni locali hanno costruito grandi antenne dove il segnale più
forte cancellava le frequenze del segnale più debole; l’assegnazione delle frequenze
avviene sulla base della capacità economica della trasmissione.
Si raggruppano 3 grandi network che nel giro di diversi anni diventano tutti di un unico
soggetto: si realizza fuori da una legislazione quel monopolio privato sulla televisione
nazionale che la Corte aveva detto a suo tempo non avrebbe dovuto esserci.
1981 Corte Costituzionale
Nel c’è quindi nuova pronuncia: Fininvest in un processo
chiede di sollevare questione di legittimità costituzionale del monopolio su scala
nazionale, la Corte invece per garantire il pluralismo esterno, per evitare concentrazioni
televisive forti, il monopolio in assenza di un intervento del legislatore andava confermato.
Serve normativa antitrust seria dal