Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
PIEDE DI CHARCOT
L’osteoartropatia di Charcot (NOA) è una malattia progressiva cronica dell’osso e delle articolazione,
caratterizzata da distruzione asintomatica o scarsamente dolente delle strutture ossee e articolari. È
molto diffusa nel diabetico come conseguenza della neuropatia, ma può interessare anche soggetti
non diabetici ma affetti da una neuropatia. Solitamente ha insorgenza monolaterale, ma il piede
controlaterale si ammala poco tempo dopo la diagnosi, poiché si va a caricare su quello innescando
gli stessi processi che hanno portato all’insorgenza della NOA sul primo piede malato. Ad oggi
esistono diverse teorie eziopatogenetiche:
Ipotesi Neurotraumatica. Il trigger di questa teoria viene ritrovato nel traumatismo. Durante un
trauma, fisiologicamente, si dovrebbe attivare il riflesso asso-assonale, per cui i recettori, stirati in
maniera brusca, originano un riflesso locale che provoca vasodilatazione e dolore. La neuropatia
determina un’alterazione della sensibilità e assenza di questo riflesso, per cui i pazienti neuropatici
non si rendono conto del trauma locale, che determina un processo flogistico localizzato. Il trauma
continua, assieme all’infiammazione che attiva i processi di rimodellamento, in particolare gli 8
osteoclasti, che degradano osso e matrice extracellulare, indebolendo l’osso stesso che sarà più
sottoposto a traumi.
Ipotesi Neurovascolare o Neurotrofica. Il trigger di questa teoria viene ritrovato nell’infiammazione.
La neuropatia autonomica determina la perdita del controllo vasomotorio, quindi a livello osseo si
verifica un aumento del flusso di sangue, infiammazione, che comporta un riassorbimento
dell’osso, che quindi diventa più fragile. Questa teoria e la precedente, da studi recenti, è stato
visto che sono correlate.
Ipotesi Alterazione del Metabolismo Osseo. Questa teoria è nata in tempi più recenti. Nei pazienti
affetti da NOA abbiamo un’aumentata attività osteoclastica, ovvero delle cellule che derivano dalla
differenziazione di monociti e macrofagi circolanti, che degradano la marice tramite enzimi litici.
Ciò deriva da un’alterazione del sistema RANK-L, che regola l’attività osteoclastica. RANK-L è una
proteina che si esprime sulla membrana cellulare degli osteoclasti e che viene inibita
dall’osteoprostigerina. Nei pazienti con charcot questo recettore non si attiva correttamente, inoltre
per cause genetiche tendono ad avere un’attività osteoclastica aumentata per aumentati fattori di
crescita. Inoltre, la neuropatia comporta perdita di secrezione di un neuro peptide, il CGRP, che
attiva l’osteogenesi, quindi l’attività osteoblastica. Per questi due motivi, si crea uno squilibrio che
tende a far riassorbire l’osso.
A livello locale si crea una flogosi cronica, che però non ha manifestazioni a livello sistemico, che
determina a sua volta il riassorbimento osseo e fratture. Esiste un’alternanza fra fase acuta, fase di
attività e fase di stabilità. La flogosi alterna fasi acute e di quiescenza, con costante possibilità di
riattivazione. La NOA inizia a livello articolare, continua a livello osseo e termina nuovamente a livello
articolare. Se non trattato adeguatamente, soprattutto in fase acuta, si ha la strutturazione delle
deformità, con aumento del rischio ulcerativo. Il NOA può essere classificato in due modi, in base alla
fase in cui viene diagnosticato o in base alla zona di compromissione. La classificazione clinica di
Eichenholtz divide il piede di Charcot in:
Fase acuta. A livello locale possiamo notare segni di flogosi e elevata instabilità, mentre a livello
radiografico possiamo osservare riassorbimento osseo ed erosioni della cartilagine.
Fase di Coalescenza. A livello locale possiamo notare una riduzione della flogosi, un aumento
dell’instabilità a una deformità residua, mentre e livello radiografico possiamo notare
riassorbimento osseo e consolidamento delle fratture.
Fase di rimodellamento. Non è presente una flogosi acuta, ma cronica, inoltre si ha le
strutturazione delle deformità. A livello radiografico si può notare neoformazione ossea periostale,
sclerosi ossea e consolidamento della frattura.
La classificazione Di Sanders e Frykberg si basa invece sulla sede:
1. Compromissione di avampiede (IF e MTF). Determina un basso rischio amputativo e basso
rischio instabilità residua.
2. Compromissione di Lisfrank. È la sede più frequente, che determina un alto rischio amputativo e
alta instabilità residua.
3. Compromissione della Chopart (Naviculo-cuneiforme e talvolta calcaneo-cuboidea). Determina
un alto rischio amputativo e alta instabilità residua.
4. Compromissione della caviglia. Determina un altissimo rischio amputativo e altissima instabilità
5. Compromissione del calcagno. È la sede meno frequente, e determina un basso rischio
amputativo e bassa instabilità residua.
È molto frequente la lateralizzazione dell’avampiede rispetto al mesopiede, con conseguente
esposizione dello scafoide e frequente ulcerazione del mesopiede. Quando viene compromesso il
calcagno, si può avere il distacco del tubercolo posteriore che viene riportato in alto dal tendine 9
d’Achille. Tra le deformità più frequenti troviamo il piede a dondolo, poiché la tibia sfonda l’astragalo,
con conseguente perdita della SA e la tibia entra a diretto contatto con la zona plantare. Inoltre si ha il
crollo del cuboide, che determina anch’esso un elevato rischio ulcerativo. La diagnosi di questa
patologia è fondamentale ma allo stesso tempo difficile, poiché mancano test specifici e si può
individuare solo con l’esame clinico. Se non trattata tempestivamente e in maniera adeguata, può
portare a gravi conseguenze, poiché evolve con una distruzione completa del piede e un elevato
rischio ulcerativo, che può evolvere in infezione, amputazione e addirittura in morte. L’elevata
mortalità legata al piede di Charcot deriva dal fatto che essa è una manifestazione di una situazione
patologica più importante. Entra in diagnosi differenziale con erisipela, gotta, artrite settica,
osteomielite e distorsione. In fase acuta si possono osservare segni locali di flogosi, dolore assente o
lieve, alta instabilità e differenza di temperatura tra i due piedi maggiore di 2°C. Si eseguono a questo
punto esami di imaging e biochimici, ovvero:
RX. A livello radiografico si va a studiare l’articolazione di Lisfrank, poiché la rottura del
legamento a Y è un segno patognomico di piede di Charcot. Viene fatta in proiezione
anteroposteriore, per vedere falangi e metatarsi, laterolaterale per vedere calcagno, astragalo, TT
e SA, e obliqua, per vedere meglio il tarso.
RMN. Occorre per fare diagnosi differenziale con l’osteomielite.
Esami del sangue. Possono essere presenti, in maniera elevata, gli indici di flogosi, come la VES
e la PCR.
Biopsia ossea TC guidata. Occorre per valutare se siamo in presenza di un piede di Charcot con
l’osteomielite o senza.
L’anamnesi spesso individua l’insorgenza della NOA dopo un trauma, anche lieve, o dopo un
intervento chirurgico, e i pazienti riferiscono dolore non marcato, spesso da indolenzimento, e si può
osservare l’edema. Si devono inoltre valutare i riflessi (sempre compromessi), l’ABI, il monofilamento
e le circonferenze, malleolare e dorsale, tra i due piedi, per valutare la presenza di edema. In fase
cronica, quindi con deformità strutturata, la diagnosi è ancora più complicata, poiché si ha remissione
della flogosi, deformità strutturata, rigidità articolare, instabilità variabile e ulcerazioni a livello delle
salienze ossee. Il trattamento in fase acuta prevede lo scarico assoluto del piede. Il paziente non
deve deambulare, per eliminare la noxa lesiva a livello del piede e quindi prevenire l’insorgenza di
una deformità. Il gold standard prevede un apparecchio gessato non rimovibile, da tenere in sede una
settimana. A questo punto si deve rifare poiché l’edema si è riassorbito e quindi il gesso non è più
adeso al piede, e si tiene in sede per circa un mese, con controlli periodici. Si può eliminare il gesso,
comunque, quando gli esami radiografici mostrano la regressione del riassorbimento osseo. i tempi di
stabilizzazione variano dai 6 mesi ai 2 anni. Ad oggi si possono utilizzare anche il gambaletto a
contatto totale o tutori pneumatici. Nei pazienti in fase cronica è importante far utilizzare calzature con
contrafforti laterali alti, per contrastare l’instabilità di caviglia. Nei casi più gravi si può ricorrere
all’intervento chirurgico.
BIOMECCANICA E VALUTAZIONE FUNZIONALE NEL PAZIENTE DIABETICO
La biomeccanica è quella scienza che studia le forze che agiscono sui tessuti, e in particolare nel
diabetico studia gli effetti sulla funzionalità dell’organismo. Essa deve essere effettuata, assieme ad
esame obiettivo e altre indagini, per inserire il paziente nella classe di rischio adeguata, per poter fare
una corretta prevenzione, e in fase acuta per attuare un adeguato trattamento. Il ciclo del passo è
formato da varie fasi, e il piede si comporta come un’elica, poiché deve assorbire l’impatto al suolo
tramite la pronazione di SA e la dorsiflessione di MT, stabilizzare il corpo a terra e garantire la
progressione, caricando sull’avampiede grazie alla dorsiflessione delle MTF. Nella fase di appoggio, il
piede è sottoposto a diverse forze, tra cui la forza peso e la forza di reazione al suolo, data da tre
componenti, che possono essere tradotte nella formula p=F/S, direttamente proporzionale alla classe
di rischio. I pazienti neuropatici hanno una deambulazione diversa, che comporta un maggior rischio
10
ulcerativo poiché esso è legato prevalentemente alla neuropatia. Le tre forme di neuropatia
influiscono in modo diverso ma sempre negativamente a livello del piede e quanto più è grave la
neuropatia, quanto più aumenta l’energia scaricata a livello avampodalico.
La neuropatia sensitiva comporta che il soggetto non ha stimoli di natura sensitiva, quindi può andare
incontro a lesione. I pazienti non vedono la pianta del loro piede e non si rendono conto dell’entità
dell’ipercheratosi che si sta creando a livello plantare, che evolverà poi in lesione. Questo perché
l’ipercheratosi si comporta in maniera diversa rispetto al tessuto sottostante, tendendo a rimanere
fermo e muoversi prima. A questo punto si creano forze tangenziali che strappano le giunzioni
dermoepidermiche, quindi emorragie, e poi fessurazione dell’ipercheratosi, con possibile infe