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GLI OSSIGENATORI
Il bypass cardio-polmonare dovrà sostituire anche la funzione del polmone, perché il sangue viene prelevato
dalla vena (atrio destro o vene cave) e rimesso nell’arco aortico, bypassando la circolazione polmonare che
rimuove CO2 e immette ossigeno.
L’ossigenatore si trova al di sotto del reservoir, ed è la parte più bassa del circuito, quasi a livello del
pavimento. È formato da due camere: inferiore e superiore. La prima cosa che si cerca di fare è controllare
la temperatura, perché la curva di saturazione dell’emoglobina cambia con la temperatura. Il sangue entra
dalla parte inferiore del dispositivo insieme a due tubi che sono quelli del circuito che deve riscaldare il sangue
(le membrane non scambiano niente). Potremo modificare la portata e la temperatura del fluido con dei
termostati e una pompa che farà ricircolare la quantità di fluido che serve. Il sangue entra poi
nell’ossigenatore dalla parte interna. Questo è costituito da un fascio tubiero: all’inizio non c’erano
membrane con una permeabilità adeguata quindi si cercava di gorgogliare all’interno di un reservoir
l’ossigeno, in modo da far passare delle bolle che rilasciavano l’ossigeno nel sangue. A livello di shear stress
queste scoppiano e creano molta schiuma traumatizzando il sangue perché vengono riportate delle bolle nel
sangue. Negli anni 70 si è cominciato ad utilizzare membrane costituite da fibre cave, da una grande
superficie filtrante in un volume abbastanza ridotto (il volume di priming deve essere in una quantità piccola).
Dobbiamo compattare all’interno di questo volume una parte esterna alle fibre dove passa il sangue che sia
il più piccolo possibile. Lo spazio tra una fibra e l’altra è piccolo, in più quando il sangue lo percorre permette
di rompere i filetti il fluido scambiando l’ossigeno con il sangue. L’ossigeno sarà perfuso all’interno della
membrana mentre il sangue passa all’esterno. Hanno una direzione perpendicolare. Di solito ho sempre
tanto ossigeno all’interno della fibra. Il passaggio trasversale permette di ossigenare il sangue. Il sangue esce
ossigenato e dall’ingresso passa nella parte superiore del filtro, poi scendendo in quella esterna e da lì
raccoglie in un condotto. Sopra c’è uno sfiato per far
uscire le bolle in modo che non entrino in circolo. Dal
punto di vista del passaggio dell’ossigeno e della CO2, la
quantità di ossigeno che possiamo avere nel sangue
dipende dalla pressione parziale (100ml di mercurio
fisiologica). C’è una solubilità diversa dell’ossigeno
nell’aria e nel liquido. La poca solubilità dell’ossigeno nel
liquido è quello che ci impone di immagazzinare
l’ossigeno nell’emoglobina e non nella parte plasmatica.
Quindi l’ossigeno dal gas passa nel plasma e verrà
successivamente trasferito all’emoglobina. Avremo la necessità di far passare l’ossigeno attraverso
membrane permeabili, perché il passaggio dell’ossigeno dal gas al plasma avverrà per diffusione. La molecola
diffonde bene perché è molto piccola. Dovremo però considerare membrane con diverse permeabilità. La
stessa cosa avviene per la CO2 che ha una solubilità maggiore. Quindi si avrà una quantità maggiore di CO2
a parità di pressione parziale. Dovrò sempre rimuoverla per diffusività attraverso la membrana, che sarà
minore perché è più grossa dell’ossigeno. Devo fare in modo di trasportare queste quantità di ossigeno e CO2
attraverso le membrane.
Curva di saturazione: a seconda della pressione parziale dell’ossigeno posso avere una certa quantità di
emoglobina saturata, che aumenta aumentando la pressione parziale. Sui 100ml di mercurio non riesco più
a conferire ossigeno all’emoglobina perché i siti sono tutti impegnati.
La pressione parziale dei gas si misura facilmente nella circolazione extracorporea, dell’ossigeno e della CO2.
Se prendo un campione che mi dà la pressione parziale dell’ossigeno, a livello venoso mi misurerà circa 40ml
di mercurio e invece a livello arterioso circa 90-95. La curva dipende dalla solubilità dell’ossigeno all’interno
del plasma. A seconda della curva di saturazione dell’emoglobina, cambiando la pressione parziale del gas in
contatto col fluido, posso trasferire una quantità di ossigeno all’interno.
La curva varia molto con le condizioni a cui il sangue è esposto:
- Temperatura: con temperature basse posso mandare più emoglobina all’interno del fluido con
pressioni parziali minori che permettono di ossigenare meglio (30-32 gradi).
- pH: dipende dalla quantità di CO che abbiamo che produce bicarbonato e cambia il pH. Se il pH
2
diventa acido o basico posso avere diverse curve di saturazione.
- CO2: riesco a togliere l’ossigeno dal sangue venoso quando arriva nella circolazione capillare dove
cambia la concentrazione di CO2.
- Difosfoglicerato: composto presente nei globuli rossi.
Confronto con circolazione polmonare: Non riusciamo a riprodurre la stessa geometria,
perché nel polmone passa una portata molto
simile a quella dell’ossigenatore. Abbiamo una
perdita di carico di soli 12ml di mercurio nei
polmoni, mentre nell’ossigenatore si arriva anche
a 200 perché il sangue deve passare tra tutti i
percorsi che ci sono tra una fibra e l’altra che
creano una certa resistenza al passaggio. Nel
polmone il volume è di 1l, mentre
nell’ossigenatore si può arrivare anche a 4. Quello che varia abbastanza è lo spessore del film di sangue, che
negli alveoli è di solo 5-10micron mentre negli ossigenatori 100-300. Qui ho una distanza di diffusione più di
20 volte di quella fisiologica, quindi funziona molto peggio rispetto al polmone. Dal punto di vista della
lunghezza del condotto, i capillari nel polmone sono molto corti ma in quantità elevata, nell’ossigenatore si
parla di cm. Il tempo di contatto negli alveoli è piccolo, nell’ossigenatore è più alto: questo mi va bene perché
se il passaggio non sarà efficiente potrò applicarlo per tempi più lunghi. La superficie nei polmoni è 70m
quadri, nell’ossigenatore si arriva solamente a qualche metro quadro. La portata del gas è di 7l/min con la
respirazione, nell’ossigenatore è variabile a seconda di quello che decido. La quantità di CO2 può variare in
maniera eccessiva, andando a modificare completamente le concentrazioni. Se ne rimuovo troppa avrò dei
problemi perché cambia il pH. Posso compensare mettendo un po’ di CO2 nel lato gas. Allora posso diminuire
il delta P perché la permeabilità della membrana sarà fissa.
Ci sono quindi delle differenze per quanto riguarda il funzionamento e il perfusionista dovrà stare attento a
non togliere troppa CO2 o a non avere abbastanza ossigeno o averne troppo. Servirà quindi una membrana
ben permeabile. Oggi sono prevalentemente di polisulfone o polipropilene idrofobico. I micropori
permettono di avere solo i gas perché la tensione superficiale impedisce al fluido di entrare e porta l’ossigeno
molto vicino alla fase fluida. A seconda del polimero ho permeabilità completamente diverse. Servirebbero
delle permeabilità all’ossigeno e alla CO2 abbastanza bilanciate. Dei materiali hanno delle permeabilità molto
basse e non permettono di utilizzare membrane a fibra cava che fossero utilizzabili per gli ossigenatori nella
circolazione extracorporea. Poi sono stati inventati materiali più permeabili: il silicone ad esempio è molto
permeabile all’ossigeno. Queste membrane sarebbero le migliori per l’ossigenatore, ma non interagiscono
bene col sangue inducendo l’adesione delle proteine e delle piastrine. Quello che si usa è lo stesso dei filtri e
dei dializzatori (con uno spessore maggiore), che garantisce la permeabilità sufficiente.
Periodicamente viene effettuato un prelievo di sangue. Il chirurgo prende il campione, chiude subito la siringa
(per far sì che non vada a contatto con l’aria) e la inserisce in un gas analizzatore che permette di verificare
le pressioni parziali di ossigeno e CO2. In questo modo si controlla se le quantità sono adeguate. In caso
contrario devo intervenire sulla macchina. Non posso intervenire cambiando le portate. L’unica possibilità
che abbiamo è variare le pressioni dei gas. La CO2 da trasferire deve essere l’80% dell’ossigeno. Il rapporto
tra le due deve rimanere costante. Si potrà quindi modificare la quantità di CO2 che ho nel condotto nel lato
gas, bilanciando il tutto. Se riesco a monitorare la cosa, dovrò continuare a tenere sotto controllo tramite un
sistema di monitoraggio in linea. Il chirurgo nel frattempo sta operando, per cui questo compito spetta al
perfusionista.
Il sistema dovrà permettere di lavorare durante tutto il periodo della circolazione extracorporea utilizzata
nell’intervento. Se il tutto è fatto nel modo corretto il paziente alla fine potrà essere risvegliato e tutti gli
organi funzioneranno correttamente. Se le pressioni invece sono state modificate in maniera importante
alcuni organi potrebbero essere compromessi. Il problema principale è quello di compromettere la funzione
del rene. Alcuni hanno un problema temporale (insufficienza renale acuta) mentre alcuni vanno incontro ad
un’insufficienza renale cronica portando ad avere un paziente dialitico.
Ventricular Assit Device
Se il paziente ha patologie importanti va incontro ad alterazioni della funzione cardiaca che non
permettono di sopportare il carico che l'organismo richiede, il cuore può quindi non reggere la normale
funzione cardiaca. Vengono attuati sistemi di compenso in cui il cuore cerca di aumentare la quantità di
perfusione per aumentare il riempimento del ventricolo e la pressione di perfusione per vincere delle
resistenze. In seguito a questi eventi il cuore va incontro a cambiamenti strutturali, come la cardiopatia
dilatativa, poiché il ventricolo deve riempirsi sempre di più la parete si distende si assottiglia e la forza
della contrazione non è efficiente. La stessa situazione si verifica se una parte del tessuto miocardico è
necrotizzato e quindi non riesce a contrarsi. All'inizio si ha un aumento della gittata sistolica ma a lungo
questa situazione non può essere sostenuta. Tutti i meccanismi di compenso sono meccanismi che
all'inizio permettono di sopravvivere con sintomi abbastanza lievi, tuttavia si arriva ad un punto in cui
l'organismo non riesce a fornire ai tessuti la quantit&agrav