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In essa Wolff afferma che “sotto carico e in seguito ad alterazioni patologiche della
forma esterna degli elementi ossei, la trasformazione dell’architettura dell’osso
segue leggi matematiche”.
Nell’ipotesi traiettoriale dell’osso trabecolare egli sostiene che la distribuzione e
l’orientazione delle trabecole si altera al variare della storia di carico.
Esistono tre processi distinti in cui si osserva una chiara correlazione tra azioni
meccaniche e riorganizzazione strutturale del tessuto osseo.
1. Bone modeling (processo di formazione per accrescimento). La forma delle
ossa appare ottimizzata rispetto alla funzione meccanica a cui esse sono
sottoposte. Tale forma non risulta essere completamente codificata a livello
genetico e quindi definita su base evoluzionistica; al contrario essa è in parte il
risultato di un processo epigenetico.
2. Bone healing (processo di riparazione delle fratture). La riorganizzazione
morfologica e strutturale che si osserva ad esempio in casi di fratture mal
ridotte è stato sempre riportato come una delle evidenze principali a
supporto della teoria di Wolff. In questi casi si osserva una importante
riorganizzazione del tessuto osseo attorno alla rima di frattura.
3. Bone turnover (ricambio osseo). Durante la giornata ogni osso è soggetto a
una storia di carico. Sotto l’azione della storia di carico l’osso è soggetto ad un
continuo processo di ricambio della sua matrice extracellulare al fine di
garantire l’omeostasi calcica nel sangue e l’integrità strutturale dello
scheletro. Questo processo avviene mediante una sequenza di riassorbimento
osteoclastico seguito da una fase di deposizione osteoblastica e successiva
mineralizzazione della matrice collagenica neoformata.
I processi descritti mostrano che c’è certamente un legame importante tra la
morfologia ossea e le condizioni funzionali meccaniche, ma risulta ancora
impossibile stabilire la relazione tra carichi meccanici e stimolazione ed inibizione
dei processi di apposizione e riassorbimento ossei.
Gli esperimenti condotti si possono classificare in due grandi gruppi: quelli tesi ad
indurre ipertrofia o deposizione e quelli tesi a indurre atrofia o riassorbimento.
Gli esperimenti sull’atrofia ossea sono tutti basati su tre tecniche: permanenza a
letto, assenza di gravità ed immobilizzazione.
Nel caso di esperimenti volti ad investigare il processo di apposizione ossea in
condizioni di carico ipernormali, vengono solitamente adottate due strategie:
chirurgica e non chirurgica. Nel primo caso l’alterazione del carico fisiologico avviene
o per alterazione chirurgica dell’anatomia o mediante l’inserzione di dispositivi simili
a fissatori esterni i quali impongono al segmento osseo storie di carico esterne
controllate.
Sulla base dei risultati degli esperimenti si può affermare che:
1. Quando un segmento osseo di supporto viene esposto a livelli di
sollecitazione significativamente diversi da quelli fisiologici esso reagisce con
variazioni di massa tissutale legati alla variazione di carico imposta;
2. In esperimenti di lunga permanenza a letto è stato osservato che le ossa più
sollecitate in condizioni fisiologiche tendono a demineralizzarsi
maggiormente.
D’altra parte strutture ossee come la bulla timpanica delle balene o le corna dei
cervi, che non vengono sollecitate meccanicamente per lunghi periodi, non
mostrano fenomeni di atrofia.
Per quanto riguarda gli esperimenti di atrofia si può osservare che nessuno di questi
esperimenti mostra una qualsiasi correlazione tra il livello di riduzione del carico e
l’atrofia osservata.
Riassumendo:
1. Alcuni elementi ossei hanno una predominante funzione di protezione quindi
è importante che la loro morfologia resti inalterata;
2. Altri elementi ossei hanno come principale funzione quella di sopportare
carichi meccanici ciclici.
I primi sono sostanzialmente scarichi e si ipotizza un sostanziale controllo genetico
sulle funzioni rigenerative del tessuto. Nei secondi il controllo del rimodellamento è
prevalentemente legato agli stimoli meccanici; l’adattamento strutturale varia osso
per osso e zona per zona.
Il rimodellamento osseo viene simulato sia analiticamente sia numericamente.
In numerose pubblicazioni viene sviluppata una teoria dell’elasticità adattiva per
quanto riguarda la forma per modellizzare il rimodellamento superficiale osseo
indotto dalle deformazioni.
08 lezione articolazioni
In base alla loro mobilità le articolazioni possono classificarsi in tre gruppi:
1. Articolazioni immobili o sinartrosi o articolazioni fibrose: le ossa sono unite da
fibre di collagene. Non è consentito alcun movimento. Nel cranio.
2. Articolazioni semimobili o anfiartrosi o articolazioni cartilaginee: le ossa sono
tenute insieme da fibrocartilagine. Sono permessi piccoli movimenti.
Vertebre, sinfisi pubica.
3. Articolazioni mobili o diartrosi o articolazioni sinoviali: le ossa sono tenute
insieme da legamenti e muscoli. Consentono ampi movimenti. Le estremità
dell’osso sono ricoperte da cartilagine articolare.
In base alla forma della superficie articolare, le articolazioni mobili si dividono in:
1. Enartrosi: articolazione mobile a superfici articolari sferiche.
2. Artrodia: articolazione mobile a superfici piane.
Durante lo sviluppo dell’organismo la maggior parte dello scheletro è cartilagineo e
viene mineralizzato. Le cartilagini sono infatti tessuti connettivi assai simili al tessuto
osseo; il tessuto osseo si distingue da quello cartilagineo per la massiccia presenza di
fosfati di calcio.
Si distinguono tre differenti famiglie di cartilagini:
1. La cartilagine ialina (cartilagine articolare) è presente nelle coste, nel naso, nei
bronchi, nella trachea e nelle articolazioni. Contiene un numero ridotto di
fibre di collagene, perciò è resistente e flessibile.
2. La fibrocartilagine bianca si trova nella sinfisi pubica, nei dischi intervertebrali,
nei menischi del ginocchio, nei cercini articolari e nelle zone di collegamento
tra ossa e tendini. Contiene un elevato numero di fibre di collagene, perciò è
rigida.
3. La fibrocartilagine elastica gialla si trova nelle orecchie, nella laringe e nella
epiglottide. Contiene fibre elastiche che la rendono resistente ed elastica (ha
la funzione di mantenere la forma).
La cartilagine non ha un’alimentazione sanguigna, richiede molto tempo per la sua
riparazione e non presenta terminazioni nervose.
La cartilagine articolare ha la funzione di rivestimento delle superfici articolari ed ha
uno spessore che varia da 1 a 5 mm, riduce l’attrito durante i movimenti relativi,
produce una ottimale distribuzione dei carichi e funge da ammortizzatore nella
trasmissione dei carichi impulsivi.
In base alla organizzazione e al contenuto di collagene e proteoglicani si possono
distinguere nella cartilagine articolare quattro strati: lo strato superficiale, lo strato
intermedio, lo strato profondo e uno strato di cartilagine calcificata all’interfaccia
con il tessuto osseo.
Lo strato superficiale contiene la maggior quantità d’acqua e di collagene e la minor
quantità di proteoglicani. Le fibrille di collagene hanno piccolo diametro e sono
orientate parallelamente alla direzione del movimento della superficie articolare.
La percentuale di collagene diminuisce del 15% nello strato intermedio dove le
fibrille sono caratterizzate da diametri maggiori e non presentano un orientamento
preferenziale. Analogamente diminuisce il contenuto di acqua, mentre aumentano i
proteoglicani.
Nello stato profondo il contenuto di collagene e di acqua rimane costante ed i
proteoglicani raggiungono la massima concentrazione. Le fibrille di collagene si
orientano perpendicolarmente alla superficie dell’osso sottostante col quale si
fondono nella zona calcificata.
Anche la disposizione e la forma dei condrociti differisce in funzione dello strato
considerato.
Sotto la superficie articolare i condrociti hanno forma ovoidale con asse lungo
disposto nella direzione principale di scorrimento della articolazione.
Nello strato intermedio e profondo i condrociti hanno una forma globulare ma
mentre nello strato intermedio sono disposte in maniera omogenea, in
corrispondenza dello strato profondo formano dei complessi di 2-6 cellule vicine tra
loro (gruppi isogeni).
Le diartrosi sono racchiuse in un manicotto di materiale fibroso, capsula, che è
attaccato all’osso. Lo strato interno della capsula è rivestito da una membrana
sinoviale che produce il liquido sinoviale. Esso riempie la cavità sinoviale lubrificando
l’articolazione e nutrendo la cartilagine.
L’azione smorzante delle articolazioni è dovuta al cedimento della cartilagine,
all’espulsione del liquido sinoviale e alla deformabilità dell’articolazione.
Le articolazioni possono essere considerate come cuscinetti di strisciamento, cioè
permettono il movimento reciproco di due parti riducendo al minimo sia la
resistenza d’attrito sia l’usura.
La teoria della lubrificazione permette di esprimere matematicamente il fenomeno
fisico della formazione di uno strato di fluido lubrificante (meato).
Il tipo di meccanismo di lubrificazione dipende:
1. Dall’entità dei carichi applicati;
2. Dalla forma delle superfici a contatto;
3. Dalle proprietà chimiche e fisiche sia del lubrificante sia del materiale del
cuscinetto.
Le forme fondamentali di lubrificazione posso essere così classificate:
1. Idrostatica;
2. Idrodinamica, che si produce durante il moto relativo delle due superfici. Lo
spessore minimo del meato fluido, normalmente più di 2 μm, aumenta
all’aumentare della velocità e della viscosità e non può essere in ogni caso
inferiore al valore della rugosità delle superfici;
3. Elastoidrodinamica, che è una lubrificazione idrodinamica tra superfici
deformate elasticamente dall’azione dei carichi. Interviene a carichi più
elevati e a velocità più basse che nella lubrificazione idrodinamica. Lo
spessore del meato è compreso tra 2 μm e 1 μm.
4. Mista, che è una forma di transizione tra lubrificazione elastoidrodinamica e
lubrificazione limite;
5. Limite, che si verifica quando le superfici sono separate dal lubrificante e il
contatto si attua su un’area paragonabile a quella del contatto secco, e cioè
sulle sporgenze delle asperità. In questo caso intervengono le proprietà fisiche
e chimiche del film lubrificante di spessore molecolare ossia dell’ordine di
-8
10 mm. 09 lezione biomecc anca
È stato condotto uno studio antropometrico misurando 200 femori; l’età media dei
donatori era 69,9 anni con un intervallo tra 22