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CASO FORTUITO E FORZA MAGGIORE
Vediamo il problema principale che viene posto nel capitolo relativo al caso fortuito e la forza
maggiore.
La dizione dell’articolo 45 c.p. è piuttosto generica e stabilisce che non è punibile chi ha commesso
il fatto per caso fortuito o forza maggiore. Questa formula quindi non ci dice nulla ne in relazione
all’oggetto del fortuito, che cosa è il fortuito, ne in riferimento a quella che è la connotazione
sistematica del caso fortuito e della forza maggiore nella struttura del reato cioè: che cosa è questo
fortuito, su che cosa incide.
Osserviamo come la formula utilizzata “non è punibile” non è per nulla significativa perché viene
utilizzata dal legislatore nel nostro codice riferendola agli istituti più diversi: cause di giustificazione,
cause di non punibilità, etc. quindi da questa formula normativa non ricaviamo nessuna indicazione
su quella che è la struttura e la natura del caso fortuito.
Registriamo inoltre un orientamento giurisprudenziale molto oscillante perché la giurisprudenza da
valore a tale istituto una volta per quanto riguarda l’imputazione sul piano oggettivo altre volte su
imputazione sul piano soggettivo.
È da ultimo importante registrare che a livello di sistema non c’è nessun’altra norma in grado di
integrare direttamente l’articolo in questione che è piuttosto lacunoso.
L’operazione utile ai fini di una migliore comprensione è sicuramente quella di andare a vedere
sulla base di quelle che sono le altre disposizioni del sistema la valenza, che possiamo anche
ricostruire in via residuale all’istituto in considerazione(interpretazione sistematica).
Il fortuito è imprevedibile. Il concetto di imprevedibilità è un concetto relativo, perché non ci dice
nulla ne con riferimento all’oggetto(imprevedibile si, ma che cosa?) ne in relazione ad un
parametro alla stregua del quale noi possiamo valutare l’imprevedibilità, perché questo concetto
ammette un giudizio di relazione(è imprevedibile rispetto a un parametro che io assumo come
punto di riferimento).
Quindi il primo quesito che dobbiamo andare a dirimere è in relazione all’oggetto del
fortuito.
Parte della dottrina considera oggetto del fortuito la condotta del soggetto agente, quindi il
fortuito farebbe riferimento a tutte quelle circostanze anormali connesse alla condotta del soggetto
agente che rendono questa condotta necessitata, cioè alla luce della presenza di queste
circostanze il soggetto agente non può tenere una condotta diversa, la condotta sarebbe
inesigibile.
Questa impostazione per il nostro professore non può essere accolta perché sottoporrebbe
l’articolo 45 c.p. ad una interpretazione abrogante, sappiamo che tra le varie interpretazioni si
sceglie quella che attribuisce un significato utile alle disposizioni. L’art. 45 c.p. secondo questa
ricostruzione sarebbe una disposizione inutile perché meramente ripetitiva rispetto a
quanto già previsto dall’art. 42 c.p.
Tale art. al primo comma ci dice infatti che: “nessuno può essere punito per un’azione od
omissione preveduta dalla legge come reato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà”.
Questo primo comma individua quell’istituto che tecnicamente viene chiamato “suitas”, coscienza e
volontà, vediamo meglio: la suitas è quell’elemento della condotta umana che rende la stessa
riconducibile ad un impulso cosciente e volontario del soggetto agente. Quindi è chiaro che in
presenza di un malore non vi è coscienza e volontà perché la condotta del soggetto agente
essendo necessitata sfugge da quella che è la sfera di controllo potenziale da parte dell’autore del
reato. 3
Quindi per quanto riguarda l’art. 45 c.p., se oggetto del fortuito fosse la condotta umana e quindi
comprendessimo tutti quei fattori che rendono una condotta doverosa inesigibile, tale art.
risulterebbe ripetitivo di quanto già previsto dall’art. 42 c.p. che(in positivo) ci richiede che la
condotta sia cosciente e volontaria, riconducibile ad un impulso volontario e cosciente da parte del
soggetto agente.
Quindi una volta escluso che l’oggetto del fortuito non possa essere una condotta umana, il passo
successivo è quello di considerare come oggetto della condotta l’intero fatto di reato.
Osserviamo innanzitutto come tale tesi sembra in primis confermata dall’art. 45 c.p.
Art. 45 c.p.: “non è punibile chi ha commesso il FATTO…”, quindi vediamo subito che l’oggetto del
fortuito non è solo la condotta ma l’intero fatto di reato.
Alla luce di ciò dobbiamo andare a vedere se il fortuito abbia una valenza sul piano oggettivo o sul
piano soggettivo.
Parte della dottrina considera il caso fortuito come fattore interruttivo del rapporto di casualità, e
quindi attribuisce allo stesso una valenza sul piano oggettivo del reato.
Quindi il fortuito ricomprende tutti quei fattori imprevedibili che quindi sfuggono da un concetto di
normalità che vanno a interrompere il nesso di casualità tra la condotta e l’evento naturalistico.
Questa impostazione deve coordinarsi con quelle che sono le disposizioni che nel nostro codice
disciplinano il rapporto di causalità, perché come vi ho detto l’interpretazione dell’art. 45 c.p. è un
interpretazione di carattere sistematico, quindi noi che cosa dobbiamo andare a fare?
Prima di attribuire al caso fortuito una determinata natura sul piano sistematico dobbiamo andare a
verificare che non ci sia già qualche altra disposizione come nel caso della coscienza e volontà
che già svolga la stessa funzione.
Prima di poter concludere che il fortuito è fattore interruttivo del rapporto di casualità andiamo a
verificare che nessuna disposizione del nostro codice si interessano espressamente del rapporto
di casualità.
Ovviamente la prima norma da tenere in considerazione è il 41 2° comma.
Art. 41 2° comma: “le cause sopravvenute escludono il rapporto di casualità quando sono state da
sole sufficienti a determinare l’evento. In tal caso, se l’azione od omissione precedentemente
commessa costituisce per se un reato, si applica la pena per questo stabilita.”
Cosa sono queste cause sopravvenute da sole sufficienti a determinare l’evento?
Il “cd. Fattore eccezionale”, il quale è stato ricostruito dalla dottrina, come quel fattore
imprevedibile alla stregua del parametro dell’ esperto universale e quindi della miglior scienza ed
esperienza tale da interrompere il collegamento tra la condotta e la produzione dell’evento.
Ci rendiamo subito conto che se considerassimo il caso fortuito come fattore interruttivo del
rapporto di casualità, ci sarebbe una sola opposizione netta in quanto già previsto in positivo dal
41 2° comma.
Per superare tale empasse, parte della dottrina(maggioritaria) che vuole continuare ad attribuire al
fortuito una valenza sul piano oggettivo sottolinea un aspetto molto importante: se noi prendiamo
l’art. 41 c.p. al primo comma: “il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute…
Non esclude il rapporto di casualità fra la azione od omissione e l’evento”. Ciò vuol dire che se
insieme alla condotta umana concorrono delle cause che possono essere preesistenti, simultanee
o sopravvenute il rapporto di casualità non è escluso salvo che (secondo comma) in caso di cause
sopravvenute queste siano da sole sufficienti a determinare l’evento.
L’art. 41 limita il fattore interruttivo del rapporto di causalità esclusivamente ai fattori di cause
sopravvenute, il primo comma fa riferimento al concorso di cause simultanee preesistenti e
sopravvenute e ci dice che queste non escludono il rapporto di causalità, il secondo comma ci dice
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che esclude il rapporto di causalità le cause sopravvenute da sole sufficienti a determinare
l’evento.
Quindi l’art. 41 2° comma deroga parzialmente da quanto previsto dall’art. 41 1° comma,
limita però la portata del fattore interruttivo soltanto a quello sopravvenuto.
A tal proposito Mantovani ci dice che l’art. 45 c.p. potrebbe andare ad integrare quella che è la
disciplina prevista dall’art. 41 2° c.p. comma, mentre tale articolo si riferisce al fattore interruttivo
del rapporto di casualità solo a quelli sopravvenuti, l’art. 45 c.p. fa riferimento a quelli che sono i
fattori concomitanti e antecedenti di carattere imprevedibile tale da interrompere la sussistenza di
un adeguato rapporto di casualità, esempio(fattore concomitante e antecedente di carattere
eccezionale): tizio da una botta in testa a caio senza sapere che caio ha una calotta cranica
talmente sottile che questo colpo genera la sua morte. Questa deformazione dal punto di vista
fisico è un fattore eccezionale.
M. dice che questi elementi che sono antecedenti rispetto a quella che è la condotta idonei ad
interrompere il rapporto di casualità. Quindi l’art. 45 c.p. secondo questa impostazione andrebbe
ad integrare quella che è la disciplina dell’art. 41 2° comma, mentre questo si riferisce per
espressa scelta del legislatore soltanto al fattore interruttivo sopravvenuto, il 45 c.p. integra tale
disciplina annoverando come fattore interruttivo del rapporto di casualità anche quelle cause che
sono antecedenti e concomitanti.
Questa impostazione non viene accolta dal prof.
La disciplina dell’art. 41 2° comma è una disciplina di carattere derogatorio rispetto alla regola
generale dettata dal 1° comma dello stesso art., il quale fa riferimento al concorso di cause e
quindi indica in maniera generica sia quelle antecedenti che quelle simultanee e sopravvenute,
mentre nel secondo comma l’indicazione è invece limitata a quelli che sono i fattori sopravvenuti.
Questa disciplina di carattere derogatorio rispetto a quanto dettato dal 1° comma dell’art. 41
c.p. dovrebbe considerarsi come tassativa perché se il legislatore avesse voluto attribuire
rilevanza a tutti i fattori interruttivi del rapporto di casualità(antecedenti, concomitanti o
sopravvenuti) non si vede il motivo per il quale si sarebbe dovuto ricorrere ad una
disciplina diversa rispetto a quella preveduta dall’art. 41 c.p. (nello specifico l’art. 45 c.p.,
per lo più anche inserita a distanza rispetto agli art. 40 e 41 c.p. che regolano il rapporto di
casualità) mentre l’art. 41 2° comma per una interpretazione tassativa di quelli che sono i
fattori interruttivi del rapporto di casualità dimostra chiaramente l’intenzione de