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Il far silenzio in sé è una prassi di purificazione dello spirito, effettuando una preghiera interiore
per il monachesimo orientale. Il corpo stesso deve far pulsare il nome impronunciabile con le
labbra, facendo ricombaciare la Parola con la Voce che scandisce i ritmi vitali, il corpo dell’Io torna
ad avere il senso complessivo che coincide con il Corpo di Cristo.
Secondo alcuni ermetici laici (i Pico, i Ficino), a livello antropomorfo, il Nome di Gesù è l'unico
vocabolo umano che il Padre pronuncia da sempre. Il Padre genera eternamente il suo verbo inteso
come parola, quindi come Cristo, e dona sempre sé stesso attraverso la generazione del Verbo.
Con la preghiera interiore il cuore parla attraverso la stessa parola pronunciando il Nome ineffabile,
ogni battito è una sillaba, ogni pulsazione del sangue è un soffio della Voce che necessita la
fonazione e rinunciando alla Parola, a farsi eco che pone in contatto corpo, anima e spirito.
Nel XIX secolo la predicazione di Siva Dayal Saheb diede vita, in India, alla setta Radha Soami
Satsang che pratica una forma di trance e ipnosi che produce una meditazione liberatrice segreta.
Quel metodo di concentrazione permetterebbe di udire nei propri organi interni la Voce celeste
(Sabda) che è rappresentata dal Nome divino.
In una lettera di un asceta siriaco, Giovanni d’Apamea, fondata sul commento di Ignazio di
Antiochia alla lettera di Paolo ai Romani, la corporeità e la fecondità della Voce sono rese dal
simbolo e intensità metaforica attraverso l’immagine della parola discorsiva che incarna e distende
lo spessore della voce. Essa apre l’ordine del discorso annunciando la propria fine e l’inizio del
tempo della Parola. Il logos non è del corpo in quanto tutti gli esseri dotati di corpo posseggono solo
una voce, ma non un verbo. Ogni animale, sia in terra che in cielo, può solo emettere una voce.
L'uomo, invece, avendo in sé un'anima, dispone sia del verbo che della voce, in questo modo
tramite il verbo è riconosciuta la natura dell'anima, e tramite la voce la materialità della sua
sostanza. Il verbo è presente nel corpo, proprio come l’anima, e viene proferito dalla voce. Allo
stesso modo, la mescolanza dell’anima e del corpo, la parola è incorporata alla voce.
Nello stesso atto di sbocciare per prender forma nella struttura linguistica attraversa luoghi corporei
deputati al mantenimento della vita e ne assume il ritmo, la scansione musicale, l’alternanza tra
pieno e vuoto, di suono e silenzio. La parola si semina nel silenzio, il significato non è nelle parole,
ma tra le parole, nel silenzio.
Viene citato nuovamente il mito della ninfa Eco, in quanto è l’esempio mitologico di come la voce
sia mero riflesso di risonanza. Nel mito Eco perde la parola per amore della pura immagine di
Narciso, innamorato di sé in una viziosa circolarità che confonde il simbolico con il reale, è il
perfetto modello mitico: la sua voce, lei stessa, Eco-senza-corpo-purissima-voce, può dire soltanto
quello che un Altro vuole che essa dica, le parole dell'Altro, l'amato che l'attrae a sé, sono le parole
che essa sillaba incompletamente.
Oltre al silenzio si parla di rumore. Si fa rumore per ristabilire le distinzioni, le cadenza del ritmo
che unisce e separa il silenzio e la confusione del grido: solo così si può liberare la parola,
riaccendendo in essa la voce espressiva e buona del corpo sano. La voce diviene rumore per
reintegrare il silenzio da cui nascerà la parola. Non è un caso che prima della nascita di Giovanni
Battista suo padre Zaccaria abbia perduto la voce per punizione della propria poca fede.
Secondo Boezio, la voce è segno impresso, traccia musicale delle passioni.
Per gli antichi, la voce è generata dall’alchimia dei fluidi interni, si coagula negli organi vitali
presso il cuore e il diaframma.
Il corpo usato come metafora è nuovamente ripreso dal pensiero indiano per il quale si afferma che i
sensi mentali sono gli occhi, le orecchie, il naso, la lingua, la pelle. La voce, le mani, i piedi, l’ano e
i genitali sono sensi dell’azione della pragmatica sulla voce, i verbi performativi.
Capitolo VIII
La voce che feconda
La spiritualità della voce è strettamente legata al corpo, alla bocca, all’alito. La voce si ode perché
ha altezza, lunghezza ed un’ampiezza.
Successivamente si presenta la questione sull’etimologia del verbo “concordare”: dal greco alle
lingue romanze, questo verbo è basato corda cuore sull’incrocio tra cuore e corda di uno strumento
musicale. Leo Spritzer presenta una proposta nella quale si medino le due etimologie accordare e
concordare l’armonia del mondo, percepibile tanto al cuore come all’orecchio.
Avrebbe potuto fondere e sposare due famiglie verbali che esprimono precisamente il fatto acustico
e spirituale. Inoltre, c'è un paragrafo facilmente riconducibile al tema dei sogni involontari: come è
stato notato anche in Proust, non è la facoltà intellettiva a riconoscere e a intendere i geroglifici
scolpiti nell'aria, bensì la segreta sostanza dell'anima, sostanza di vento e di spirito, il cui soffio
ispira la memoria facendo nascere i fantasmi delle immagini nella cassa di risonanza e di
consonanza del cuore.
Successivamente si presenta uno studio fatto da Marcel Griaule sulla popolazione dei Dogon
presenti in Mali. È interessante osservare la concezione del mondo secondo questo popolo.
Il mondo intero per il pensiero Dogon si articola in due grandi categorie: quella degli esseri che
parlano la parola e quella degli esseri che non parlano la parola. Il bambino, l’animale, l’uomo
non-socializzato non posseggono quello che i Dogon intendono per “linguaggio artificiale”. Ciò
che, invece, tutti gli esseri viventi hanno in comune è il concetto di “armonia”, ossia di una voce
distinta dal linguaggio (v.s.). Essa è la voce vivente, il suono prodotto dalla laringe. Questo concetto
di suono/voce, però, non viene applicato ai rumori, anzi questo concetto è in posizione antitetica
rispetto a quello di suono/voce.
Nel termine che indica il linguaggio artificiale sono inseriti i due concetti saussuriani di langue e
parole, di fatti per linguaggio artificiale s’intende il discorso, connotandone per aggettivazione le
circostanze ma riferendosi ad una discorsività attiva, in quanto nel pensiero Dogon atto e parola
sono legati strettamente, per cui si chiamerà “parola” il risultato dell’atto, della creazione materiale.
Il pensiero è inteso come parola interna, risonanza interna del suono/voce; si articola ritmicamente e
può farsi verbo sotto forma di vapore e il cuore scalderà allora l’acqua della parola. L’acqua-parola
è d’altronde il germe fecondante dell’intero universo, è la potenza del suo esserci.
La teoria della voce e della parola è per i Dogon:
un’antropologia, in quanto la parola è l’immagine di una persona umana;
una metafisica, in quanto i germi della parola sono quelli stessi dell’essere;
una linguistica dal momento che permette di render conto del farsi e dell’articolarsi
dell’espressione significante;
una psicologia perché c’è un perfetto parallelismo tra stadi vocali e condizioni dei fluidi
corrispondenti alle strutture psichiche;
una normativa sociale, dato che ad ogni tipo di voce si collega un comportamento privato o
pubblico.
La struttura metafisico-antropologica fondata su una voce sonora e vocale si può adattare anche ad
altre culture, ad esempio quella indù. Il respiro (prana) è l’essenza prima, impercettibile se non
come vibrazione elementare, come sillaba creatrice e feconda. Soprattutto nei testi delle Upanisad il
respiro e la parola che nutre tutte le cose sono simultaneamente energie spirituali e sessuali. E come
gli dèi, esse si si compenetrano mediante l’analogia delle loro voci, una gerarchia vocale che
diffonde nell’universo e sulla terra la voce fecondatrice, così nel rituale si nutrono gli dèi stessi con
il respiro. Parte seconda
Antropologia della voce
Capitolo IX
La voce (in)naturale
Il gesuita statunitense Walter J. Ong propose in un suo studio un modello ermeneutico delle
trasformazioni culturali basato sulla variazione di uno schema originario orale-aurale,
successivamente sostituito da un altro legato alla scrittura, dunque dall’alfabeto alla lettera, alla
documentazione della parola tramite la stampa. L’ordine spazio-temporale e ideologico, proprio del
sapere scritto e della cultura alfabetica neutralizzò la stretta relazione fra suono e spazio/tempo,
connettendo all’idea della scrittura il concetto di linguaggio, nonostante la sopravvivenza della
forma mentis orale e attuando una metamorfosi nel sistema acustico e questo, ridotto
progressivamente dinanzi al prevalere delle tecnologie tipografiche, cedeva al sistema sensorio
basato sulla vista.
Dopo l’invenzione e lo sviluppo della stampa, la voce naturale che pulsa nel sangue e nel fiato, che
è elemento attivo del corpo e corpo essa stessa, nella quale risiedono il germe vitale di ogni essere
ed il soffio che fa vibrare l’intero universo, viene ridotta entro gli schemi della cultura
alfabetico-testuale al rango di mero strumento comunicativo.
Come nelle lingue orali mancano i segni di punteggiatura e quelli di interpunzioni e quindi si fa uso
di regole e tecniche fonologiche per sopperire a queste mancanze, così nelle culture in cui vi è la
scrittura, accanto ai testi, vi sono elementi orali e fenomeni linguistici chiamati <<
paralinguistici>>, intraducibili di per sé nel codice scritto. La produzione discorsiva è quindi
formata da una parte di vocalità impropria che non è né discorsiva né direttamente significativa, ma
inserita nel circuito semantico. Non possiamo dire con certezza che siano tracce di quella voce
naturale primigenia, in quanto è difficile valutarne le componenti naturali e quelle artificiali, anche
perché spesso la naturalezza dell’impostazione vocale è neutralizzata culturalmente. Ma anche i
toni, i registri, e le impostazioni delle voci individuali possono essere anche stereotipate a livello
sociale e quindi essere evocative.
Nel caso del popolo dei Dogon, analizzato nel capitolo precedente, i tratti paralinguistici della voce
illustrano la metafisica del verbo, dal modo in cui distinguono il suono/voce per sesso, corpo, tono
in qualsiasi essere animato e inanimato, nel quotidiano usano tecniche musicali di linguaggio
differenziate a seconda delle situazioni e della qualità dei parlanti.
La voce è di fatti il suo t