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ASSENZA DI CAUSE DI ESCL DELLA COLPEVOLEZZA, CONOSCENZA/CONOSCIBILITA’ DELLA L PENALE.
Quindi la colpevolezza, da fondamento teorico della concez retributiva, diventa argine garantistico delle libertà
del singolo.
Struttura della colpevolezza
1) Imputabilità
2) Dolo/colpa
3) Conoscibilità del divieto penale
4) Assenza di cause di esclusione della colpevolezza
Imputabilità
Il codice penale vigente ha inserito la nozione di imputabilità e la sua regolamentazione nel Libro I (Dei reati in
generale), Titolo IV (Del reo e della persona offesa dal reato) al Capo I (Della imputabilità) agli artt. da 85 a 98,
dapprima enunciando all’art. 85 la nozione di imputabilità, indi disciplinando agli artt. 86 e 87 il fenomeno delle c.d.
actiones liberae in causa e infine tipizzando agli artt. 87 ss. alcune delle più ricorrenti cause di esclusione della
imputabilità, tra cui importanza primaria assume quella del vizio totale o parziale di mente di cui rispettivamente agli
artt. 88 e 89 c.p.
In particolare l’art. 85 c.p., dopo aver enunciato al suo primo comma, che “nessuno può essere punito per un fatto
preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile”, aggiunge al co. II che
“è imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere”.
Da tale definizione normativa discendono quali indefettibili conseguenze: - che ciò che rileva nei processi è la
sussistenza o meno della imputabilità al momento del fatto, potendo un soggetto incapace il giorno della
celebrazione del processo (con le conseguenze che vedremo) esserlo stato in tale pregresso momento o viceversa
un soggetto attualmente capace non esserlo stato in detto pregresso momento; - che per aversi imputabilità e quindi
assoggettabilità a sanzione penale devono sussistere cumulativamente in capo al soggetto agente le due situazioni
della capacità di intendere e della capacità di volere.
A questo secondo riguardo va sottolineato che, al di là e in parte anche a prescindere dalla individuazione codicistica
delle singole cause di esclusione della imputabilità, dottrina e giurisprudenza si sono da sempre esercitate sul
significato delle due dizioni in argomento, arrivando a coniarne una definizione in parte mutuata dalla scienze
criminalistiche che si può ritenere ormai consolidata con qualche non significativa varianza terminologica come
segue: - la capacità di intendere è rappresentata dalla attitudine del soggetto ad orientarsi nel mondo esterno
secondo una percezione non distorta della realtà; - la capacità di volere consiste nella attitudine a scegliere in
modo consapevole tra motivi antagonistici.
Tali affermazioni frutto di elaborazione dottrinale sono state accolte nella massiccia giurisprudenza di Cassazione in
materia, da cui possono trarsi le seguenti rispettive massime orientative: - quanto alla capacità di intendere, la
definizione contenuta in Cass. Pen. Sez. I, n. 13202/1990, secondo cui essa “è l’idoneità del soggetto a rendersi conto
del valore delle proprie azioni, ad orientarsi nel mondo esterno secondo una percezione non distorta della realtà, e
quindi nella capacità di rendersi conto del significato del proprio comportamento e di valutarne conseguenze e
ripercussioni, ovvero di proporsi una corretta rappresentazione del mondo esterno e della propria condotta”; quanto
alla capacità di volere, la affermazione pure inserita nella appena citata pronuncia, secondo cui essa “è l’idoneità del
soggetto di autodeterminarsi in relazione ai normali impulsi che ne motivano la azione, in modo coerente ai valori di
cui è portatore, ovvero nel potere di controllare gli impulsi ad agire e di determinarsi secondo il motivo che appare
più ragionevole o preferibile in base ad una concezione di valore”.
Come intuitivo e come può anche vedersi e vedremo scorrendo la più significativa giurisprudenza in argomento, in
capo ad un singolo soggetto potrà sussistere l’una o l’altra capacità e difettare la seconda ovvero difettare entrambe,
con il comune risultato della esclusione in capo al medesimo della imputabilità. 26
La norma dell’art. 85 c.p. va poi letta in collegamento sistematico con quella dell’art. 42 c.p. circa l’elemento
soggettivo del reato, ove si enuncia con speculare simmetria rispetto al concetto cumulativo di capacità di intendere
e di volere che: “ nessuno può essere punito per una azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non
l’ha commessa con coscienza e volontà”, ove coscienza va riferita alla capacità di intendere e volontà alla capacità
di volere, con la precisazione tuttavia che tale disposizione copre un novero di ipotesi più vasto rispetto a quella della
mancanza di imputabilità di cui all’art. 85 ss. c.p., rientrando nella stessa anche i casi di fatti di reato commessi da
soggetto imputabile per caso fortuito, forza maggiore (art. 45 c.p.) ovvero costringimento fisico (art. 46 c.p.), in
assenza cioè di quella qualità intrinseca della persona definita in dottrina con il temine latino suitas (sul punto si veda
anche la interessante massima espressa da Cass. Pen., Sez. I, sentenza n. 29968 del 1/07/2008 secondo cui “la
coscienza e volontà della condotta – cosiddetta “suitas” – richiamate dall’art. 42 c.p. consistono nel dominio anche
solo potenziale dell’azione od omissione, che possa essere impedita con uno sforzo del volere e sia quindi attribuibile
alla volontà del soggetto. Tale requisito si distingue dalla capacità di intendere e di volere richiesta dall’art. 85 c.p.,
non implicando la consapevolezza di ledere o esporre a pericolo il bene protetto dalla fattispecie incriminatrice”)
Le cause tipizzate di esclusione della imputabilità nel codice penale vigente.
Il codice penale vigente nel suo impianto strutturale ha di seguito alla definizione sopra analizzata tipizzato alcune
situazioni soggettive di esclusione della imputabilità con elencazione come sempre non esaustiva dovendo
comunque tale esclusione sempre e solo rapportarsi al parametro fondante della capacità di intendere e di volere
del soggetto agente, tra cui quella di maggiore rilevanza e che ha da sempre suscitato il maggiore dibattito ed
incertezze e che pertanto tratteremo per ultima nell’ambito della presente lezione è quella della infermità mentale.
A) La minore età
A questo riguardo l’art. 97 c.p. esclude la imputabilità in chi al momento del fatto non aveva ancora compiuto gli
anni 14, mentre il successivo art. 98 c.p. attribuisce tale qualità a chi li aveva compiuti, con la precisazione secondo
cui nondimeno sino al compimento degli anni 18 ed in presenza della capacità di intendere e di volere, la minore età
comporta una diminuzione di pena (ovvero una attenuante a effetto ordinario, con riduzione della pena in astratto
comminanda fino a un terzo). Il presupposto di tale causa di esclusione della imputabilità risiede nella di immaturità
psico-comportamentale delle persone inferiori ad un certo limite di età e della conseguente loro incapacità di
comprendere il disvalore delle proprie azioni e di determinarsi consapevolmente in ordine alle stesse. Tale
presunzione è a tutt’oggi assoluta per i minori di anni 14, mentre per la età compresa tra i 14 e i 18 anni si presume
la sussistenza della capacità ma nondimeno si sottolinea nella norma citata la esigenza di uno specifico accertamento
della capacità di intendere e di volere, da rapportare secondo la giurisprudenza in argomento anche e principalmente
alla tipologia di reato commesso.
B) L’ubriachezza e la intossicazione da stupefacenti
Il legislatore del 1930 ha dedicato numerosi articoli a questa causa di esclusione della imputabilità:
- ubriachezza o intossicazione da stupefacenti cosiddetta accidentale, contemplata dall’art. 91 c.p. richiamato per
gli stupefacenti dall’art. 93 c.p., che esclude la imputabilità se tale da annullare la capacità di intendere e di volere
in quanto derivante da caso fortuito o forza maggiore ovvero determina una riduzione ordinaria (quindi fino a
un terzo) di pena se tale da scemare grandemente senza del tutto escluderla detta capacità (concetto sul quale
si tornerà diffusamente trattando della causa tipizzata di esclusione della imputabilità della infermità mentale);
- ubriachezza c.d. volontaria o colposa disciplinata dall’art. 92 co. I c.p. (norma anch’essa richiamata dall’art. 93
c.p per la parallela ipotesi della assunzione di stupefacenti), che ne esclude ogni effetto sulla ricorrenza della
imputabilità – disposizione che ha un suo senso in una ottica di politica criminale preventiva ma che ha dato
luogo in dottrina a numerose discussioni relativamente al titolo di attribuzione della responsabilità, posto che
risulta evidente che un soggetto agente è ubriaco tanto se si è posto volontariamente quanto accidentalmente
in tale condizione soggettiva. Tale norma infatti non a caso è stata sottoposta anche a vaglio di costituzionalità,
venendo salvata dal Giudice delle leggi sul presupposto, in verità artificioso, secondo cui occorre fare riferimento
al momento in cui il soggetto ha posto in essere la azione di ubriacarsi con dolo o con colpa per stabilire
appunto il titolo di imputazione soggettiva in relazione al quale dovrà rispondere del reato commesso.
- A tale principio si ispira poi apertamente il disposto dell’art. 92 co. II c.p. (anch’esso richiamato per gli
stupefacenti dall’art. 93 c.p.) relativo alla ubriachezza preordinata alla commissione del reati o alla
predisposizione di una scusa, che determina secondo la rigorosa disciplina codicistica un aumento ordinario (fino
a un terzo) della pena.
- Stessa conseguenza ha poi la ubriachezza o la alterazione da assunzione di stupefacenti abituale prevista dall’art.
94 c.p., e definita dal co. II di detto articolo come la condizione di chi “è dedito all’uso di bevande alcoliche e in
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stato frequente di ubriachezza”; trattamento di rigore (cui si aggiunge anche la eventuale applicazione più avanti
trattata di misura di sicurezza) anch’esso sottoposto a critica sotto il profilo del titolo di imputazione soggettiva
e che risente più che mai del clima politico dell’epoca di elaborazione del codice ma che non è mai sinora stato
sottoposto a significativa revisione legislativa ma piuttosto a un diffuso oblio giurisprudenziale.
- Infine, tali condizioni portano ad escludere o scemare grandemente la capacità di intendere e di volere del
soggetto che ne è afflitto solo ove ricorra la ipotesi della cronica intossicazione da