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Rapporto medico-paziente, prelievo venoso e caratteristiche di un ambulatorio medico  Pag. 1
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FACCIO il medico”. L’ammalato condivide con noi i propri problemi e le proprie gioie, e spesso si affida a

noi e alle nostre abilità tecniche e conoscenze. Tuttavia, la cultura medica non basta, in quanto essa va

sempre coniugata con l’intelligenza, che ci consente di comprendere prima la malattia che affligge il nostro

paziente.

L’iter, ossia il percorso da seguire, che ci porta a comprendere la patologia che sta affliggendo il nostro

assistito si basa sulla conoscenza medica, ma richiede anche la nostra intelligenza e le nostre abilità. Tale

percorso si articola in varie fasi:

1. si parte, innanzitutto, dall’esperienza di malattia del paziente: il paziente comincia ad avvertire le

manifestazioni della malattia, ossia i sintomi, percepiti appunto unicamente dal paziente, e non dal

medico, se non anche da quest’ultimo attraverso un’attenta analisi del viso del paziente, senza però la

certezza che determinate espressioni corrispondano a determinati dolori percepiti. Per conoscere i

sintomi, l’unica cosa che si può fare è farseli elencare dal paziente, attraverso un percorso che si chiama

anamnesi;

2. alcune malattie si possono presentare anche attraverso

manifestazioni che sono percepibili all’occhio attento ed

investigativo del medico, dette segni: ad esempio, se una persona,

piuttosto che il naturale colorito cutaneo roseo pallido, avesse

l’ittero, si noterebbe una discolorazione cutanea giallastra

secondaria ad un’eccessiva concentrazione di bilirubina nel

sangue circolante. Spesso, tale discolorazione è causata

dall’abuso di alcool continuo. In questo caso, non ci troviamo

nella fase di anamnesi, bensì nella fase in cui bisogna fare un

esame obiettivo;

3. alcune malattie sono presenti nel nostro corpo da anni, ma non si manifestano sin da subito perché

attraversano dapprima una fase pre-sintomatica: questo significa che il momento in cui il paziente

richiede assistenza sanitaria non coincide con la comparsa della patologia. Bisogna quindi essere

rapidi;

4. la raccolta anamnestica, quindi le informazioni sanitarie del paziente, viene integrata ed

interpretata alla luce delle conoscenze del medico, le quali possono aiutarlo a porre le domande giuste

per arrivare quanto prima ad una diagnosi ed al successivo trattamento terapeutico;

5. tale percorso porta il medico a formulare una diagnosi di

lavoro, che non è una diagnosi definitiva, bensì un’ipotesi

diagnostica;

6. si usa una serie di strumenti, utili soprattutto quando non si

hanno informazioni sufficienti per elaborare una diagnosi,

con cui si ritorna alla storia clinica, al colloquio

anamnestico, all’esame obiettivo attento, con cui si

possono richiedere test diagnostici e con cui si può riferire

al paziente la possibilità di consulto con un altro medico

ritenuto migliore per arrivare al completamento del

percorso diagnostico;

7. una volta giunti alla diagnosi, occorre comunicarla al

paziente, il quale chiederà immediatamente come si cura la sua patologia. Bisogna, quindi, mediante le

proprie conoscenze, formulare un piano terapeutico, sulla base del quale prevedere l’esito della

malattia del paziente (outcome).

Quando si parla di test diagnostici, ci si riferisce principalmente a tre grandi categorie:

1. diagnostica di laboratorio diagnostica biochimica,

diagnostica sierologica, diagnostica microbiologica, diagnostica

immunologica; →

2. diagnostica per immagini radiologia, tomografia

computerizzata (TC), risonanza magnetica, medicina

nucleare; →

3. diagnostica strumentale endoscopica permette di guardare

all’interno di alcune regioni anatomiche (ad esempio, all’interno

delle vie aeree, la broncoscopia o laringoscopia nelle prime vie

aeree, all’interno delle vie digestive alte, esofagogastroduodenoscopia (EGDS), all’interno delle

vie digestive basse, rettocolonscopia oppure pancolonscopia, mentre se con il colonscopio si

riesce a divaricare la valvola ileocecale ed esplorare gli ultimi dieci centimetri di ileo, si effettua una

ileoscopia). Per guardare all’interno dei vasi sanguigni, invece, non si utilizza

una metodica diretta, cioè mediante l’utilizzo di una

telecamera, bensì una metodica indiretta radiologica, con

l’utilizzo di un mezzo di contrasto (angiografia, che può essere

un’arteriografia, una flebografia o, nel caso specifico delle

arterie del cuore, una coronarografia).

Per effettuare un prelievo venoso, occorre eseguire una precisa procedura ed avere il

materiale necessario già pronto. Il materiale include: l’ago, la camicia, il disinfettante

con il batuffolo di ovatta, il laccio emostatico ed il cerotto da

applicare sul braccio del paziente una volta conclusa la procedura. Vi

sono diversi dispositivi per incannulare o somministrare farmaci

all’interno delle vene periferiche. Tutti i pazienti in ospedale

hanno una vena periferica incanulata, per esempio per idratarsi. E’

importante avere un accesso venoso in condizioni di interventi

chirurgici o di emergenza e di urgenza. Tale procedura ci

espone, mediante il soggetto a cui la pratichiamo, ad un rischio

infettivo, quindi, prima di effettuarla, bisogna:

1. lavarsi le mani accuratamente, con l’utilizzo di acqua e sapone;

2. sterilizzare le mani pulite con un gel idroalcolico (gel ormai presente in dei dispositivi in tutti i

corridoi e le camere dei vari reparti ospedalieri);

3. evitare l’uso di anelli o altri gioielli;

4. assicurarsi di non avere le unghie lunghe;

5. indossare i guanti una volta che le mani sono asciutte;

6. a scopo di protezione personale del medico, possono essere utilizzati anche degli occhiali protettivi

per prevenire un eventuale contatto tra il sangue del paziente e la mucosa congiuntivale e

corneale, possibile punto di ingresso di virus e batteri.

La procedura prevede i seguenti passaggi:

1. il paziente è posto in posizione seduta;

2. viene applicato il laccio emostatico, generalmente qualche

centimetro al di sopra della piega del gomito, in quanto

immediatamente sotto quest’ultima vi sono due grandi vene, la

vena cefalica e la vena basilica, che si offrono facilmente

all’accesso per effettuare un prelievo;

3. le vene superficiali si gonfiano, perché aumenta la

pressione: il sangue arterioso arriva, fluisce fino

all’estremità dell’arto superiore, poi ritorna attraversando le

vene profonde e le vene superficiali;

4. l’ago viene inserito nella vena, la camicia accoglie la provetta sottovuoto, nella quale il sangue

viene rapidamente aspirato dall’interno della vena;

Le controindicazioni all’incanulazione di una vena sono varie:

1. in caso di infezione, non si va ad incanulare, in quanto si rischia di

inserire batteri all’interno del torrente circolatorio;

2. in caso di tromboflebite, cioè quando una vena segue un coagulo

sanguigno. Non si va, per esempio, ad incanulare una vena di un

soggetto che è stato già portatore di catetere venoso, perché quella

zona presenta un espandimento emorragico di sangue;

3. il rischio di incannulare una fistola arterovenosa, cioè un vaso

sanguigno neoformato a seguito di un piccolo intervento chirurgico nel

quale una vena e un’arteria superficiale del braccio vengono

anastomizzate insieme (il vaso sarà fondamentalmente una vena,

ma avrà una parete basale molto spessa e resistente, quindi

arterializzata). In tali condizioni, pazienti, per esempio, con

malattie renali croniche in fase terminale, effettuano più volte

nella stessa settimana la cosiddetta emodialisi, cioè trattamenti di

filtrazione del sangue;

4. un paziente “vuoto” e “senza vene”, a causa di dissenteria, febbre

persistente o disidratazione, stato di choc, tale che la quantità di

sangue che circola nel suo sistema vasale è talmente ridotta che le

vene sono tutte collassate, quindi l’accesso vascolare è estremamente difficile, e quando arriva in

ospedale si decide di effettuargli un accesso venoso centrale (giugulare

esterna o interna, oppure vena femorale nella gamba);

5. il rischio di incanulare un’arteria piuttosto che una vena: l’arteria si

romperebbe, e la perdita di sangue da un’arteria è molto più grave piuttosto di

quella da una vena, in quanto la velocità e la pressione arteriose sono

notevolmente maggiori;

6. in caso di agitazione da parte del paziente, che potrebbe portarlo a strapparsi gli

accessi venosi, sarà più opportuno incanulare delle vene superficiali degli

arti inferiori. La selezione del sito in cui pungere una vena dipende da una serie di

elementi: il motivo dell’incanulazione, l’accessibilità di quella vena, l’età

del paziente e quale è la procedura meno traumatica per quest’ultimo. La

presenza di un corpo estraneo all’interno di un vaso superficiale

occupa una parte del lume di questo, quindi può arrivare addirittura ad

ostruire quasi del tutto il flusso sanguigno al suo interno e causare

trombosi sanguigna in quella regione. Se un frammento di questo

trombo si stacca e viaggia all’interno del circolo

venoso, si verifica una condizione piuttosto

frequente in ambito clinico, cioè l’embolizzazione.

Le vene principalmente impiegate per l’accesso venoso durante un prelievo sono, come

già sottolineato, la vena cefalica e la vena basilica. Nel caso in cui le vene siano molto

sottili, si preferisce utilizzare un catetere di calibro inferiore.

La persona malata è una persona che viene ricoverata a causa della presenza singola o

combinata di una serie di patologie. Tali patologie assumono nomi diversi in base alle

regioni in cui si concentrano:

1. cardiopatia patologia legata alla funzionalità del cuore;

2. cardiovasculopatia patologia legata al cuore ed ai vasi sanguigni (nel caso in cui la patologia

riguardi unicamente questi ultimi, si parla semplicemente di vasculopatia);

3. epatopatia patologia legata alla funzionalità del fegato;

4. dismetabolismo/malattia metabolica patologia legata ad una disfunzione del metabolismo;

5. nefropatia patologia legata alla funzionalità di uno o di entrambi i reni;

6. endocrinopatia patologia legata alle ghiandole endocrine;

7. pneumopatia patologia legata alla funzionalità dei polmoni;

8. malattie digestive patologie legate ad una non corretta funzionalità della digestione;

9. malattie nervose patologie a carico del sistema nervoso.

Nella pratica clinica, molte patologie risultano essere spesso

compresenti, ed in questi casi è necessario l’intervento di un medico

che sia in grado di integr

Dettagli
A.A. 2023-2024
5 pagine
SSD Scienze mediche MED/43 Medicina legale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher learn_with_dani di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Basi metodologiche in medicina e bioetica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi della Campania "Luigi Vanvitelli" o del prof Durante Mangoni Emanuele.