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VOLTAIRE
Voltaire vive a cavallo tra il 1600 e il 1700, è uno scrittore polemico
e non un giurista, ma è uno dei principali rappresentanti
dell’illuminismo francese. Studia e viene educato dai gesuiti, inizia
qualche studio giuridico ma lo abbandona molto presto ed è
considerato più un filosofo. Viene esiliato in Inghilterra dove
conosce e apprende il liberalismo inglese e l’empirismo. Proprio qui
Lettere Filosofiche
in Inghilterra pubblica le , scrive veramente di
tutto: tragedie, commedie, racconti, polemiche. Queste lettere
filosofiche – le Lettere Inglesi – sostengono e ammirano la
tolleranza religiosa inglese e Voltaire si mostra un grande
ammiratore del sistema parlamentare inglese: la monarchia inglese
è la prima monarchia liberale, democratica e costituzionale con
un’accezione diversa da quella continentale; la costituzione inglese
è nata sulla tradizione e non è scritta; l’Inghilterra è considerata la
prima monarchia parlamentare perché si è formata, fin dalla sua
nascita nel XII secolo, come una monarchia che si è basata
Magna Charta
sull’equilibrio dei poteri in quanto con la firma della
Libertatum – che è stata un compromesso tra i baroni, ceto
Bill of Rights
dirigente feudale e il Re – e l’aggiunta del e altri scritti,
si è costituita la tradizione giurisprudenziale inglese, basato sul
common law. Il common law inglese non è il nostro diritto comune.
Voltaire fu quindi un ammiratore dell’Inghilterra. Scrive una serie di
Trattato sulla tolleranza
trattati, nel 1763 esce il dove difende la
libertà religiosa, ma di fronte a questo suo atteggiamento liberale di
fatto ha una concezione elitaria ed aristocratica della cultura,
perché per lui la cultura è rappresentativa di quei pochi che
pensano e che debbano avere la supremazia sugli altri. Non è molto
liberale, nelle opere è anche abbastanza razzista. In Voltaire si
trovano tutti i pregiudizi ed eccessi di coloro che avevano un culto
eccessivo per la ragione, eccessivamente razionalista. Il valore di
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fondo di tutto il pensiero di Voltaire è rappresentato dal concetto di
libertà. A differenza di quanto esprime nei suoi scritti filosofici, per
libertà non intende una libertà metafisica e quindi il libero arbitrio
che in realtà nega, ma parla di libertà di azione nella vita
economica, sociale e culturale, cioè libertà di fare ciò che si può e
non ciò che vuole. Le sue battaglie sono rivolte alla conquista della
libertà di fare ciò che si può e per questo in molti suoi scritti
reclama il potere di agire per sé, il potere di agire per gli
intellettuali, proclama la libertà di opinione, si batte per la libertà di
religione e si batte contro tutte le imposture e pregiudizi che
ostacolano il progresso umano. Voltaire identifica il principale
nemico di questo progresso nella Chiesa, che controllava la cultura
e fa delle campagne molto violente contro di essa; la cultura di fatto
era gestita dalla Chiesa attraverso i gesuiti, che detenevano lo
sviluppo della maggior parte delle scuole, soprattutto le più
prestigiose. Voltaire, che ha conosciuto le scuole gesuite da vicino,
critica aspramente il diritto canonico, il quale tocca molti campi
secolari: il matrimonio era disciplinato tutto dalla Chiesa, non
esisteva ancora il concetto di matrimonio civile, che per la prima
volta verrà esplicato nel codice civile napoleonico del 1804. Voltaire
si batte contro il diritto canonico e i privilegi del clero, dichiarandoli
contro natura: Voltaire appartiene ai giusnaturalisti. Attacca anche
le ricchezze della Chiesa e le rendite fondiarie, che nuocevano allo
sviluppo dell’economia pubblica. Attacca la Chiesa anche sui suoi
rituali, perché derivano da un sistema dogmatico che va contro
ragione. La religione cattolica e molti suoi dogmi sono irrazionali, la
Chiesa blocca il progresso umano. D’altro canto Voltaire lotta e
difende la tolleranza religiosa in nome del principio della libertà.
Ammette anche che la religione è socialmente utile ed è
comprensibile che le masse ci credano, è per gli ignoranti ed è utile
a tenere unita la massa. Ma è incomprensibile il fanatismo religioso.
L’attacco alla Chiesa è uno dei punti principali di tutte le polemiche
volteriane; teniamo anche conto che Voltaire è un borghese e fa
una grossa polemica contro la società feudale, perché il concetto
romano di proprietà privata è andato perduto (assoluta, piena ed
esclusiva): il possesso feudale, invece, implica un concetto di
utilizzazione perché il proprietario è il concedente. Il feudatario, così
come le popolazioni germaniche, utilizzavano la terra che
occupavano, non esisteva la proprietà piena ed esclusiva. Con
l’evoluzione del feudo, i feudi diventano ereditari e i signori feudali
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diventano proprietari, ma in origine erano stati investiti e sono i
provvedimenti imperiali di Carlo VI e Corrado II il Salico che rendono
i feudi ereditari. A questo punto la dottrina, nell’anno 1000 che si
sviluppa il diritto scritto, si doveva inventare qualcosa per spiegare
questa realtà e, a questo punto, coniano la dottrina del dominio
dominium
diviso, cioè dividono il dominio – il possesso – in due:
eminens dominium utile. dominio eminems
e Il resta in mano al
dominium utile
concedente, colui che investe, il resta in mano
concessionario, al feudatario che riceve l’investitura. Con questa
dottrina spiegano lo spezzettamento della proprietà. Voltaire, in
molte sue opere, difende la libera gestione della proprietà, ma non
propugna la distribuzione della proprietà in senso egualitario, ma
difende il diritto di proprietà per certe categorie di persone: per i
coloni e per i conduttori agricolo. Essi, derivando dalla società
feudale ancora in piena diffusione, erano coloro a cui venivano
concessi dei fondi dal feudatario per coltivarli di proprio conto ma in
cambio dovevano pagare le corvée, dare parte del raccolto al
feudatario. Se si dovesse coniare un motto che racchiude il pensiero
Volteriano è ‘libertà è proprietà’. Bisogna pensare e comprende gli
atteggiamenti di Voltaire considerando che egli accumula nel corso
della sua vita tantissime ricchezze: era ricco da ragazzino, ma è
anche un imprenditore e non è proprio obiettivo nei suoi attacchi.
Risiedeva a Ferney e produceva sete, pizzi e orologi che smerciava;
non solo, era anche un prestasoldi con interesse – lo strozzino – ed
era un mestiere molto diffuso all’epoca, ma era un’attività
perseguita dalla Chiesa che vieta e proibisce l’usura. Voltaire ha
come clienti gli aristocratici francesi e tedeschi, piazzava soldi nelle
banche per investirli, era un vero imprenditore e a quell’epoca non
era cosa da poco. A Voltaire manca, nel suo pensiero, un impegno a
favore dell’eguaglianza, anche se per lungo tempo si è letto che ne
era un promotore: in realtà è un falso. Fu un antesignano della
politica d’azione perché in molti suoi scritti propugna la
promulgazione di un codice penale. Senza dubbio mira all’abolizione
della pluralità delle fonti del diritto. Qual è una delle caratteristiche
della codificazione moderna? L’unificazione del soggetto giuridico,
che di fatto rispetta un principio di eguaglianza. Ma l’eguaglianza
che compare in Voltaire è una eguaglianza giuridica nei confronti di
coloro cui è destinato il codice, ma è una posizione appena
accennata. In molti suoi scritti ammette come sia necessaria la
disparità della condizione economica degli individui. D’altra parte,
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finché esistono i privilegi di clero ed aristocrazia non esiste
eguaglianza reale, nemmeno sul piano giuridico. Riconosce una
diversità genetica ed intellettuale tra le varie razze, afferma anche
che queste ineguaglianze sono inevitabili perché naturali
racchiudendo un certo razzismo nel suo pensiero. Dichiara
apertamente l’inferiorità degli ebrei per tare storiche; è anche
possibile che questo attacco al popolo ebreo, essendo lui un
imprenditore, sia dovuto più a motivi personali: gli ebrei avevano
accumulato parecchie ricchezze, erano e sono bravi affaristi ed
imprenditori. Si erano creati, al loro interno, una serie di istituti
giuridici che non andavano contro la legislazione regia e che
permettava loro di utilizzare i beni immobili. Voltaire si spinge anche
più in là perché trapela spesso dai suoi scritti anche l’idea
dell’immaturità delle masse popolari, non in grado di pensare e
quindi il raziocinio spetta a pochi. In certi suoi scritti Voltaire
affronta anche il problema della giustizia. Secondo lui esiste una
giustizia naturale, razionale ed universale, perché esiste un auto-
evidente sentimento del giusto e dell’ingiusto, che si
contrappongono fra loro. Esiste una morale congenita in tutti gli
uomini per il fatto di essere nati e questa morale viene riprodotta
nelle leggi poste dallo Stato; siamo in pieno positivismo, il diritto
coincide con le autorità precostituite. Secondo Voltaire la giustizia
naturale è fatta di pochi divieti essenziali e questi pochi divieti
possono essere identificati e contenuti in una norma di origine
naturale: non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te. Secondo
Voltaire il difetto delle leggi umane è che non sempre rispettano la
concezione naturale della giustizia. Le leggi e le raccolte
consuetudinarie sono spesso sovrabbondanti, confuse e
contraddittorie, questo è comprensibile perché le consuetudini sono
legate al diritto locale: tante città, tante forme politiche danno vita
a proprie consuetudini. Condanna anche questa frammentazione
del diritto e le diverse interpretazioni della giurisprudenza, e
quando fa queste critiche, esagera. Condanna le interpretazioni
giurisprudenziali, quelle che i magistrati dei Supremi Tribunali
davano alle varie fattispecie nel giudicare le controversie e che
diventavano vincolanti. Ora si era affermata la tradizione che le
sentenze dei supremi tribunali avessero valore vincolante per tutte
le fattispecie simili, una specie di Corte di Cassazione, ma questo
aveva portato un cambio di posizioni dei vari ceti sociali nella
comunità perché i magistrati avevano preso più potere, che di fatto
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– interpretando – creavano la legge. Nel 1700 vediamo che si
sviluppa tra gli intellettuali